Il Novellino/Parte prima/Novella X

Novella X - Frate Antonio de San Marcello vende il paradiso: dui barri con una contraffatta gioia l'ingannano, e per dolore se more

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Novella X - Frate Antonio de San Marcello vende il paradiso: dui barri con una contraffatta gioia l'ingannano, e per dolore se more
Parte prima - Novella IX Parte seconda - Prologo
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NOVELLA X.




ARGOMENTO.


Frate Antonio de San Marcello confessando vende il paradiso, accumula infinita pecunia; doi Ferraresi con sottilissimo inganno gli vendono una contrafatta gioia: accorgese esser falsa, e per dolore come disperato ne more.


AL NOBELE E GENEROSO MESSER FRANCESCO ARCELLA1


ESORDIO.


Virtuosissimo mio Arcella, se noi mortali volemo accortamente pensare quanta e qual sia stata sublime e immensa la misericordia e abundante gratia del grande Iddio verso la umana generatione, chiaramente cognosceremo che dal principio del nostro procreamento non solo gli bastò averne fatti ad immagine e similitudine soa, ma Volse appresso donarne a dominare e mare e terra, monti e piani, con tutte le generationi di animali irrationali a noi subietti inclinevoli e proni al nostro vivere. E quantunque i nostri primi parenti per loro ardito gusto ad essi e a tutti i successori loro la inevitabile ed eterna morte cercassero, nondimeno per mostrarne [p. 120 modifica]in ogni atto la soa gran liberalità e somma affetione, volse mandare il suo unigenito Figliuolo, volendone da quella redimere, a pigliare con amarissima passione morte in sul legno de la croce, per la quale immediate ne furono aperte le serrate porte del paradiso. Et oltre a questo per non lassare niuna parte a demostrarne la vera affetione del suo caritativo amore, volendo ritornare al Patre onde era venuto, il glorioso pontefice San Piero suo dignissimo vicario ne lassòe con amplissima potestà, e dopo lui tutto el sacerdotal clero successivamente come a suoi commissari che ne possano e vogliano donare, pur che noi vogliamo, la propria città del paradiso. Ma quel che con maggiore ammiratione considerare si deve è la infinita patientia di esso creatore Iddio in tollerare alcuni dei detti commissari sopra la terra, i quali con la detta autorità confessando vendeno come cosa propria, a coloro che comperare il credono, lo paradiso; e secondo la possibilità del compratore e la quantità de’ dinari, gli danno e togliono più e meno alto loco appresso la gran Maestà di Dio, non facendosi distintione da uno a l’altro, omicida o altro d’ogni vitio scelleratissimo a un omo modesto e de bona e costumata vita onorato, pur chele loro avare mani vengano ad essere oncte de moneta. E se non che io ho del tutto deliberato di non volerli più col calcio de la penna offendere, io le recherei qui tanti e tali antiqui e degni di fede esempi, e tante altre moderne e vere testimonianze dei fatti loro, che a te e a molti grandissima ammiratione darla come la divina Justitia non consente a tutti insieme fulminarli e rilegarli nell’estremo centro de l’abisso. Nondimeno [p. 121 modifica]appresso ti dimostrerò quel che un vecchio religioso, per accumulare moneta, facesse, il quale avendo ad infiniti innocenti cristiani il paradiso venduto e per lui le sue porte a tutti aperte, nel suo ultimo partire gli furono meritamente in sul viso riserrate.


NARRAZIONE.


