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se fiamme fusti alcun tempo riscaldato, doni giusta al tuo piacere giudicio quello che il misero amante far debbe, o se da quello che se ne segue dee essere commendato.1

narrazione.

In una famosa città d’Italia non è gran tempo che fu un giovine d’autorità non piccola, formoso di viso e di corpo, costumato, e d’ogni virtù pieno, del quale quello che a giovini suole spesso intervenire, cioè che lui s’innamorò d’una leggiadra e bella donna moglie di uno dei primi cavalieri de la città. Del quale la donna accorgendosi, e vedendolo ogni dì andare travagliando per poterle in grazia entrare, si deliberò, come è già di loro innato costume, di alla prima scontrata con tutti suoi ingegni ed arti di avvilupparlo tra la sua ingannevole rete; e ciò con gran facilità fatto, cognobbe lui essere in maniera preso che retrarre non se averia possuto di leggiero indietro; e per non farlo stare del suo amore molto tempo contento, fra brevissimi dì lo cominciò da passo in passo a disfavorire, e di continuo gli dimostrava avere a niente e lui e tutte sue operationi. Di che il poveretto amante pessimo contento con insopportabile noia ciò tollerava, e vedendo che di giostrare, e largo spendere, e altre notevoli cose che per rispetto di lei continuo facea nulla gli giovavano, anzi gli parea che di novo sdegno le fossero cagione, più volte fè prova rimanersi da la cominciata impresa per volere, se potea, in altra parte i suoi pensieri drizzare. E sopra di ciò con ogni studio attendendo, come la donna il vedea del suo fervore alquanto

  1. Non è chiaro, ma così è scritto.