Il Novellino/Parte quinta/Novella XLVII
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NOVELLA XLVII.
ARGOMENTO.
A LO ILLUSTRISSIMO SIGNORE DUCA DE URBINO1.
ESORDIO.
Se gli eloquenti e peritissimi Oratori sogliono nel cospetto de grandi principi e signori orando tale volta abbagliare e impigriti obmutescere, quale maraviglia, illustrissimo mio Signore, che Masuccio con la soa imperitia volendo scrivere a te signore, che non solo nell’arme e militare disciplina novello Marte, ma in eloquenza e in dottrina un altro Mercurio puoi e meritamente essere chiamato, se li sensi, li organi, con li istrumenti insieme se li confondono e travagliano in maniera che non che de altri ma de lui stesso né po' né vale vero giudicio donare? Nondimeno così devio e fore de strata camminando ho preso per partito, non manco per volere la mia operetta del tuo esimio ed excellente nome favorire, che per osservare la mia promessa negli partenopei marini liti già fatta, de con le mie inlicite lettere in sì longa assentia visitarte come caro amico, e de uno notevole gesto e giusto e in parte rigido e severo de uno principe aragonese darte notizia, acciocché tu, esempio de virtute fra viventi, possi tali virtute predicando e narrando commendare. Vale.
NARRAZIONE.
Dico adunque che dopo el ritornare de la ricca e potentissima Barsellona alla debita fidelitate dell'inclito signore Re don Joanni d’Aragona, loro vero e indubitato signore, lui del tutto se deliberò vendicarse la occupata da Francesi Perpignano; a la impresa de la quale a suo sussidio provocò lo illustrissimo Principe de Aragona Re di Sicilia suo primogenito, il quale per ossequire a li paterni mandati, lassate le ispane delicie col piacere de la novella sposa insieme, con suoi baroni e cavalieri entrò al prepostato camino. E passando più città e castella dello castigliano regno, e in ogni luoco lietamente raccolto, e quasi come a loro signore onorato e recevuto, arrivò in Vagliadolì, dove non meno per la sua autoritate, che per el novo parentato fu onorevolmente e con gran triunfi recevuto, e alloggiato in casa d'un notevole cavaliero de' primi nobili de la città; il quale dopo li suntuosi apparati e senza alcuno sparagno, per non lassare alcuna parte de l'onore e allegrezze a dimostrargli, sì come a sì gran principe si richiedeva, el dì sequente si fè convitare a casa soa la maggior parte de le donne de la città a fargli festa, con diverse qualità de instrumenti ed ogni maniera de balli; tra le quali più che altre leggiadre e oneste furono doe soe figliole vergini donzelle, e de tanta soperchia bellezza che fra lo resto teniano il principato. Per el che accadde che doi cavalieri aragonesi, de' primi amati e molto favoriti dell'excellente signore Re, se innamorarno ardentissimamente ognuno a una di dette belle damigelle, e in maniera che in sì brevissimo tempo se retrovorno fuori el pelago d’amore usciti che niun altro in contrario vento li averia a porto de quiete possuti ritornare; e anteposto il solo loro disordinata volere ad ogni onestissimo debito di ragione, per ultimo partito già preseno, prima che da quindi se departessero, se morte se ne dovesse recevere, ottenere la vittoria de tale impresa; e per el partire del Re loro signore eccellentissimo che el prossimo dì se appressava, proposene d’uno volere d’accordo la sequente notte tale loro iniquo e scelerato desiderio mandare a intero effetto. Ed avuta per strana e cauta via la pratica d'una fante de casa del cavaliero, la quale si domandava per nome Agnolina, la quale nella propria camera di dette donzelle dormia, e con molti doni e assai promesse, come di oltramontani è costume, corrottala, con lei ordinarono quanto per compimento al fatto bisognava; e come la camera e fenestre de dette donzelle fossero molto levate de la strata, nondimeno amore a memoria loro aveva tornato una scala de corda che in nel loro carriaggio tentano, che in altre parte per scalare de monasteri aveano adoperata, e di quella loro occorse a tale bisogno se ne servire, attento che ogni altro pensiero l'aveano già trovato vano. E come notte fu, con li necessarii preparatorii a piedi della provista fenestra se condussero, e con el favore de la contaminata fante ebbeno maniera de appiccar la scala a la fenestra della camera dove dette donzelle securissime si credevano essere, e l'uno dopo l'altro saliti, e con piccolo lume intrati, le trovorono in letto ignude e discoperte che forte dormivano e quete; delle quali ognuno d’essi l’amata con grandissimo amor cognoscendo loro se posero de lato, e se acconciorno a fornir lor pravo tristo e scelleratissimo proponimento. Per la venuta de' quali le povarette e oneste figliole ancor che del tutto non si svegliasseno, pure una con altra festeggiare come erano intra loro solite credendosi, prima che el vero del fatto avessero cognosciuto, sentero la virginitate con grandissima violentia ed inganno loro essere stata rapita e robata, e dolenti de ciò a morte con altissime voci chiamorno e dimandorno soccorso. Allo rumore e quistioni grandissime fatte de quali,2 el padre prestissimo e rattissimo venuto, e da le figliole el fatto recontatoli, e trovati quelli cavalieri fuggiti, e la scala ancora a la finestra appiccata, gli parve per subito espediente e con aspre minazze e tormenti voler da la detta fante sapere chi fossero i laceratori de la sua onestà e del suo onore stati; da la quale a lui pienamente declaruta e ogni cosa saputa per certo, con quel dolore che ciascuno può pensare, e a confortare le figliole che ognuna voluntaria e orribile morte avea già eletta, come dì fu, ancor che l'angustia