Nel tempo de Eugenio IV dignissimo Principe del Cristianesimo fu in Roma un religioso d’anni pieno, cattolico, e de bona e santa vita estimato, il cui nome fu frate Antonio de San Marcello de l’ordine de’ Servi, grandissimo tempo tra ’l numero de gli altri penitenzieri nelle sedie di San Piero exercitato, nel cui uffitio continuando, e non con volto de l’arme, come alcuni sogliono, ma con piacevoli accoglienze e dolci maniere persuadeva a ciascuno lo andarsi da lui a confessare, imperò che come l’acqua l’acceso foco ammorta, cosi la santa elemosina mediante la vera confessione purga in questo e in l’altro mondo i peccati; e quando alcuno per avventura a lui fosse andato, il quale tutte scelleragini e irremisibili peccati che per umano spirito adoperare si possano avesse commesso, pur che la mano d’altro che di vento gonfiata li avesse, di botto dirimpetto a San Giovanni Battista il collocava. E in tale enormissimo guadagno molti anni continuando ed essendo quasi per santo da ciascuno tenuto e riputato, avvenne che la maggior parte di oltramontani ed anco di italici da altro che da costui non si averebbeno saputi per nessun modo confessare, riempiendogli ogni dì la tasca di varia quantità di monete. E benché avesse con questo modo assai migliara di [p. 122 modifica]fiorini accumulati, e con ipocrite viste alcuna dimostrazione de fabbricare nel suo monasterio facesse, non di meno erano sì rare e poche le spese che alla sua grande entrata altro non era che un bicchiero d’acqua di Tevere aver tolto. Onde non dopo lungo tempo arrivando in Roma dui giovani ferraresi, l’uno Ludovico e l’altro Biasio nominati, li quali come è usanza di lor pari, con false monete, e gioie contrafatte, e con altre assai arti coloro ingannando che gionger si poteano sotto vento, andavano continuamente il mondo trascorrendo; costoro essendo un giorno de la gran ricchezza de frate Antonio fatti accorti, e com’egli sopra ogni altro vecchio e religioso era avarissimo, tal che non ad altro fine stava a detto loco de penitenziaria che per innata cupidità, dove de celestiali sedie facendo continuo baratto, con più proprio nome banco di pubblicano saria stato chiamato; e trovato come ancora il buon frate con certi cambiatori di monete, come che d’ogni lingua esperti star vi sogliono, tenea stretta pratica e conversatione, e che altre industrie quelli non facìano che de cambiar monete di lor paese, siccome tutta via dinanzi a San Piero per comodità degli oltramontani che veneno oggidì fanno, e che da questi tali non solo gli erano le monete cangiate e per le accumulare in italiche ridotte, ma anche la compera di alcune gioie che li veniano a le mani gli consigliavano; cosi adunque di soi progressi particolarmente informati, dimettere il frate al numero degli altri da loro beffati si deliberarono. Del che avendo Biasio molto bene la lingua castigliana, fingendo essere uno de li cambiatori de la nazione spagnuola, appiccatasi una [p. 123 modifica]banchetta al collo, con soi danari una matina per tempo come gli altri dinanzi San Piero si collocoe, ed ogni volta che frate Antonio intrava o usciva, con lieto viso facendoli costui di cappuccio salutava; e in tal ordine continuando, e venendo anche desidederio al frate de aver soa dimestichezza, e un dì chiamatolo piacevolmente, e del suo nome, e di qual parte fosse il dimandoe. Biasio di ciò lietissimo divenuto, parendogli che il pesce odorasse l’esca, con accorte maniere in tal forma gli rispose; Messere, io ho nome Diego di Medina, al piacer vostro, e son qui non tanto per cambiar monete, quanto per comparare alcuna bella gioia ligata o sciolta che ne le mani mi capitasse, de le quali la Dio mercè sono grandissimo cognoscitore, come quel che lungo tempo in Scotia dimorai, dove volsi intendere molti secreti di tale arte. Come che sia, patre mio, io son tutto vostro; e venendovi de le nostre monete tra le mani, io sono apparecchiato con ogni piccolo guadagno a servirvi, così per rispetto de l’abito, come per amore de la vostra nova e a me carissima cognoscenza. Il frate udito lo acconcio parlar di costui, ed avendo inteso esser sì gran lapidario, non in poco grado piaciutoli, anzi grandissima ventura tenendosi di avere un tal amico acquistato così con viso giocundo gli rispose: Vedi, Diego, tu dei sapere che ogni bono amore è reciproco; però avendo io di singolare autorità e forse maggiore de’ penitenzieri di questa chiesia, non vi rincresca, quando alcuno de vostra nazione o d’altra vi capitasse innanzi, mandarlo da me che per vostro amore lo averò per recomandato, e di far per voi il simile o più mi darete cagione. E in tal modo di [p. 124 modifica]parte in parte ringratiatisi e concluso non altramente usarsi l’uno l'altro che da patre a figiuolo, ciascuno a far suo ufficio si ritornoe.

