Il Parlamento del Regno d'Italia/Enrico Morozzo Della Rocca

Enrico Morozzo Della Rocca

../Ruggero Gabaleone di Salmour ../Francesco Maria Serra IncludiIntestazione 30 gennaio 2022 75% Da definire

Ruggero Gabaleone di Salmour Francesco Maria Serra

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senatore.


I Della Rocca, antica e nobile famiglia piemontese, sono militari di padre in figlio; anche in questo momento si contano cinque La Rocca, ufficiali superiori nell’esercito italiano.

Il conte Enrico ha percorso una delle più brillanti carriere che si possano immaginare; e avendo appena oltrepassato la media età della vita, possiede il più alto grado dell’armata.

Egli ha fatto delle splendide campagne, ed ha eser citato dei comandi importantissimi. Senza parlare di tutti, ci contenteremo di ricordare quello del corpo d’esercito dell’Umbria, che espugnò una dopo l’altra le ben munite fortezze papaline e prese una parte così onorevole alla campagna napoletana.

Il conte Della Rocca, promosso a generale d’armata e nominato senatore del Regno, ebbe il comando del dipartimento militare di Torino.

A questo punto noi non possiamo a meno di far parola delle polemiche sorte tra l’onorevole generale e la commissione parlamentare d’inchiesta, intorno ai fatti funestissimi cui abbiamo avuto occasione di alludere più di una volta in queste pagine, che insanguinarono Torino nelle giornate del 21 e 22 settembre.

Il ministero Minghetti-Peruzzi, su cui gli uomini d’un certo partito, o meglio alcuni uomini che ci asterremo dal definire, e intorno ai quali non si riunisce un partito propriamente detto, ma una combriccola di gente, le cui aspirazioni e i cui mezzi d’azione sono poco confessabili, pretendevano far ricadere per intero la responsabilità degli schiamazzi, delle violenze e delle uccisioni che ne erano risultate, ha dichiarato alla commissione stessa, che comprendendo quanto bisogno vi fosse in circostanze della natura di quelle che si producevano a Torino, in quel punto, che il comando e l’autorità suprema fossero in una mano sola ristrette, onde non mancasse quell’unità e prontezza d’azione, [p. 1058 modifica]che sole valgono in simili frangenti a scongiurare il pericolo, aveva, dietro deliberazione prese in seno al consiglio dei ministri, deciso che quel comando su premo, appunto sarebbe alle mani del conte Enrico Della Rocca affidato.

Al momento in cui scriviamo non ha ancora avuto luogo in seno alla Camera dei deputati la discussione intorno al rapporto della commissione stessa, dimodochè noi non conosciamo per anco quali saranno gli schiarimenti che senza dubbio il cessato ministero darà intorno a ciò amplissimi, e confidiamo anche, convincenti; ma da quanto apparisce dall’esposto del rapporto della commissione la quale non può certo dirsi animata da troppo indulgenti sentimenti verso gli uomini del gabinetto precedente, apparisce chiaro che questo, dopo quella deliberazione che rimetteva al generale Della Rocca l’autorità suprema, e poneva agli ordini suoi la questura e il servizio politico, si stimasse in certa qual guisa esautorato, e credesse che alla salute pubblica vegliasse per tutti e su tutti il generale medesimo.

Certo, una tal misura per parte del ministero era delle più saggie, ed ammettiamo ampiamente ch’essa sarebbe stata più che atta ad evitare la catastrofe deplorabilissima che avvenne nella sera del 22 in piazza San Carlo. Ma per un equivoco tanto strano, quanto spiacevole e fatale,il generale Della Rocca, che aveva già assunto il comando di tutte le forze di truppa, compresivi i carabinieri, non credette per tanto che la direzione suprema per la conservazione dell’ordine spettasse a lui solo, sebbene — dice la commissione d’inchiesta – alcuni ordini trasmessi dal generale alla questura possano far supporre il contrario.

Ciò che vi ha di più deplorabile in tutto ciò, si è che il personaggio al quale spettava di trasmettere al generale Della Rocca le decisioni del ministero e l’incarico di soprasedere unicamente a tutte le autorità incaricate del mantenimento della pubblica quiete e sicurezza, quel personaggio, diciam noi, che era il ministro della guerra, generale Della Rovere, è sventuratamente mancato ai vivi, e la commissione [p. 1059 modifica]d’inchiesta non ha raccolta la sua testimonianza, che sarebbe stata tanto utile quanto definitivamente convincente.

Molti muovono rimprovero alla commissione d’inchiesta per non essersi data premura di raccogliere la testimonianza del marchese Della Rovere, quando lo avrebbe potuto, mentre l’onorevole generale si è estinto tre settimane dopo ch’essa commissione d’inchiesta era stata nominata dal presidente della Camera. Questa dimenticanza o negligenza, o troppo lunga procrastinazione di uno dei primi passi che per avventura la commissione avesse dovuto fare, era di tutta evidenza che doveva lasciare oscuro uno dei punti che importava massimamente venisse posto in chiaro. Quindi è che l’onorevole generale, dal canto suo, come già i ministri Minghetti e Peruzzi dal loro, non si sono tro vati affatto paghi che la cosa fosse presentata cosi incerta. Il conte Morozzo della Rocca, cui non è dato d’assistere ai dibattimenti che avranno luogo nella Camera, altrimenti che dalla tribuna riservata ai senatori, ha creduto opportuno di emettere una lettera giustificativa, da esso diretta ai suoi colleghi del Senato, onde provare per quanto sta in lui, che la responsabilità del mantenimento unico e supremo dell’ordine nella città di Torino, non era stata da esso assunta che dopo la tragedia di San Carlo e non avanti.

Ci rincresce di non poter riprodurre qui per intero la lettera giustificativa del generale, la quale in sostanza tende a provare che s’egli è vero, che il ministero deliberasse fino dalla sera del 21 di rimettere in sua mano tutti i poteri necessarî alla conservazione dell’ordine in Torino, non istà che in fatto gli si desse officiale comunicazione di essa deliberazione, della quale non si credette assolutamente e pienamente avvisato che nella sera consecutiva, e quando già il sangue era scorso in si triste guisa sulla piazza San Carlo.

Se dobbiamo dire il nostro avviso su così delicata materia, noi cominceremo dall’ammettere un deplorabile malinteso (ili cui non sappiamo chi addebitare del generale o dei ministri, ma che forse la discussione [p. 1060 modifica]che avrà luogo nella Camera mostrerà a chi debba attribuirsi), malinteso che fece si che nel momento in cui era d’uopo che l’autorità venisse esercitata con tutta l’energia e l’unità d’azione possibile essa cadesse in mano a persone inesperte, deboli ed incapaci.

