Il Novellino/Parte terza/Novella XXIV

Novella XXIV - Uno giovene ama una donna, e da
lei non è amato, occultaseli in casa, e vede uno moro nero la cavalcare, scoprese e dicele injurie assai

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Novella XXIV - Uno giovene ama una donna, e da
lei non è amato, occultaseli in casa, e vede uno moro nero la cavalcare, scoprese e dicele injurie assai
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NOVELLA XXIV.




ARGOMENTO.


Un giovine ama una donna e da lei non è amato, occuitaglisi in casa. un moro nero conosce carnalmente la donna dove l’amante era occultato; discopresi, e con molte ingiurie rimorde la malignità della donna: e l’amore in odio si converte.


ALL’ECCELLENTE CONTE D’ALTAVILLA1.


ESORDIO.


Per non volgere la mia penna contro coloro che non me ne hanno data cagione, volendo a te, eccellente Signore, la presente novella intitolare, ho deliberato in essa non solo i nuovi casi della donna come dell’uomo tacere, ma anco la città ove il fatto intervenne di nominarla mi restare; e per la quale intenderai uno strano e durissimo caso travenuto a un infelicissimo amante condotto a termine che gli convenne in pronto pigliare un partito di quello che ad ogni alto intelletto con lunghi pensieri difficultuoso stato sarebbe. Supplico te dunque, quando nel leggere di tale accidente sarai calente, e da [p. 277 modifica]amorose fiamme fusti alcun tempo riscaldato, doni giusta al tuo piacere giudicio quello che il misero amante far debbe, o se da quello che se ne segue dee essere commendato.2

narrazione.