de la mente avesse el core del prudente cavaliere mortificato, pure con animositate grande con le figliole per mano se ne andò in camera del Sicolo Re, e gli disse: Signore mio, ti piazza di aldirme ed ascoltarme alquante parole per discacciare via lo affanno e fastidio el quale porìa avenir nelle menti umane. Io ho qui meco portato li frutti colti da li giardini de toi intimi creati per ultima ingratitudine e perpetuo restoro della mia debita e amorevole demonstratione che per onorar Te con loro insieme ho già fatto. E detto, interamente il fatto gli recontò; e a vedere le figliuole quivi amaramente piangere, da pietade e da interno dolor vinto anco lui fu costretto a fiero lacrimare. El prudentissimo e sapientissimo Signore Re che con dolore e rincrescimento grandissimo el cavaliere aveva ascoltato, fu de tanto furore e sdegno assalito che poco se tenne che in quello ponto non facesse li suoi pravissimi cavalieri vituperosamente morire, nondimeno temperatose alquanto, se riservò nell'arcano del suo petto la fiera punitione la quale a tanto aspro e strano caso se rechiedeva; e dopo che el povero cavaliero con le soe figliole insieme ebbe racconfortati, deliberò prima al perduto onore de coloro in parte provvedere, e il cenceputo sdegno alquanto mitigare. Perchè differito el suo partirse, de continente ordinò col Potestate che tutti notevoli uomini e donne de la città per una nova festa che de fare intendeva in casa de lo cavaliero se adunassero. I quali prestissimi devenuti, e in una gran sala condutti, el prudentissimo Re in mezzo delle doe donzelle accompagnato se ne uscì fuora, e da l'altra parte fatto i doi delinquenti suoi cavalieri ivi venire, quasi lacrymando, lo enormissimo caso, e come e quale era successo pontualmente a tutti fe' palese; per la cui cagione lui voleva che per alcuna emenda de tanto detestando eccesso quivi de presente fatto, ognuno di loro avesse la sua per moglie sposata, e che a ciascuna fossero diece milia fiorini d'oro de dote per essi costituiti. E subito ciò mandato ad intiero effetto, lo eccellentissimo e liberalissimo Re de soi contanti volse quivi de presente le promesse doti a le donzelle interamente pagare. Così lo avuto dolore e merore in tanta allegrezza convertito, fu la lieta festa raddoppiata, e la contentezza de ognuno fatta maggiore; perchè el Re in su la maestra piazza venutone, e fatti tutti e nobili e popoli a sé chiamare, dove i doi novelli sposi bene guardati erano presenti, da poi che da gli araldi al molto e diverso ragionato fu posto silenzio, agli ascoltanti così disse: Signori miei,3 parendome con mia poca contentezza allo onore de lo bono cavaliere mio oste e di soe figliole de quelli opportuni remedii provvedere che in tali estremità da li fati mi son stati conceduti, come ognuno de voi po' e potrà in futuro render testimonio; voglio ormai a la giustizia, alla quale prima e più che a niuna altra cosa sono obbligato, interamente satisfare, a la quale più presto eleggeria la morte che in alcuno atto mai mancare; e però ciascuno tolleri in pacientia quello che con dolore mai simile gustato per disobbligarme dal giusto ligame de fare intendo. E ciò detto, senza altro giudicio dare, fatte venir dove4 nere veste insino a terra e li doi cavalieri vestitene, comandò in quello istante in tanto digno spettaculo ambi doi fossero decollati: e così non senza generale lacrymare de gli circustanti fu subito mandato ad effetto, i quali per li cittadini onorevolmente fatti sepellire, el Re volse che tutti i loro beni che ne aveano e mobili e immobili alle vidoe donzelle fossero donati. E ciò espedito, prima che la nova cominciata festa da novo dolore fosse occupata, come el Re volse, furono le ricchissime donzelle a doi de' primi nobili cittadini per moglie sposate: e così la festa, con tanti variati casi e refreddata e riscaldata, fu finita. El Re con lo essere unico principe de virtù e liberalità al secol nostro estimato se partì, e le maritate donzelle con li loro novelli sposi godendo e triunfanti rimaste, tutti gli avuti dolori in somma allegrezza furono convertiti.
MASUCCIO.
Ancora che molti e diversi dignissimi gesti del memorato Principe in ogni loco per lui adoperati con verità grande recontare si possano, pur notevole e grande la parte de la recontata virtù esaminando potrà essere giudicata. E certo volendo, come era tenuto, a li regali precetti ottemperare, non averla altramente possuto esequire; attento che pare che non per altro li mondani principi e da Dio e dalla natura e da le divine ed umane leggi sieno in terra a lo reggimento e governo de' populi e ministramento de giustizia stati ordinati e istituiti, che per governo con eguale bilanza reggere e governare, removendo da lor petto ogni amore e passione, odio e rancore. E coloro che de tali laudabili virtù e degne parti sono accompagnati non per uomini mortali ma per eterni Dei devono e dignamente essere celebrati; e li contrarii non de giusti savii e prudenti Re magnanimi e liberali, ma de iniqui pravi e viziosissimi tiranni lassarono dopo loro immortale fama; siccome la memoria de' boni e de' cattivi ogni dì rende testimonio. E io con veloci passi il cominciato ordine sequendo, e al venente e al piccolo resto, con piacere de Dio, darò ultimo fine.
- ↑ Federico di Montefeltro, primo Duca di Urbino, fu capitano egregio agli stipendii di Alfonso l'Aragonese. La sua figliuola Costanza sposò Antonello Sanseverino; ecco perchè Masuccio gli dedica una novella.
- ↑ Costruzione strana. Quistioni fatte da le quali.
- ↑ Dice: Signore mio: ma non fa senso, e il Re parla ai nobili e popoli.
- ↑ dove, due.