Il malinteso ammesso, la catastrofe di piazza San Carlo non può assolutamente ricadere che sui veri autori di essa, intendiamo gli agenti di polizia, il questore e gli allievi carabinieri, funebri attori del tristissimo dramma.

Essi agirono di proprio moto, insanamente. E chi può mai essere responsabile dell’insania di alcuno?

Ma una responsabilità spettava purtanto, anche, a sua propria confessione, al generale Enrico Della Rocca, e questa responsabilità era quella del buon ordinamento e dell’utile collocazione degli opportuni movimenti dei vari corpi di truppe spediti sulla piazza o nelle vicinanze per garantire la questura, ch’era il luogo, apertamente, e già in diverse circostanze, minacciato dalla moltitudine.

Ora noi diremo con ischiettezza che non ci sembra che il generale d’armata Morozzo Della Rocca abbia vigilato abbastanza su quelle importantissime disposizioni, le quali prese a rovescio del buon senso, non hanno contribuito poco a peggiorare il male a più doppi.

Che significavano in fatto quei mezzi battaglioni schierati in faccia gli uni agli altri sui lati della piazza, tanto che se, come accadde, si fossero trovati al caso di far fuoco erano costretti a decimarsi scambievolmente?

Perchè, dal momento in cui si vedeva ad ogni istante ingrossare la folla, che minacciava e peggio, e giacchè si aveva truppa a sufficienza non si chiudevano gli sbocchi delle vie che mettono sulla piazza, e non si faceva sgombrare questa a ogni patto?

Invece di tali manovre semplici, ben intese e che la truppa avrebbe certo eseguite con quella calma e quella moderazione, di cui dette innegabili prove, si tentarono movimenti dubbi, senza scopo sicuro, come quello del mezzo battaglione che smascherando a un [p. 1061 modifica]tratto la questura da esso finallora coperta, parve abbandonarla e fu cagione che agenti di sicurezza pubblica e carabinieri, perduta letteralmente la testa, facessero fuoco all’impazzata davanti a sè, colpendo nella folla difensori e aggressori.

Egli è perciò che noi non vorremmo che si gridasse a proposito di quelle due sciagurate giornate la croce addosso a nessuno, fuorchè, ben inteso, a quei tristi che furono gl’istigatori, i promotori di quei fatali di sordini, che per disgrazia d’Italia andarono poi più lungi ed ebbero più funeste conseguenze ch’essi non prevedessero. Imperocchè fatalità volle che ministri, generali, truppe, agenti di polizia e carabinieri si trovassero in qualche modo e ciascuno in ciò che lo riguardava, sopraffatti dagli avvenimenti, e trascinati da essi fuori della via che avrebbero voluto e dovuto percorrere; con questa distinzione tuttavia, a parer nostro, che chi si mostrò più d’ogni altro all’altezza delle circostanze, chi più fu compos sui ed ebbe maggior merito ad esserlo, chi fu calmo e più degno, sebbene sapesse che tutto quel trambusto si faceva in odio a lui, si fu appunto il ministero; e noi confidiamo che la gran maggioranza degl’Italiani lo sappiano e lo dimostrino.

Ed è perciò che non possiamo passare al generale Della Rocca una frase della sua lettera, la quale ci sembra dettata da un’animosità che non intendiamo perchè debba essere in lui, e che ad ogni modo non istimiamo dignitoso per parte sua il dimostrare, e questa frase è quella colla quale ci dà ad intendere come la calma potesse essere mantenuta nella giornata del 23 senza veruna difficoltà, mentre la notizia della dimissione del ministero bastò di per sè a ricondurla.

Qualunque fosse l’opinione del generale Della Rocca intorno al modo di governare tenuto dal gabinetto Minghetti-Peruzzi noi non possiamo comprendere com’egli possa lasciarsi trascorrere a manifestare in guisa più o meno palese la soddisfazione da esso provata per la di lui caduta, e ammetta che questa caduta dovesse in qualche maniera succedere appena si producevano i primi moti di piazza, onde evitare che questi crescessero di forza e d’importanza.

[p. 1062 modifica]E tanto meno noi siamo disposti a menar buona al generale quella insinuazione, quanto più approviamo altamente la condotta di quei ministri, che, invitati officiosamente dal re ad offrire le loro dimissioni, vi si rifiutarono, e pregarono Sua Maestà a volerli d’officio avvertire di cedere i portafogli.

Prova di dignità, questa, di coraggio civile e di rispetto alle istituzioni costituzionali di cui tutti gli onesti sapranno buon grado a quel gabinetto, ora, è molto più ancora nei tempi avvenire, in cui a riconoscere la grandezza e la saviezza degli atti dell’epoca nostra non si opporrà spirito di parte o di esagerato amor proprio.

Avevamo già scritte queste linee e stavamo per inviarle alla stampa quando è comparso un documento importantissimo, emanato dai membri del cessato gabinetto ora presenti a Torino, gli onorevoli Minghetti, Peruzzi, Pisanelli e Visconti-Venosta, che contiene appunto una risposta delle più categoriche alla lettera del generale Della Rocca.

Questa risposta a noi pare opportuno di riprodurre in tutta la sua integrità perchè ci sembra di natura a gettare la luce la più vivida su avvenimenti che preme assai, vengono posti il più che si può in chiaro, e a sdebitare in maniera irrecusabile gli uomini di Stato, che avevano in quelle difficili circostanze in mano le redini del governo, dalla taccia, così spesso e cosi gratuitamente loro lanciata addosso di questi giorni, d’incapacità e d’imprevidenza.

«Ai Deputati al Parlamento Nazionale»

«Osservazioni e documenti intorno alla lettera del 13 corrente di S. E. il generale Della Rocca, senatore del regno, sui fatti del 21 e 22 settembre 1864.

«Signori Deputati,

In una lettera indirizzata agli onorevoli suoi colleghi del Senato, S. E. il generale Della Rocca si è proposto di schiarire un grave punto di fatto, che nella relazione della commissione d’inchiesta parlamentare sugli avvenimenti del 21 e 22 settembre 1864 [p. 1063 modifica]risulterebbe indeciso quello cioè, se il superiore incarico del mantenimento dell’ordine nella città di Torino sia stato a lui affidato nella notte del 21 al 22, o in quella del 22 al 23.

«Sollevata di tal guisa questa questione speciale, innanzi che la discussione generale sulla inchiesta avesse principio alla Camera dei deputati è sembrato anche a noi conveniente di porvi innanzi, onorevoli colleghi, alcune osservazioni in proposito ed alcuni documenti, parte dei quali fu rinvenuta dopo gl’interrogatori della commissione. Rispondendo così pubblicamente alla pubblicazione dell’onorevole generale, noi crediamo di simplificare ed agevolare la discussione sovra di un punto, la cui incertezza tornerebbe, secondo la stessa commissione d’inchiesta, d’aggravio alla memoria di un uomo venerato in tutta Italia e che noi ci onoriamo di aver avuto a collega.

I.

«Ma innanzi tutto giova il fare un’avvertenza.

«Nel fatto dolorosissimo avvenuto la sera del 22 settembre in piazza San Carlo, due circostanze speciali sono da notare. La prima circostanza è che il questore per sciogliere gli assembramenti ch’erano sulla piazza, invece di rivolgersi ai capi dei 1,400 soldati che ivi stanziavano, fece uscire una trentina di allievi carabinieri che erano nell’interno della questura. La seconda circostanza è il modo onde quei 1,400 soldati si trovavano disposti in detta piazza gli uni rincontro agli altri; avvegnacchè fossero collocati, come dice la commissione d’inchiesta, dal rispettivo coman dante di ciascun corpo nel posto che sembravagli il più inopportuno e il più discomposto, nè fra di essi vi era unità di comando (Rapporto della Commissione di inchiesta ). Ora se la conseguenza di quell’imprevedibile atto del questore divenne così micidiale per effetto di queste infelici disposizioni, al giudizio di esse nulla influisce la questione che qui si tratta imperocchè non escano dalle ordinarie attribuzioni del comando militare.

«Per verità la commissione dice che il generale [p. 1064 modifica]Della Rocca nel giorno 23 approfittando della dolorosa esperienza dei giorni precedenti si affretto a dare migliori disposizioni, e che istruzioni ed ordini meglio dettagliati e più precisi erano trasmessi alle truppe (idem); ma basta leggere queste istruzioni date, nel giorno 23 e segnatamente quelle che meglio avrebbero giovato a prevenire i più gravi fra gl’inconvenienti lamentati in piazza San Carlo, per convincersi senz’altro com’esse avrebbero potuto essere date dal gran comando per le sole sue attribuzioni ordinarie, anche nel giorno 22, senza che perciò avesse avuto bisogno di ottenere dal ministero più estesi poteri.

II.

«Ma questi poteri furono essi dati? e quando?

«A chi ponga mente con animo imparziale ai rapporti dell’autorità civile coll’autorità militare nel giorno 21 e nel giorno 22 apparirà manifesto che nei due giorni essi furono differenti, e ciò basterebbe per sè solo e senza alcun altra prova a dimostrare che fra questi due giorni era intervenuto un fatto che aveva modificati i rapporti medesimi.

«Ed invero nel giorno 21 il questore, conformandosi agli ordini del ministero, fece egli la richiesta della guardia nazionale, e non potendo ottenerla, richiese poscia le truppe.

«D’altra parte il ministro dell’interno, informato dalla questura medesima che il municipio inviava per la città alcuni drappelli della guardia nazionale, ma non a disposizione della questura (Lettera del Questore al Ministro dell’interno del 21 settembre) si affrettava a scrivere al generale della Guardia nazionale nei seguenti termini:

«Essendo necessario che la direzione dei provvedimenti di sicurezza pubblica sia concentrata nell’autorità che si è responsabile, io invito la S. V. illustrissima a volersi compiacere di prendere i debiti concerti col questore, dipendendo da quell’autorità il dare le disposizioni cui là S. V. dee cooperare» (Lettera del Ministro dell’interno al generale della Guardia nazionale del 21 settembre).

[p. 1065 modifica]«Tale modo di procedere consuona colle disposizioni della legge e coi regolamenti ed istruzioni vigenti, le quali prescrivono che in caso di disordini la richiesta della Guardia nazionale e delle truppe, debba farsi dall’autorità civile, la quale non solo determina lo scopo dell’azione, ma sopraintende all’adempimento degli ordini, mercè i suoi funzionarî.

All’autorità militare si appartiene ottemperare alla richiesta dell’autorità civile, agire giusta la consegna della stessa autorità e dare le direzioni necessarie per la sua esecuzione (Circolare del Ministero dell’interno 18 aprile 1849, 20 aprile 1862). Ma non può ingerirsi in altro e molto meno nei mezzi preventivi di pubblica sicurezza.

«Nel giorno 22 le cose pigliarono un differente aspetto.

«Infatti dal mattino del 22 il generale comandante il dipartimento, senza aspettare richiesta veruna dalla questura, disponeva le truppe sui varî punti della città e ne dava partecipazione al Ministero dell’interno ed alla Questura.

«Alle 8 e 1/4 antimeridiane del 21, il generale Della Rocca scriveva al ministro della guerra, lamentandosi che il delegato di pubblica sicurezza promessogli dal ministro dell’interno non fosse comparso, ed il ministro della guerra ne faceva subito richiesta al collega (Lettera del generale Della Rocca al generale Della Rovere del 22, ore 8 1/4 e del generale Della Rovere al Ministro dell’interno del giorno stesso, ore 8 1/2); più tardi lo stesso generale Della Rocca scriveva al questore, chiedendogli ufficiali di pubblica sicurezza per continuare le pattuglie e gli aggiungeva quanto appresso: «La S. V. illustrissima è poi pregata a far visitare le case di tolleranza e quelle degli affittaletti onde rilevare se o meno vi si trovano persone sospette procedendo in loro confronto a norma della legge (Lettera del generale Della Rocca al Questore del 22 settembre).

«Nel trasmettere al Gran Comando una richiesta di protezione fattagli dalla Società del gas, il questore prega il generale quando concorresse nello stesso [p. 1066 modifica]avviso dello scrivente di mandare in vicinanza al gazometro un competente numero di militi di quella qualunque arma che stimerà più opportuna (Lettera del Questore al Gran Comando delle 12 e 3/4 del 22); ed infine, pure ommettendo altri fatti, la commissione racconta come un ufficiale di pubblica sicurezza, volendo, per essere stato colpito da sassi, esigere dal comandante della pattuglia, colla quale camminava, che facesse soffermare la pattuglia per le intimazioni alla turba e discioglierla, e ciò non essendo parso opportuno al comandante, la pattuglia proseguiva quindi la marcia in mezzo a fischi, urli ed invettive (Relazione della Commissione d’inchiesta).

Questi semplici fatti basterebbero a mostrare per sè soli, come abbiamo detto, che nel giorno 22 il Gran Comando aveva più estesi poteri di quelli che sono ordinariamente esercitati dall’autorità militare nei suoi rapporti coll’autorità civile.

III.


