Il Re dell'Aria/Parte seconda/12. La presa della rocca
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CAPITOLO III.
La presa della rocca.
Solamente alla sera il barone si degnò d’invitare a cena Ranzoff ed il cosacco, nella grande sala che confinava colla galleria di ponente e che era stata, forse per l’occasione, splendidamente illuminata con una mezza dozzina di candele.
La tavola, che occupava il centro, era stata imbandita con un lusso straordinario, degno d’un grande bojardo: piatti d’argento e d’oro finamente cesellati, posate d’egual metallo, bicchieri di cristallo di Boemia e numerose bottiglie polverose che portavano le migliori marche della Francia vinicola.
Non vi erano che quattro posti e il ruvido quartiermastro, sempre silenzioso e bieco, serviva. Doveva essere il cane fedelissimo del barone, un cane però estremamente pericoloso che dava un po’ da pensare perfino a Rokoff.
Quando il Re dell’Aria e il suo amico entrarono nella sala, Wanda era già seduta dinanzi alla tavola, vestita sempre col suo pittoresco costume cosacco.
Il barone invece, sempre cupo, accigliato, passeggiava brontolando.
Vedendo però entrare Ranzoff e il cosacco si rasserenò.
— Sedete, — disse bruscamente.
— Buona sera, signor barone ed a voi signorina, — rispose Ranzoff, mentre Rokoff s’inchinava piuttosto goffamente.
Wanda alzò i suoi dolcissimi e limpidi occhi azzurri sul capitano dello Sparviero, abbassando graziosamente il capo.
— Ecco un’occasione che capita di rado, — disse poi. — Gli ospiti sono troppo preziosi qui o meglio non si ama vederli.
Il barone si era bruscamente fermato, guardando la giovane, poi si strinse nelle spalle e, fatto cenno ai due invitati di sedersi, riprese la sua passeggiata in attesa che il quartiermastro ed il cuoco servissero la cena.
Ranzoff si era seduto presso Wanda. Approfittando del momento in cui il barone gli volgeva il dorso, si curvò verso la giovane dicendole rapidamente sottovoce:
— Vostro padre sta per giungere: silenzio. —
La russa divenne pallidissima ed ebbe un sussulto tosto represso, ma non disse nulla. Il barone d’altronde si era voltato e tornava verso la tavola. Quando tornò a volgere le spalle, Ranzoff riprese:
— Quando udrete il primo colpo di fucile, fuggite nella vostra camera e non uscite.
Vi è pericolo di morte. —
In quel momento entrò il rude quartiermastro, seguìto da due giovani marinai, i quali portavano dei cibi freddi su dei piatti d’argento, delle frutta conservate e delle bottiglie.
— Prima mangiamo, poi parleremo, — disse il barone sedendosi fra Ranzoff ed il capitano dei cosacchi.
La cena, molto squisita, quantunque a base di pesce e di carne di testuggine, fu fatta in silenzio. Il barone assaggiò appena i cibi, ma fece invece molto onore alle bottiglie.
Quando la tavola fu sbarazzata e il quartiermastro e i due marinai che servivano, si furono ritirati, accese una pipa monumentale e si mise a fumare lentamente, guardando quasi distrattamente ora Ranzoff e ora il cosacco, i quali avevano accesi dei sigari.
Il capitano dello Sparviero per un poco rimase zitto, poi si decise ad interrogare il barone.
— Che cosa avete dunque deciso, signore? — chiese.
— Che io non ho affatto il desiderio di lasciare quest’isola dove mi trovo benissimo, — rispose il vecchio, continuando a fumare. — Io ormai ho rinunciato al mondo.
— Voi, ma la signorina?
— Mia figlia farà quello che vorrò io.
— E se io mi ribellassi?... — gridò la giovane, scattando, rossa di collera.
— Fallo pure, se così ti piace, — rispose pacatamente il barone.
— Io sono stanca di questa prigionia.
— Prigionia la chiami!... Che cosa ti manca qui? Dove hai veduto dei cieli più splendidi di questo? Un mare così immenso che dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina mormora intorno alla nostra isola? Dove hai provata tu una calma così completa, rotta solo dal sibilare dolcissimo della brezza vivificante dell’oceano? Che cosa vorresti di più?
— Io non sono vecchia come voi, signore, nè sono mai stata una donna di mare!... —
Il barone proruppe in una risata.
— Ah!... — disse poi. — La gioventù non sa apprezzare le sublimi bellezze della natura!... Vuoi che io dia delle feste da ballo come si usa darle nel nostro paese? Non hai che da parlare e farò venire qui tutti i miei uomini e ti garantisco che balleranno, se non meglio, certo con maggiore slancio dei giovanotti aristocratici di Pietroburgo o di Mosca.
Ve ne sono anzi sette od otto che suonano magnificamente.
— Voi non mi comprenderete mai!... — gridò Wanda. — O meglio fingete di non volermi capire.
E poi chi siete voi? Con quale diritto mi tenete qui prigioniera?
— Chi sono io? Tuo padre, — rispose il barone.
— Mio padre era il comandante della Pobieda.
— Tu ti sei fissata nel cervello che io non sia tuo padre. Quale pazzia!...
— Siete voi il pazzo!... Mi rammento come fosse ieri il giorno in cui voi mi avete rapita dal palazzo di mio padre, colla scusa di proteggermi contro i nemici della mia famiglia.
— Tu hai sognato, fanciulla mia. Tu sei stata raccolta sul Mare del Nord.
— È una vostra fissazione questa.
— Tu hai il cervello debole, ma io spero che con questa grande calma che ti circonda, la tua memoria si risveglierà. Non è questione che di tempo e di cure.
— Siete voi che avete il cervello squilibrato!... — gridò Wanda, esasperata.
Il barone la guardò con occhi compassionevoli, poi, volgendosi verso Ranzoff e verso il cosacco, disse loro:
— La udite? Povera fanciulla!... —
Il Re dell’Aria e Rokoff non risposero.
— Bah!... — proseguì il barone alzandosi e mettendosi nuovamente a passeggiare. — Guarirà!... —
La giovane stava per scattare un’altra volta, ma uno sguardo imperioso di Ranzoff la calmò subito.
— Va bene, rimarremo ancora qui, — disse, alzandosi a sua volta e dirigendosi verso una delle ampie finestre dalle quali entrava una fresca brezza insieme al lontano muggire dell’oceano.
Il barone la seguì collo sguardo, scuotendo a più riprese la testa, poi tornò verso la tavola vuotando d’un fiato un bicchiere di vino del Reno.
— Quando ripartirete? — chiese a Ranzoff.
— Domani all’alta marea, signor barone. Di notte non oserei lasciare l’ancoraggio con tutti quegli scoglietti che circondano l’isola.
— Fate come volete: vi fermerete qui fino all’alba.
— Che cosa dovrò dire a vostro figlio?
— Che io sono deciso a rimanere qui.
— Colla signorina?
— Mia figlia non mi lascerà finchè non sarà perfettamente guarita.
— Eppure, signor barone, non mi sembra affatto pazza.
— Lo dite voi perchè non la conoscete che da poche ore. —
Ranzoff credette opportuno non insistere su quell’argomento, per non irritare il vecchio pazzo o fargli nascere qualche sospetto.
— Mi avete capito? — riprese il barone.
— Perfettamente, signore, però io vi avverto che i vostri nemici potrebbero essere meno lontani di quello che credete.
— Vengano e saranno ricevuti come si meritano.
— Vi ho detto che sono potentissimi e che posseggono una macchina volante.
— Ah!... È vero, me l’ero scordata. Ebbene, che cosa potrebbero fare contro questo gigantesco scoglio?
— Hanno affondato già i vostri transatlantici e un incrociatore, ve l’ho detto già.
— Affondino Ascensione, se ne sono capaci.
— Potrebbero però continuare la loro terribile opera di distruzione e decimare la flotta della Compagnia.
— Ci pensi mio figlio a difendere le sue navi, — rispose il barone. — Non è un capitano della marina da guerra? Si rivolga al governo.
— Lo ha già fatto e un poderoso incrociatore è stato lanciato contro la macchina volante ma ha dovuto soccombere come i vostri transatlantici.
— Quella nave doveva essere montata da un branco di conigli, — disse il barone. — Se l’avessi comandata io, a quest’ora di quella macchina non se ne parlerebbe più.
Ai miei tempi si combatteva diversamente e si sapeva vincere sempre. —
Si passò due o tre volte una mano sulla fronte rugosa, come per allontanare dei vecchi ricordi, poi riprese:
— Direte a mio figlio che io non mi occupo più delle navi della Compagnia e che se anche dovessero andare tutte a picco io non ritornerò mai in Russia e non mi separerò mai da mia figlia.
— Mi rincresce, signor barone, della vostra decisione. Io ero sicurissimo d’imbarcarvi questa sera e appunto perciò avevo dato ordine a una trentina dei miei marinai di salire quassù dopo il tramonto del sole per farvi scorta d’onore.