In una famosa città d’Italia non è gran tempo che fu un giovine d’autorità non piccola, formoso di viso e di corpo, costumato, e d’ogni virtù pieno, del quale quello che a giovini suole spesso intervenire, cioè che lui s’innamorò d’una leggiadra e bella donna moglie di uno dei primi cavalieri de la città. Del quale la donna accorgendosi, e vedendolo ogni dì andare travagliando per poterle in grazia entrare, si deliberò, come è già di loro innato costume, di alla prima scontrata con tutti suoi ingegni ed arti di avvilupparlo tra la sua ingannevole rete; e ciò con gran facilità fatto, cognobbe lui essere in maniera preso che retrarre non se averia possuto di leggiero indietro; e per non farlo stare del suo amore molto tempo contento, fra brevissimi dì lo cominciò da passo in passo a disfavorire, e di continuo gli dimostrava avere a niente e lui e tutte sue operationi. Di che il poveretto amante pessimo contento con insopportabile noia ciò tollerava, e vedendo che di giostrare, e largo spendere, e altre notevoli cose che per rispetto di lei continuo facea nulla gli giovavano, anzi gli parea che di novo sdegno le fossero cagione, più volte fè prova rimanersi da la cominciata impresa per volere, se potea, in altra parte i suoi pensieri drizzare. E sopra di ciò con ogni studio attendendo, come la donna il vedea del suo fervore alquanto [p. 278 modifica]intepidire, con nova maniera d’inganno alcuna bona grazia dimostrandogli, il facea al pristino trastullo ritornare; e quando lo cognoscea a suo modo adescato, con contrarii venti navigando, il reducea al solito e suo misero stato: e ciò con grande arte da maestra adoperava, sì per gloriarsi essere tra il numero delle oneste e belle per avere tenuto in tempo un sì fatto amante, e sì che colui fosse testimonio di sua simulata virtù di non far credere di lei niuna scelleranza in tanto in pubblico fosse venuta. Stando dunque l’infelice giovine in tanto reo e malvagio tormento più e più anni senza essergli una sola volta concessa risposta di vera speranza, si deliberò, se morte ne dovesse ricevere, entrare di segreto3 in casa de la donna, e, secondo la fortuna gli concede, adoperare. E cattato il tempo che il cavaliere marito della donna era andato per suoi bisogni per alcuni dì fuori la città, una sera al tardi per cauta via le entrò in casa, e occultatosi in un magazzeno che nel cortile era per rispetto e reposto de biada adoperato, dietro a certe botti vacue si pose a stare tutta la notte, con la speranza che la donna la matina andando a la chiesa, a lui venesse fatto di posserle in camera intrare, e asconderse sotto il suo letto per poscia la notte provare sua ultima ventura. E come volse la sua sorte, che sempre da male in peggio lo avea persecuto, che la donna per sopra venutale necessità quella mattina non si partì di casa: di che lui che insino a nona avea indarno aspettato con la solita pena e pazienza, propose ivi insino a l’altra mattina dimorare; e pasciutosi di alcune confetioni che seco per tal rispetto avea portate con assai [p. 279 modifica]rincrescimento e poca speranza queto a detto loco si stava. Ed essendo ornai la maggior parte del dì passata, sentì venire un moro nero mulettiere di casa con due some di legne, le quali discargate dentro al cortile, la donna al rumore di quelle si fé ad una finestra, e con acerbette parole cominciò a mordere il moro clie avea molto dimorato, e poche e triste legne recate. Il moro poco o niente rispondendo attendeva adagiare li muli, e rassettare i basti, ed entrando in quel loco dove il giovine stava ascosto per pigliar la biada, ecco venir la donna, e intrare appresso al moro, e con le solite parole motteggiando, cominciò lievemente a giocar di mano, e da una cosa in un’altra procedendo, il miserrimo amante che mirando stava e che per sua unica sorte averla desiderato essere peggio che moro purché gli fosse stato concesso quello che al moro senza alcuna sua industria era conceduto, vide la donna serrar la porta, e senz’altro contrasto si trasse sopra i basti dei muli, e tiratosi l’orribilissimo moro addosso, il quale non aspettando altri inviti, posto mano a ferri, la cominciò a la canina a martellare. Deh, vaghi giovini, deh leali e perfettissimi amanti che ad ogni ora ponete l’onore e le facoltà con la vita insieme in periglio per lo infido e fetido femineo sesso, fatevi a questo punto avanti, e ognuno a sé pensando doni, giusta il suo potere, giudicio di quello che il disavventurato giovine a tal partito estremo adoperar dovesse, che certo secondo il mio basso vedere ogni consiglio intorno tale fatto era scarsissimo. Pure per fornir la istoria dirò de vero quello che il poveretto amante da subito consiglio mosso già fece. Lui, come è detto, ciò vedendo, e non possendolo [p. 280 modifica]in alcun modo patire, essendo il suo ferventissimo amore in odio convertito, uscì d’aguato con la spata nuda in mano, con fellone animo di volere con un medesimo colpo tutti due di vita privare, pure tra quel breve spacio da alcuna ragione raffrenato, pensò che villanamente avaria adoperato a contaminar la sua spata con la morte d'un mastino, e d’una sì vile ribalda, come vedea esser colei che virtuossissima insino allora avea reputata; e gionto a loro con uno spaventevole grido, disse: Ahi misera e infelice la vita mia! a quanta orribilità e mostruosa operatione vedere mi ha la mia prava fortuna arrecato! E al moro rivolto disse: A te fiero cane non so altro che dire mi debbia, se non commendandoti tuo provvedimento, di restarti obbligato in eterno per lo avermi liberato dalle mani di questa fiera silvana divoratrice d’ogni mia contentezza e bene. La donna veduto l’amante come rimanesse ismorta, e quali fossero stati i suoi pensieri, ciascuno da sé medesimo il può giudicare; essa che la morte con assai meno noia averia e con ragione tollerata, per rabbia e per dolore grandissimo fra quello mezzo gli si era alli piedi buttata, non dimandandogli mercè, ma supplicando che la meritata morte senz’altro intervallo donar le dovesse: Di che lui che la risposta avea già apprestata, li disse. O scellerata e libidinosissima lupa, o vituperio ed eterna infamia del resto de le femmine, da quale furia, da quale foco, da qual foia ti se’ lasciata vincere a sottoporre a un nero veltro, a un irrationale animale, o per più propriamente parlare a un mostro terreno, come è questo mordace cane, al quale hai dato in pasto la tua infetta e putrida carne? E se degnamente ti pareva [p. 281 modifica]adoperare di straziarmi tanti e tanti anni per costui, non dovesti avere almeno riguardo alla dignità tua, all’onore del mondo, all’amore che porta a te tuo marito e a quello che tu meritamente portare dovevi, il quale senza dubbio mi pare el più leggiadro virtuoso ed acconcio cavaliere che nella nostra patria sia? Certo non so altro che dir mi sappia se non che le più di voi sfrenata moltitudine di femmene in quelle cose che a la lussuria appartengono, né da timore né da vergogna né da coscienza siete raffrenate a far distintione alcuna dal signore al servo, dal nobile al villano, e dal bello al brutto, purché secondo il vostro imperfetto giudicio si possa o sappia meglio nel battere de la lana esercitare. La morte che con tanta istanzia a darti me inviti, non mi par necessario che tu avendola, la debbi con tanto desiderio addimandare, però che essendo sì denigrato e diffamato e oscurato il nome tuo, assai pejo che morta ti poterai per lo innanzi meritamente tenere e giudicare; anzi voglio che vivi al mondo per rendere a te medesima testimonio della tua nefandissima scelleragine, e che quante volte tu me viderai rimembrandote di tua miseria e preterita vita, tante morti di novo incorrerai. Ora rimani con la tua mala ventura, che egli è tanta e canina puzza che da tua contaminata carne esce, che quivi dimorar non posso. Ed essendo omai l’ora tarda, senza essere da alcuno veduto se ne uscì fuori, e ritornossi a casa sua; e la donna che ad una sola parola non avea risposto, dolente lagrimevole e trista in camera se ne tornò. Il giovine lasciata la sua insegna che giostrando e armeggiando portar solea, fece un nero e fiero veltro che tra piedi e denti tenea divorando [p. 282 modifica]una ignuda e bellissima donna; la quale da lei vista ogni volta si sentia passare un freddo cortello per mezzo il core: e così la malvagia femmina de tal castigo de continuo vessata era ogni dì morsa e lacerata.


MASUCCIO.


Da la enormità del ricontato caso me se move un dubbio, chi se deve più o l’amante commendare che fé quello che a nobile spirito s’appartenea de fare, o la ribalda femmena sia da biasimare, attento che similmente adoperò quello che quasi tutte assai peggio adoperano quando la commodità loro non è interdetta; perocché indubitato potemo tenere che rare sono quelle che avendo il destro non vadano in corso la roba di ogni uomo4, come ogni dì se ne vede aperto testimonio, e come anco la venente novella in sul tal credere ne confirma, nella quale essendo la giovene che descrivere intendo unica al padre, così volse esser unica nello eleggere il peggio di quanti amianti la vagheggiavano.

  1. Questi fu Francesco di Capua, secondo figliuolo di Luigi Conte di Altavilla, e successe nel contado di Altavilla al fratello primogenito Andrea. Morì in Napoli nel 1488. Fu della stessa famiglia del prode Matteo di Capua Conte di Paleno.
    Il palazzo di questa nobile famiglia diventò il Convento di S. Antoniello in via Costantinopoli.
  2. Non è chiaro, ma così è scritto.
  3. dice de requeto, spagn. di nascosto.
  4. S’intende; ma la frase non è chiara, e forse manca qualche parola.