«Il Consiglio dei ministri deliberava nella sua seduta del 21 che la truppa esistente in Torino fosse riunita sotto un unico comando per venire in aiuto alla guardia nazionale e che fosse fatto venire immediatamente buon numero di truppe, da porsi sotto gli ordini del generale Della Rocca, alla cui disposizione dovrebbero porsi ancora i carabinieri e delegati di pubblica sicurezza; e col quale il questore dovrebbe direttamente corrispondere per tutto ciò che concerneva il mantenimento dell’ordine. Al ministero dell’interno e a quello della guerra, restava naturalmente l’incarico di comunicare questa deliberazione ai loro dipendenti e di curarne l’attuazione (Relazione della Commissione d’inchiesta).

«Ciò dimostra che il ministero era preoccupato di quella unità di comando e di quell’energia d’azione che mentre sono necessarie nei gravi emergenti, più sovente fanno difetto, quando le autorità civili e le militari, ciascuna entro i limiti rigorosi della propria sfera debbono cooperare insieme alla tutela della pubblica tranquillità.

[p. 1067 modifica]«Se non che, mentre si hanno documenti a prova degli ordini dati dal ministro dell’interno in conformità della deliberazione del Consiglio dei ministri del 21, e concordemente in ciò convengono le deposizioni del ministro e dei suoi dipendenti, il generale Della Rocca afferma non aver avuto dal ministro della guerra ordini scritti, nè ricorda averli ricevuti nella detta notte, e sostiene invece, aver preso accordo coi ministri soltanto nella notte successiva del 22 al 23.

«Poichè, nè presso il Gran Comando, nè presso il ministero della guerra esiste quell’ordine scritto che taluno dei ministri vide il generale Della Rovere vergare di sua mano, e del quale venne da lui anche appresso riconfermata l’esistenza, convien ritenere che fra le fatalità di quei dolorosi giorni, sia da annove rarsi pur quella che nella sua trasmissione quest’ordine andasse smarrito. Se non che, la mancanza d’un ordine scritto scema della sua gravità, quando si rifletta che il generale Della Rocca riguarda come validi ed efficaci i poteri conferitogli verbalmente e dichiara di averli ricevuti, non dissentendo, come dicemmo più volte, se non solo sul tempo, cioè, se tali poteri fossero stati conferiti nella notte del 21 al 22 o in quella del 22 al 23.

«Ridotta la vertenza a questo punto e considerate le gravi agitazioni di quei momenti ed il lungo intervallo di oltre a due mesi, trascorso tra gli avvenimenti del settembre e gl’interrogatori del generale Della Rocca e dei ministri, ch’ebbero luogo negli ultimi giorni del novembre e nei primi di dicembre, noi conveniamo con l’onorevole generale, come senza supporre in veruno il proposito di fare affermazioni allo scopo di riversare su altri la propria responsabilità, ben si possa credere che le gravi condizioni nelle quali a quei giorni ognuno che avesse parte alla cosa pubblica si trovava, possano così agli uni come agli altri: aver fatto dimenticare qualche circostanza di tempo e di fatto (Lettera del generale Della Rocca).

«Se nell’inchiesta si fossero adoperate quelle contestazioni di documenti e confronti di testimoni, che [p. 1068 modifica]sono i modi per i quali negli ordinari procedimenti più efficacemente si giunge alla scoperta della verità; e se specialmente fosse stato interrogato il generale Della Rovere nell’intervallo che scorre fra la nomina della commissione e la di lui morte, si sarebbe certamente senza gravi difficoltà, che sorti tardi e dopo quella perdita dolorosissima, danno oggi argomento a questa penosa discussione.

«E poichè dalla bocca stessa del generale Della Rovere noi abbiamo udito ripetutamente aver esso infatti adempito fino dal 21 all’avuto mandato, abbiamo ferma fiducia che se fosse rimasto in vita e col generale Della Rocca avesse potuto riandare le varie circostanze di quei gravi e dolorosi momenti, la memoria dell’uno avrebbe soccorso a quella dell’altro, per guisa da farli concordemente rammemorare quello che dal generale Della Rocca sembra oggi meno chiaramente ricordato. Imperciocchè noi non possiamo non associarsi cordialmente alle parole colle quali il generale Della Rocca osserva con molta ragione che: chiunque abbia conosciute ed apprezzate le eminenti qualità del compianto generale e nostro collega non può menomamente dubitare che egli abbia saputo cosi mal corrispondere all’avuto mandato (Lettera Della Rocca). Ma vano pur troppo essendo lo invocare ormai la testimonianza verbale dell’egregio collega che fu così immaturamente rapito all’Italia, riferiremo qui una delle postille, poste di sua mano in quei giorni stessi all’abbozzo della relazione indirizzata dal precedente ministero a Sua Maestà, e lasciata negli atti del ministero dell’interno.

«Giunto nella sera il generale d’armata conte Enrico Della Rocca comandante del primo dipartimento militare, gli veniva commesso dal ministro della guerra e da quello dell’interno il mantenimento dell’ordine; e però oltre a tutte le truppe che naturalmente da lui dipendevano, vennero posti sotto i suoi ordini i carabinieri e le guardie nazionali; e il ministero dell’interno ordinava al questore di mettere a sua disposizione un conveniente numero di ufficiali di pubblica sicurezza per procedere con maggior prudenza coi [p. 1069 modifica]distaccamenti alle legali intimazioni, e di fornirgli tutte le informazioni ed indicazioni opportune all’adempimento del mandato affidatogli di restaurare l’ordine nella città» (Le parole corsive sono scritte tutte di pugno e carattere del generale Della Rovere. Questo documento è depositato presso la Commissione d’inchiesta).

«L’importanza di questo documento apparisce evidente per sè medesima e dimostra in modo irrefragabile come il ministro della guerra aveva al pari dei suoi colleghi il convincimento di aver partecipato l’ordine del consiglio della notte del 21 al 22.

«Ma il generale Della Rocca afferma contro di ciò due cose, nel suo scritto. La prima è che: niun con certo nė verbale nè scritto siasi quel giorno preso infrà il ministero dell’interno, il sindaco e lui relativa mente alla Guardia nazionale (Lettera del generale Della Rocca). La seconda è che: gli allievi carabinieri nel 22 furono ad esclusiva, diretta ed immediata disposizione della Questura (Lettera del generale della Rocca).

«Ora noi crediamo che se la Commissione d’inchiesta avesse partecipato al generale Della Rocca i documenti relativi alla prima vertenza, ciò non avrebbe potuto a meno di fargli sovvenire dei concerti presi nel corso della giornata del 22, rispetto alla Guardia nazionale.

