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358 | Capitolo XII. |
Il barone la seguì collo sguardo, scuotendo a più riprese la testa, poi tornò verso la tavola vuotando d’un fiato un bicchiere di vino del Reno.
— Quando ripartirete? — chiese a Ranzoff.
— Domani all’alta marea, signor barone. Di notte non oserei lasciare l’ancoraggio con tutti quegli scoglietti che circondano l’isola.
— Fate come volete: vi fermerete qui fino all’alba.
— Che cosa dovrò dire a vostro figlio?
— Che io sono deciso a rimanere qui.
— Colla signorina?
— Mia figlia non mi lascerà finchè non sarà perfettamente guarita.
— Eppure, signor barone, non mi sembra affatto pazza.
— Lo dite voi perchè non la conoscete che da poche ore. —
Ranzoff credette opportuno non insistere su quell’argomento, per non irritare il vecchio pazzo o fargli nascere qualche sospetto.
— Mi avete capito? — riprese il barone.
— Perfettamente, signore, però io vi avverto che i vostri nemici potrebbero essere meno lontani di quello che credete.
— Vengano e saranno ricevuti come si meritano.
— Vi ho detto che sono potentissimi e che posseggono una macchina volante.
— Ah!... È vero, me l’ero scordata. Ebbene, che cosa potrebbero fare contro questo gigantesco scoglio?
— Hanno affondato già i vostri transatlantici e un incrociatore, ve l’ho detto già.
— Affondino Ascensione, se ne sono capaci.
— Potrebbero però continuare la loro terribile opera di distruzione e decimare la flotta della Compagnia.
— Ci pensi mio figlio a difendere le sue navi, — rispose il barone. — Non è un capitano della marina da guerra? Si rivolga al governo.
— Lo ha già fatto e un poderoso incrociatore è stato lanciato contro la macchina volante ma ha dovuto soccombere come i vostri transatlantici.
— Quella nave doveva essere montata da un branco di conigli, — disse il barone. — Se l’avessi comandata io, a quest’ora di quella macchina non se ne parlerebbe più.
Ai miei tempi si combatteva diversamente e si sapeva vincere sempre. —
Si passò due o tre volte una mano sulla fronte rugosa, come per allontanare dei vecchi ricordi, poi riprese: