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La presa della rocca | 355 |
CAPITOLO III.
La presa della rocca.
Solamente alla sera il barone si degnò d’invitare a cena Ranzoff ed il cosacco, nella grande sala che confinava colla galleria di ponente e che era stata, forse per l’occasione, splendidamente illuminata con una mezza dozzina di candele.
La tavola, che occupava il centro, era stata imbandita con un lusso straordinario, degno d’un grande bojardo: piatti d’argento e d’oro finamente cesellati, posate d’egual metallo, bicchieri di cristallo di Boemia e numerose bottiglie polverose che portavano le migliori marche della Francia vinicola.
Non vi erano che quattro posti e il ruvido quartiermastro, sempre silenzioso e bieco, serviva. Doveva essere il cane fedelissimo del barone, un cane però estremamente pericoloso che dava un po’ da pensare perfino a Rokoff.
Quando il Re dell’Aria e il suo amico entrarono nella sala, Wanda era già seduta dinanzi alla tavola, vestita sempre col suo pittoresco costume cosacco.
Il barone invece, sempre cupo, accigliato, passeggiava brontolando.
Vedendo però entrare Ranzoff e il cosacco si rasserenò.
— Sedete, — disse bruscamente.
— Buona sera, signor barone ed a voi signorina, — rispose Ranzoff, mentre Rokoff s’inchinava piuttosto goffamente.
Wanda alzò i suoi dolcissimi e limpidi occhi azzurri sul capitano dello Sparviero, abbassando graziosamente il capo.
— Ecco un’occasione che capita di rado, — disse poi. — Gli ospiti sono troppo preziosi qui o meglio non si ama vederli.
Il barone si era bruscamente fermato, guardando la giovane, poi si strinse nelle spalle e, fatto cenno ai due invitati di sedersi, riprese la sua passeggiata in attesa che il quartiermastro ed il cuoco servissero la cena.
Ranzoff si era seduto presso Wanda. Approfittando del momento