«Sarebbe bastato per tacere di altri documenti la lettera con cui il sindaco significava al ministro del l’interno, aver dato gli ordini opportuni perchè la Guardia nazionale venisse trattenuta nel palazzo civico a disposizione del generale stesso, ed avergliene data corrispondente comunicazione; l’altra con cui nel giorno medesimo il ministro dell’interno gli scriveva, confidare ch’egli provvedesse ovunque al mantenimento della pubblica tranquillità, evitando d’appressarsi al palazzo civico, meno il caso d’imperiosa necessità, una volta che si sa che rimane la Guardia nazionale cui Ella potrà far pervenire gli ordini che crederà opportuni; finalmente le tre lettere relative alla generale battuta per la Guardia nazionale, nelle quali la raccomandazione di far pratiche presso S. E. il generale [p. 1070 modifica]Della Rocca per far quello ch’egli crederà conveniente nell’interesse dell’ordine che ha l’incarico di mantenere, merita di essere raffrontata con la raccomandazione fatta in un’occasione analoga del giorno innanzi, di prendere i debiti concerti col questore, dipendendo da quell’autorità il dar la disposizione cui la s. V. dee cooperare. (Vedi Lettera del generale Della Rocca al ministro dell’interno, al sindaco e al generale Della Rocca del 22 settembre).

«E se poi si fossero raffrontati testimoni con testimoni, il generale Della Rocca avrebbe udito dalla boca stessa del sindaco che il giorno 22 la Guardia nazionale fu trattenuta al palazzo civico, di concerto col generale Della Rocca, col quale furono sempre prese d’accordo le misure opportune; essa rimaneva sempre a disposizione del generale Della Rocca.

«Infine quanto alla questione degli allievi carabinieri non può ammettersi ch’essi nel giorno 22 fossero ad esclusiva disposizione della Questura; imperocchè in una lettera scritta alle 8 1/4 antimeridiane del giorno 22 al ministro della guerra, il generale Della Rocca annuncia:

«I carabinieri allievi sono stati ritirati di mio ordine» precise e formali parole, le quali attestano ch’egli ritenesse posti ai suoi ordini gli allievi carabinieri insino dalla mattina del 22, e che le istruzioni di non più adoperarli fossero state veramente trasinesse; del che la Commissione d’inchiesta non era venuta in chiaro (Relazione della Commissione d’inchiesta).

«Ecco la testuale lettera alla quale accenniamo:

   «Gran Comando,

«Il 17° rientra in quartiere e rimane il 18º. Ho mandato ordine che il 18° stia ai portici dei ministeri con il battaglione dei bersaglieri, ch’è in piazza San Carlo, il quale verrà col 18° tosto che la Questura sia sufficientemente guardata dalla Guardia nazionale.

«Li carabinieri allievi sono stati ritirati di mio ordine.

«Ecco la posizione delle truppe per oggi:

   18° Piazza Castello;

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   «13° Bersaglieri, Piazza Castello;
   «17º Quartiere Cernaja;
   «65, 66°, 67°, 68°, Piazza d’Armi con quattro batterie d’artiglieria;
   «19° Bersaglieri, Piazza d’Armi;
   «1º e 2º Viale del Re;
   «Alessandria, Corso San Massimo;
   «Foggia, Quartiere sant’Antonio.

      «Il Delegato di Pubblica Sicurezza promesso da Peruzzi non è comparso.

   «22 settembre, ore 8 1/4.

«Generale Della-Rocca».

«(Questa lettera è depositata presso la Commissione d’inchiesta).

«Questo documento distrugge adunque un’altra delle argomentazioni del generale Della-Rocca. Imperciocch’egli, per escludere che il superiore incarico del mantenimento dell’ordine gli fosse conferito nella notte del 21 al 22 dice che, se si fosse creduto autorizzato a farlo avrebbe fatto a meno il 22 di adoperare gli allievi carabinieri, come ne fece a meno nel 23, dopo che quell’incarico gli fu dato (lettera del generale Della-Rocca), ma siccome il documento sopracitato dimostra al contrario che fino del mattino del 22 egli si tenne autorizzato ad ordinare che gli allievi carabinieri fossero ritirati, così ne segue in modo evidente che l’incarico di cui si tratta egli l’ebbe nella notte del 21 al 22.


IV.


«L’onorevole generale Della-Rocca produce da ultimo una lettera del ministro dell’interno datata dalle 10 1/2 pomeridiane del giorno 22. Eccolo qual egli la riporta:

   «Eccellenza,

«Ho immediatamente disposto perchè all’una antimeridiana sia pronto un treno speciale alla stazione di Genova, e dato gli ordini opportuni, perchè tutte le guardie di pubblica sicurezza sieno fatte partire con quel treno. lo prego l’E. V. a voler dare le disposizioni opportune, perchè questa partenza possa aver luogo senza pericolo.

[p. 1072 modifica]«Debbo fare osservare all’E. V. che dalla relazione del questore, che asserisce essersi trovato presente, resulterebbe che il fuoco fosse partito non dalle guardie, ma dai carabinieri.

   Torino, 22 settembre 1864.

12 1/2 pomeridiane.

Devotissimo
«Firmato Peruzzi


«Il generale ritiene che questa lettera sia stata scritta pochi momenti dopo l’ammessa conferenza avvenuta al ministero dell’interno in seguito dei dolorosi casi di piazza San Carlo, nella quale soltanto avrebbe accettato l’incarico del mantenimento della quiete pubblica, e soggiunge:

«Con questo biglietto il ministro dell’Interno affrettavasi, come ben si capisce, ad informarmi di aver subito disposto per l’adempimento di una delle condizioni da me imposte, pochi momenti prima per l’accettazione dei poteri accentrativi, quella cioè che la compagnia delle guardie di pubblica sicurezza, fosse immantinente allontanata da Torino, condizione che non avrei mancato di esigere la notte del 21 al 22, nella circostanza in cui si vuole dubitare che io abbia ricevuto la doppia autorità. Mentre tale mia esigenza era fondata sulla certezza che la mala condotta di esse guardie, nel pomeriggio del 21 era stata la cagione prima e provocativa di ogni ulteriore sciagura, (Lettera del generale Della-Rocca). Qui ancora apparisce inesatta la sua ricordanza; imperciocchè quel biglietto non fu invece che la risposta ad una lettera scritta dal Gran Comando al ministro dell’Interno.

«La lettera era la seguente:

   «Gran Comando del 1 ° Dipartimento militare,

«Il questore scrive che fu fatto fuoco dai rivoltosi mentre si facevano le sommozioni e che le sue guardie dovettero rispondere. Ciò non è chiaro; ma sicuramente il fuoco mal diretto delle guardie di polizia mi uccise e ferì molti de’ miei, fra cui gravemente il colonnello Colombini..

«Ho mandato due altri battaglioni (che fanno quattro) e una batteria in piazza San Carlo, per la difesa della Questura.

[p. 1073 modifica]«A notte avanzata, quando sarà ristabilita la calma, credo prudente far partire le guardie di polizia, delle qualinon possiamo più servirci in questa contingenza.

«22 settembre, ore 10 sera.

«Generale Della-Rocca


«Questa lettera fu scritta di proprio pugno dal generale alle ore 10 pomeridiane, subito dopo avuto al Gran Comando l’annunzio dei fatti di piazza San Carlo.

«E quella del ministro dell’Interno scritta alle 10 1/2 è evidentemente la risposta a detta lettera, non l’adempimento di accordi verbali. Ed apparisce eziandio dal confronto della medesima come il Gran Comando fosse indotto a chiedere l’allontanamento delle guardie di pubblica sicurezza, anzichè dai fatti del 21, da quelli della sera stessa del 22, giusta le prime informazioni ricevute da esso a carico delle guardie stesse.

. E qui facciamo fine, non senza osservare che in assenza dell’ordine scritto del generale Della-Rovere non può recar meraviglia la incerta memoria che il generale Della-Rocca serba delle cose passate in quei giorni tra esso e i ministri. Poichè, se è certo, come crediamo aver dimostrato, che gli accordi necessari ad attuare la deliberazione fatta il 21 dal Consiglio dei ministri furono presi con S. E. il generale Della-Rocca, appena egli fu giunto in Torino la notte del 21 al 22 settembre, non è men vero, che altre e frequenti conferenze ebbero luogo fra il generale medesimo ed i ministri, così nel giorno 22, come nella notte dal 22 al 23 e nel giorno 23, intese tutto al fine del ripristinamento della pubblica tranquillità; sino a tanto che, come accortamente osserva il generale nella sua lettera, essu venne poi nel pomeriggio definitivamente assicurata da un’altra cagione assai più potente ed a tutti abbastanza nota perchè non sia il caso di qui menzionarla (Lettera del generale Della-Rocca).

«Il 21 gennajo 1865.


«M. Minghetti - U. Peruzzi - G. Pisanelli
E. Visconti Venosta, deputati al Parlamento».


Per quel debito d’imparzialità cui non vogliamo in alcun modo sottrarci, crediamo obbligo nostro di [p. 1074 modifica]aggiunger qui sotto nel suo testo la risposta che il generale Della-Rocca ha creduto dover dare al documento qui sopra riprodotto, risposta sulla quale non emetteremo verun nuovo giudizio, sembrandoci ch’essa non valga a menomare la ragionevolezza di quello che abbiamo poco sopra enunciato.

«Risposta del Senatore generale Della-Rocca alle osservazioni degli onorevoli deputati (ex ministri) Minghetti, Peruzzi, Pisanelli e Visconti-Venosta.

«Ben poche ore prima che la Camera dei deputati dovesse aprire la discussione sull’inchiesta parlamentare fattasi intorno ai dolorosi avvenimenti dello scorso settembre, vennero a mia cognizione le Osservazioni documenti che gli onorevoli Minghetti, Peruzzi, Pisanelli e Visconti Venosta, hanno creduto di contrapporre alla lettera da me diretta al Senato del regno, il giorno 13 corrente.

Sebbene strettissimo tempo mi rimanga per rispondere a quelle osservazioni, tuttavia credo averne a sufficienza onde potere anche per parte mia offrir modo alla Camera di semplificare ed agevolare la discussione.

I.


«I quattro onorevoli ex-ministri premettono anzi tutto due circostanze principali essersi da notare nel fatto dolorosissimo del 22; cioè, la prima, che il questore per sciogliere gli assembramenti invece di rivolgersi ai capi dei 1400 soldati che erano sulla piazza San Carlo, fece uscire una trentina di allievi carabinieri che erano nell’interno della Questura; la seconda il modo onde quei 1400 si trovavano disposti in detta piazza, gli uni dirincontro agli altri. Con ciò essi vogliono dire che se gli allievi carabinieri uscirono e fecero fuoco, la colpa ne va unicamente al questore; che se quindi quelle schioppettate provocarono altre schioppettate, la colpa ne va a chi ha disposte le truppe ed è come dire a me.

«Per conto mio non son uso a declinare, che che ne possa avvenire, una qualunque risponsabilità ch’io senta appartenermi.

[p. 1075 modifica]«Ma nella circostanza in questione è da sapersi che le truppe le quali stanziavano in quella sera in piazza San Carlo, ivi per altro non si trovavano, se non per averle alla mano, tanto pel caso bisognassero forze per provvedere all’immediata difesa della Questura, tanto per rapidamente portarne su altri punti ove fossero state richieste, senza dover perciò ricorrere alle altre truppe le quali erano bivaccate in Piaza d’Armi.

«Ecco perchè quei 1400 soldati non erano in piazza San Carlo in ordine di battaglia, che anzi stavano sotto i portici colle armi in fascio e la maggior parte coricati a riposo.

«Unità di comando vi era, poichè fin dalle prime ore del 21 un comandante di brigata aveva ed esercitava il diretto comando delle truppe chiamate ad agire in città, in servizio di pubblica sicurezza.

«In quanto poi al riferire come vorrebbero gli onorevoli ex-ministri le parole della relazione che nel 23, approfittando io della dolorosa esperienza, ecc. agli avvenimenti di piazza San Carlo, chiunque legga la relazione, e non lo squarcio isolatamente da essi riportato, non può non intendere come i provvedimenti della Commissione ivi accennati ad altro non alludono se non al modo di pattugliare e fare il servizio di sicurezza pubblica, cioè senza il concorso di agenti di pubblica sicurezza; e così pure chiunque logga spassionatamente le disposizioni da me date il 23, le riconoscerà dettate da quella maggior libertà d’azione che il giorno prima io non avea.

«Ma, come ho già detto, la questione capitale qui non è di vedere, se con altre disposizioni delle truppe si sarebbe diminuita la sciagura, ma invero a chi vada in definitiva attribuita la sciagura stessa.


II.


«A comprovare come io possa aver ricevuti i maggiori poteri necessari per la superiore direzione dell’azione repressiva politica militare, innanzi la sciagura di piazza San Carlo, gli onorevoli ex-ministri vedono, debba bastare il porre mente con animo imparziale, [p. 1076 modifica]ai differenti rapporti che passarono tra l’autorità militare e la civile tra i giorni 21 e 22.

«Ma questi rapporti non furono punto sostanzialmente mutati,

«Nel giorno 21 il questore diresse al Comando militare del circondario le sue richieste per aver truppe a sua disposizione com’è regolarmente prescritto. Nel giorno 22 invece di dirigersi perciò al detto Comando si rivolse al Gran Comando. Ecco assolutamente tutta la differenza. E ciò perchè? Perchè questo era stato un accordo preso col ministro della guerra sia a cagione dell’eccezionale gravità della circostanza, sia sopratutto perchè le truppe chiamate dal campo in Torino, comecchè fossero ancora costituite in corpo di armata, epperò non parte sufficiente del presidio della città, non trovavansi nella dipendenza del comando del circondario bensì in quella superiore del Gran Comando. Ed in tuttociò si puó trovare anche una semplice induzione nel senso che gli onorevoli ex-ministri vorrebbero?

«Per sostenere maggiormente il proprio asserto gli onorevoli ex-ministri dopo citate alcune disposizioni di legge e di regolamenti, circa rapporti dell’autorità politica colla militare, in caso di disordini, dicono che se queste disposizioni furono puntualmente osservate nel 21 più nol fossero state nel 22, poichè: 1.º fino dal mattino del 22 senza aspettare richieste veruna dalla Questura io disposi le truppe sui vari punti della città, e ne dava partecipazione al ministro dell’Interno e colla Questura; -2.º alle 8 1/4 antimeridiane del 22 io scriveva al ministro della Guerra, lamentando che il delegato promessomi dal ministro dell’Interno non fosse per anco comparso; 3.° più tardi io scriveva al questore chiedendogli ufficiali di pubblica sicurezza per continuare le pattuglie aggiungendogli la preghiera di far visitare le case di tolleranza e degli affitta-letti; — 4.º perchè il questore nel trasmettere al Gran Comando una richiesta fattagli dalla società del gaz ebbe a pregarmi quando concorressi nello stesso avviso suo di mandare in vigilanza del gazometro un competente numero di soldati; 5.° ed [p. 1077 modifica]infine poichè «la commissione racconta come un ufficiale di pubblica sicurezza volendo per essere stato colpito da sassi, esigere dal comandante della pattuglia colla quale camminava che facesse soffermare la pattuglia per far le intimazioni alla turba e discioglierla e ciò non essendo parsa opportuno al comandante la pattuglia proseguiva quindi la marcia in mezzo ai fischi, urli ed invettive».

Riguardo al primo di questi fatti, che gli onore voli ex-ministri ritengono bastare per sè soli a mostrare come nel giorno 22 il Gran Comando aveva più estesi poteri di quelli che sono ordinariamente esercitati dall’autorità militare nei suoi rapporti coll’autorità civile»; risponderò che le disposizioni date alle truppe fin dal mattino del 22 il furono d’ordine del ministro della Guerra e che se io faceva conoscere quella dislocazione delle truppe al ministro dell’Interno ed alla Questura ciò non era perchè mi sentissi in diversi rapporti col detto ministro e colla Questura, bensi unicamente, onde sapessero ove si dovesse ricorrere per aver truppe al bisogno. E ciò mi sembrò e mi sembra tuttora preciso e regolare dovere del l’autorità militare in consimili circostanze.

«Circa al 2.°, 3.° e 4.° punto me ne riferisco a quanto dissi a pagine 12, 13 e 14 della mia lettera al Senato: mentre per quanto io vegga non valgono ad infirmare queste mie dichiarazioni le citazioni in proposito degli onorevoli ex ministri.

«E neppure so intendere cosa si voglia provare col racconto fatto al 5.0 punto, poichè certo non vale a provare che il Gran Comando avesse nel 22 più estesi poteri che nel 21; bensì invece a mettere in evidenza come la truppa abbia osservati in quella critica circostanza, come sempre, un’esemplare moderazione e un ammirabile contegno che se da altri fosse stato osservato oh! certo non sarebbero avvenuti i funesti guai.


III.


«Per riscontrare uno ad uno gl’indizi che gli onorevoli ex ministri adducono (pagina 7.° e 13.°) onde [p. 1078 modifica]sostituirla a quella prova di fatto che manca circa al tempo in cui io abbia ricevuto il mandato di restaurare l’ordine nella città e i poteri civili e militari sufficentemente estesi per adempirli, dovrei soverchiamente allungarmi più di quanto il breve tempo disponibile lo mi consente e del resto non credo di gran bisogno di farlo.

«Come già ho detto nella mia lettera al Senato, pagine 6 e 7, non intendo contestare punto le deliberazioni che i ministri avrebbero prese il 21, ma recisamente nego, come già ho negato, che il mandato per l’esecuzione di quella deliberazione mi sia stato comunicato prima dell’accaduto di piazza San Carlo, la sera del 22, cioè prima di quella tale circostanza di tempo e di luogo che mi pare d’aver ben precisato a pagina 18 della mia lettera al Senato.

«Nella decretazione che mi conferisce quello straordinario incarico, per quanto siasi fatto, niuna traccia si trovò nè negli uffici del ministero della Guerra, nė in quelli del Gran Comando. Che se fosse mai esistito, oltre che di un documento così grave per la grave responsabilità che mi attribuiva, io ben precisamente mi ricorderei e si ricorderebbero alcuno del ministero della Guerra, od alcuno del mio stato maggiore, è affatto incredibile la fatalità dello smarrimento di ogni traccia di essa decretazione per chiunque abbia cognizione delle formalità di carteggio tra il ministero della Guerra e le autorità da esso dipendenti.

«Che se nel mandato non vi è stato tampoco verbalmente deferto se non dopo il fatto di piazza San Carlo, ne ho la piena sicurezza nella mia memoria, e per questa parte non mi si potrà contrastare che l’impressione, e però la memoria debba essere stata assai più viva e certa in chi abbia dovuto ricevere così grave incarico, che in quegli che lo abbia dato. Eppero li due mesi trascorsi fra gli avvenimenti di setlembre e gl’interrogatori miei, non hanno verosimilmente potuto aver così fuorviata la mia memoria, allorchè le risposte da me date alla commissione non furono solo date a memoria, ma appoggiate a fatti e documenti e per anco a testimonianza di persona, la [p. 1079 modifica]quale il perchè non sia stata interrogata dalla Commissione, non mi appartiene di qui sindacare.