— Mandate un contrordine.
— Sarà troppo tardi: a quest’ora devono essere già in marcia.
— Daremo loro da bere, poi rifaranno la strada, — rispose il barone.
Un lampo vivissimo brillò negli occhi di Ranzoff. Aveva ottenuto quanto desiderava.
— Grazie per loro, signor barone, — disse. — Si riposeranno qualche ora, se non vi dispiace, poichè la valletta è molto faticosa a salirsi, poi li ricondurrò a bordo.
— Le bottiglie di buon vino ed i liquori non mancano qui, — rispose il vecchio. — Potranno bere finchè vorranno. —
Per la terza volta si era alzato, dopo aver ricaricata la pipa ed era andato ad affacciarsi alla finestra aperta presso quella occupata da Wanda.
— Voi valete Loris Melikoff e anche Ignatieff, — disse il cosacco al capitano dello Sparviero. — Grande soldato e grande diplomatico. Io sono entusiasmato di voi.
— Ho giuocato semplicemente le mie ultime carte, — rispose Ranzoff.
— Verranno i vostri canadesi?
— Devono essere già in cammino.
— E che cosa succederà poi?
— Hanno ricevuto anche loro le mie istruzioni e non si addormenteranno di certo sulle bottiglie che il barone offrirà loro.
— E lo Sparviero?
— Sono quasi certo che a quest’ora volteggia sopra questa montagna.
— Sicchè al momento buono verranno anche i signori Boris e Wassili?
— A prestarci man forte coi miei marinai, se ve ne sarà bisogno, — rispose Ranzoff. — La sorpresa sarà però così fulminea che gli uomini... — La voce del barone lo interruppe.
— Vengono, — disse volgendosi verso Ranzoff.
— Chi?
— I vostri marinai. Facciamo un po’ di buona accoglienza a quei poveri diavoli.
Il barone premè un bottone facendo squillare un campanello elettrico.
Il quartiermastro entrò subito.
— Portate qui una ventina di bottiglie fra vino e liquori, — ordinò il barone.
Poi, volgendosi verso Wanda, continuò:
— E tu ritirati: questo non è il tuo posto per questa sera.
La giovane lasciò la finestra, scambiò con Ranzoff uno sguardo e scomparve dietro una tenda.
Nel medesimo istante si udirono gli uomini di guardia della galleria gridare:
— All’armi!...
— Tacete cornacchie! — urlò il barone. — Non sapete distinguere dunque un amico da un nemico?
Voi bevete troppo, imbecilli!... —
Quattro uomini erano entrati, portando delle ceste piene di bicchieri e di bottiglie polverose, mentre nella vicina galleria si udiva tuonare la voce rauca del quartiermastro. Dava l’ordine alle sentinelle di lasciare libera l’entrata ai marinai del piroscafo.
Ranzoff e Rokoff si erano alzati per riceverli.
Un momento dopo trenta canadesi, vestiti da marinai, armati di fucili e di rivoltelle, entravano nella sala, guidati da un ufficiale, il quale non era altro che il capitano del piroscafo.
Erano tutti di statura imponente, poichè erano stati scelti con cura, trattandosi di dover forse sostenere una lotta disperata.
— Salutate il signor barone di Teriosky, padrone della Compagnia, — disse loro Ranzoff.
I trenta canadesi si tolsero i berretti.
— Begli uomini, — disse il vecchio pazzo. — Dove avete reclutati questi giganti?
— In Finlandia, — rispose Ranzoff.
— È infatti quella la terra dei colossi. —
Poi, volgendosi verso il quartiermastro, gli disse:
— Demidoff, dà da bere a questi giovanotti. —
Le bottiglie furono subito sturate ed i bicchieri riempiti ed i canadesi, i quali avevano circondata la tavola senza abbandonare i loro fucili, si misero a bere allegramente.
Il barone, a cui forse non spiaceva la compagnia, aveva ripreso il suo posto, guardando con visibile piacere quei giganti.
Ranzoff, dopo d’aver scambiate rapidamente alcune parole con Rokoff e col capitano del piroscafo, gli si era messo dietro, tenendo fra le labbra il sigaro spento.
Demidoff, aiutato dai suoi quattro marinai, continuava a versare, mentre i canadesi continuavano a bere.
Ad un tratto due mani di ferro, due vere morse, si strinsero intorno al collo del ruvido quartiermastro e con tanta forza da soffocargli la voce.
Rokoff, vedendoselo passare accanto, con una mossa fulminea lo aveva assalito.
Nel medesimo tempo Ranzoff puntava contro il petto del barone una rivoltella, dicendogli:
— Signore, arrendetevi o vi ucciderò, parola d’onore. —
I quattro marinai che stavano riempiendo i bicchieri avevano lasciate cadere le bottiglie, cercando di fuggire ed erano invece caduti subito fra le braccia dei canadesi.
Il barone, quantunque si sentisse la canna della rivoltella bene appoggiata sul cuore, si era bruscamente alzato, gridando:
— Miserabili!... Che cosa volete?
— La signorina Wanda, signor barone, — rispose freddamente Ranzoff, facendo due passi indietro e prendendolo di mira.
— Chi siete voi, canaglie?
— Gli amici dei signori Starinsky, i vostri cugini.
— Mentite!... — urlò il vecchio ferocemente. — Ora vi farò uccidere tutti!... All’armi!... —
Ranzoff colla mano sinistra atterrò il barone, mentre gridava ai canadesi:
— Puntate le armi contro le porte!... —
Il grido del vecchio pazzo era stato udito dagli uomini che erano a guardia delle gallerie.
— All’armi!... — avevano ripetuto le sentinelle.
I trenta canadesi in un baleno si divisero, formando due squadre, mentre Rokoff, aiutato dal capitano del piroscafo, legava ed imbavagliava rapidamente il quartiermastro e Ranzoff immobilizzava il barone.
Gli altri quattro marinai giacevano già sotto la tavola, bene assicurati. D’improvviso quaranta o cinquanta uomini irruppero nella sala, armati di scuri, di sciabole d’arrembaggio, e di rivoltelle.
Erano gli avventurieri che accorrevano in aiuto del loro signore.
Vedendosi però dinanzi i trenta giganteschi canadesi coi fucili spianati, pronti a riceverli con un fuoco d’inferno, s’arrestarono di colpo, non osando impegnare, senza nessun ordine, un combattimento.
Ranzoff si era slanciato dinanzi a loro, gridando con voce minacciosa:
— Giù le armi o noi non risparmieremo nessuno di voi. Abbiamo altri trenta compagni pronti a venire in nostro aiuto ed il barone ed il contromastro sono ormai in nostra mano. —
Aveva appena finito di parlare quando verso l’entrata della galleria si udirono parecchi colpi di fucile, poi si videro cinque o sei uomini attraversare come un fulmine l’estremità della sala. Erano le sentinelle che scappavano.
— Ecco il rinforzo che giunge, — gridò Ranzoff agli avventurieri del barone. — Giù le armi, se volete avere salva la vita.
Tra gli arruolati vi fu un momento di esitazione; poi, vedendo il barone immobile a terra, il quartiermastro legato ed essendo entrati nella sala altri venti giganti, lasciarono cadere a terra sciabole, scuri e fucili, giudicando inutile ogni resistenza.
Ranzoff si era precipitato verso la tenda dove aveva veduto, prima dell’invasione, scomparire la figlia dell’ex-comandante della Pobieda, gridando:
— Signorina Wanda!... Signorina Wanda!... Siete libera!... —
In quell’istante un colpo di cannone rimbombò al di fuori.
— Lo Sparviero!... Lo Sparviero!... — urlò Rokoff, correndo verso la galleria, seguìto da alcuni canadesi.
Non si era ingannato. La macchina volante che, come aveva supposto Ranzoff, si aggirava al di sopra della montagna, era scesa, appoggiandosi su una vasta piattaforma e Boris, Wassili e Fedoro erano balzati fuori dal fuso.
Avevano già veduto giungere i canadesi e, non udendo alcun colpo di fucile, accorrevano in loro aiuto, portando delle bombe da lanciare a mano. Stavano per irrompere nella sala, quando Wanda comparve.
— Libera!... — aveva gridato.
Un altro grido le rispose, poi un uomo le si avventò addosso, stringendola freneticamente fra le braccia: era Boris.
— Mia figlia!...
— Mio padre!... —
Un altro uomo si era slanciato verso di loro.
Il barone, per un momento dimenticato, aveva potuto alzarsi.
Fece tre o quattro passi barcollando, si portò ambe le mani al cuore, poi stramazzò al suolo mandando un vero ruggito.
— Wanda!... —
Ranzoff e Rokoff erano accorsi per sollevarlo.
— È morto, — disse il primo, con voce un po’ commossa. — Povero uomo!...
— Che il diavolo se lo porti, — rispose il cosacco. — Era tempo che questo vecchio pazzo se ne andasse. Finalmente si può respirare!.... —