Quindi è che quand’anche per verace sentimento di stima al compianto generale Della Rovere io possa attribuire ogni credito alla sua postilla citata alle osservazioni degli onorevoli ex-ministri, per in quanto egli possa aver avuto al pari dei suoi colleghi il convincimento d’avermi partecipato l’ordine del Consiglio, nella notte del 21 al 22, ciò nondimeno non posso a meno d’esser certissimo che quel suo convincimento non fu tradotto in atto che la sera dopo, e pur fosse che non avessimo avuto la sventura di perdere quel l’insigne generale che sicuramente riandando le varie circostanze di quei gravi e dolorosi momenti la memo ria dell’uno avrebbe soccorso quella dell’altro e avremmo concordemente rammemorato quello che da me non già, sembra oggi men chiaramente ricordato, ma perfettamente ricordato, asserito e comprovato.

Gli onorevoli ex-ministri citano varie lettere a sostenere che il giorno 22 la Guardia nazionale fosse ai miei ordini, ma tra queste non so rinvenirne che possa servire di vero fondamento à tale asserzione. Colla Guardia nazionale, già il dissi, non ebbi il 22 a prendere verun concerto. Solamente il ministro dell’Interno mi assicuro che essa non sarebbe concorsa in servizio; ed evidentemente che concerto poteva io prendere con una milizia che non dovea comparire?

«Relativamente poi agli allievi carabinieri che io affermai e dimostrai essere stati la sera del 22 ad esclusiva, diretta ed immediata disposizione della Questura, gli onorevoli ex-ministri impiegano due grandi pagine e documenti per provare il contrario. Ma lascio a chiunque voglia leggere le pagine 16 e 17 della mia lettera se chiarissimamente ivi non apparisca come io parli dei 40 allievi carabinieri posti a rinforzo della compagnia interna dell’arma stessa e ad immediazione della Questura per sua richiesta sporta fin dal 21, al comandante locale dei reali carabinieri.

Gli onorevoli ex-ministri hanno voluto fermarsi alle parole del periodo della pagina 17, ove riepilogai quanto sopra avea dimostrato, e perchè io nel [p. 1080 modifica]riassumermi non pensai a ripetere ciò che con poche righe prima aveva bene esplicitamente detto e ridetto, essi hanno forse potuto intendere che io parlassi della 14.ª legione, la quale tutti ben sanno dipendere dall’autorità militare locale, quale truppa presidiale; mentre invece la legione stessa dà tal volta picchetti e uomini staccati pel servizio di pubblica sicurezza a rinforzo della compagnia interna dei reali carabinieri, ed allora questi uomini e picchetti passano momentaneamente sotto la giurisdizione della autorità politica (pagina 4 della Relazione della Commissione).

«Ecco perchè gli squadroni della 14.ª legione furono per mio ordine ritirati, come ne scrivevo al ministro della guerra alle 8 1/2 del 22 settembre, comunicandogli, com’era preciso dover mio, la dislocazione delle truppe nel foglio che piacque agli onorevoli ex-ministri di riprodurre.

«Ecco spiegato perchè rimasero ad esclusiva diretta ed immediata disposizione della Questura, 40 allievi carabinieri che io non potei toglierle, se non quando ebbi l’autorità di farlo, cioè il mattino del 23. E mi pare che queste brevi spiegazioni sieno abbastanza chiare per distruggere tutte le argomentazioni fatte dagli onorevoli ex-ministri, nelle succitate pagine delle loro osservazioni, ed ovviamente fondate su di una interpretazione di parole.


IV.


«Infine, a constatare che la sera del 22, dopo la catastrofe di piazza San Carlo abbia avuto luogo fra me ed i ministri quella tal conferenza ove mi furono offerti gli estesi poteri e furono dessi da me accettati alle assolute condizioni, ricordate a pagina 20 della mia lettera al Senato, al biglietto del ministro dell’Interno a me diretto la sera del 22 alle 10 1/2, da me riportato nella suddetta mia lettera, si contrappone un biglietto da me scritto mezz’ora prima.

«E ciò che prova? Prova seinpre più quanto in me fosse fermo il convincimento dell’urgenza di adempiere ad una delle condizioni verbalmente da me imposte all’accettazione dei poteri estesi, che per [p. 1081 modifica]sollecitarla maggiormente aggiunsi subito alle parole lo scritto.

«Il vivo desiderio, come dissi, di poter concorrere a semplificare ed agevolare la discussione della Camera fin dal suo principio, e le pochissime ore lasciatemi per farlo, mi hanno costretto di rispondere a precipizio e soltanto ai principali punti delle osservazioni che gli onorevoli Minghetti, Peruzzi, Pisanelli e Visconti-Venosta hanno fatto alla lettera da me diretta al Senato il 13 corrente, sebbene avrei avuto materia onde rispondere anche agli argomenti secondarî e accessorî. Ma d’altronde a che?

«In tutto questo viluppo d’induzioni, citazioni e prove per me un solo fatto dominante, una sola questione principalissima esiste, ed è a questa ch’è forza rivolgersi, a quella cioè di sapere da chi dipendesse direttamente il questore la sera del 22 settembre.

«Che il ministro dell’Interno «abbia dato o non al questore l’ordine di dipendere da me» ciò non monta a gran cosa in definitiva analisi. La prova irrefragabile di fatto che il questore non fosse allora ai miei ordini diretti ed immediati sta in ciò che per quante indagini siansi fatte, tanto al ministero della Guerra, quanto al Gran Comando, per trovare la menoma traccia d’ordine o d’istruzioni in proposito, tutte riuscirono negative. Quindi la forza interna della Questura adoprata così fatalmente in quella sera e che fu il preludio e la positiva cagione di quella gran catastrofe non era agli ordini del comandante il dipartimento, e per conseguenza mi sento in pien diritto materiale e morale di respingerne la responsabilità non meno di quanto io il sia di respingere quella del luttuoso avvenimento della sera precedente, succeduto me assente da Torino.

«Torino, 22 gennajo 1865.

«Della Rocca».


Malgrado l’interpellanza diretta dall’onorevole deputato Alfieri, o piuttosto la lagnanza di lui perchè non si fosse distribuita questa controrisposta del conte Della Rocca in tempo opportuno onde la Camera ne [p. 1082 modifica]prendesse conoscenza, prima di pronunciarsi intorno al rapporto della Commissione d’inchiesta, noi dubitiamo molto, qualora l’assemblea elettiva non avesse a grande maggioranza adottato l’ordine del giorno eminentemente patriottico e conciliativo proposto dal barone Ricasoli, che la controrisposta in discorso avesse valuto in qual si fosse guisa a modificare il concetto che i rappresentanti della nazione si fossero per avventura formato intorno alla vertenza ch’essa intende a mettere in chiaro. Ultimo resultato di tale vertenza è stata la spontanea rinuncia del generale Della Rocca al comando del 4.° dipartimento militare, rinuncia che ad ogni modo l’applaudiamo d’avere offerta, per un senso di delicatezza molto apprezzevole.