Ludovico, che secondo l’ordine tra loro fermato era travestito in marinaro provenzale de galea fuggito, e per San Piero andava mendicando, sapea sì ben fare l’arte del gaglioffo che oltre a quello che di fornire intendeva, ricevendo quasi da ognuno limosine di assai minuti arravogliava2, e discorrendo per la chiesia con l’occhio sempre al pennello3, e visto frate Antonio senza impaccio di confessare, con lento passo a lui accostatosi umilmente di un poco di udienza lo supplicoe. Il frate che avea borsa di ogni danaro, ancora che secondo la vista poverissimo lo stimasse, pur di riverso voltatoglisi4 a piedi e fattosi el segno de la santa Croce così gli prese a dire: Patre mio, ancora che li mei peccate siano grandi io non sono pur tanto per confessarmi quanto per rivelarvi un grandissimo secreto, e più presto a voi che ad altri, parendomi comprendere in voi grandissima bontà e divotione verso el servicio di Dio; né so quale spirito dentro mi stimola o per mia ventura, o vostra bona sorte, che mi sento costretto solo a voi manifestarlo; e per tanto vi rechiedo e supplico per lo vero Dio e per lo santissimo sacramento de la confessione, vi piaccia con quel silentio tenermi che voi medesimo [p. 125 modifica]discernerete persuadere el bisogno. Frate Antonio che ben considerava secondo il suono de le parole potere da quello trarre alcuna utilità, verso lui subito voltatosi, e tutto estimatolo, benignamente così gli rispose: Figliuolo mio, a volerti di me fidare quello ne potrai eseguire che l’animo ti consiglia: pure di ricordarti non restarò che ogni tuo secreto palesar mi potresti senza niuna dottanza, imperocché devi ben sapere che non a me ma a Dio il diresti, e che niuna vituperosa morte, oltre la dannatione eterna che ne seguirla, potrebbe esser bastevole a punir colui in questo mondo che revelasse un minimo secreto de la santa confessione. Ludovico che astutissimo era, cominciato a lacrymare disse; Messere io credo ciò che voi dite, ma non resta che io non tema che la cosa sarà molto pericolosa, e che non abbia da suspicare come possa senza scandalo e pericolo de la mia vita riuscire. Il cupido frate da l’altra banda usando ogni sua sagacità continuamente gli persuadeva con efficacissime ragioni che sopra la sua coscienza non dubitasse. E con tale astutia grandissimo spatio detenutosi, vedendolo finalmente ben infiammato nel disio di saperlo, tutto timido, come e quale era stato per forza detenuto ad una galea di Catalani un lungo tempo ordinatamente gli ricontoe, concludendo in summa lui avere un carbuncolo sopra di sé de infinito valore, il quale ad un greco suo compagno che di morbo era stato morto in detta galea avea di notte furato, come quel che solo sapea lo detto greco tener cosita5 in petto quella pretiosissima gioia, la quale insieme con un todesco, con altre assai ricchissime cose, aveano dal tesoro [p. 126 modifica]di S. Marco con sottilissima arte arrobate; e che per loro mala sorte erano in detta galea incappati, la quale essendo in quelli di andata traversa in faro, lui con più altri era scampato e con l’aiuto di Dio condottosi in Roma. E finita sua ben ordinata diceria, lacrymando soggiunse; Patre mio, io chiaro cognosco che portandola addosso per sì longo camino quanto è da qui a casa mia, di farmi appiccar per la gola un dì potrebbe esser cagione; e per tanto io non curaria per assai minor prezzo di quel che vale da me alienarla. E perchè, come voi vedete, pare che Iddio me abbia ispirato che direttamente innanzi a voi mi sia condotto, e forsi abbia ordinato per li molti beni che voi, secondo ho inteso, facete, che sia un tanto tesoro più presto vostro che d’altrui, vi supplico per tutte le predette ragioni che quella cosa sia in maniera condutta che alcuno scandalo seguire non ne possa, e io vi mostrerò la detta gioia, e se farà per voi mi darete tanto che ritornato sarò a casa io ne possa maritare tre mie figliole, de le quali pur oggi ne ho sentito novella che son vive e in extrema miseria ridutte, che altro de la detta gioia non vi domando. Frate Antonio udita la conclusione de la sua ben composta favola, non solamente il crese6, ma ne fu tanto lieto che tra la pelle capere non gli parea, e dopo che con molte ornate parole de tenerlo secreto lo ebbe rassicurato, che gli mostrasse la gioia lo richiese. Ludovico pur timido mostrandosi, e lo frate di continuo stimolandolo, cavatosi all’ultimo quasi frignando di petto un pezzo di cristallo in oro fino ligato con un foglio arrobinato, sì maestrevolmente fatto che veramente [p. 127 modifica]un finissimo carbuncolo parea, la grandezza del quale e anco la bellezza era tanto maravigliosa, e sì bene in zendado involto e artificiosamente acconcio che altroché vero, chi lapidario non fosse stato, non l’averebbe per falso cognosciuto; e in mano recatoselo, e con l’altra covertolo, guatandosi intorno, all’ultimo al guloso e rapacissimo lupo il mostrò: il quale veduto, e restatone tutto confuso e ammirato, parendogli di maggior pregio che lui non credea, subito gli occorse dal suo castigliano amico farsene consigliare, e a Ludovico voltatosi disse: In verità la gioia mostra di essere molto bella; pure esser potria che dal tuo compagno te fosse il falso narrato: ma per uscir di dubbio, piacendoti, io la mostrarò cautamente a un maestro mio singularissimo amico, e se ella è come pare, io te donarò non solamente quello che hai dimandato, ma quanto sarà da mia facultà. A cui Lodovico disse: Questo non farete voi, imperò che potrebbe esser cagione di farme giustitiar per ladro. Rispose il frate: Veramente di ciò non dubitare, che io te prometto di non partire di questa chiesia, ma solamente andarò insino a l’uscio maggiore, dove è un castigliano grandissimo gioiellieri, persona molto da bene e mio spiritual figliolo, al quale con gran cautezza la mostrarò, e a te subito la tornarò. Ludovico replicando disse: Ohimè che io dubito non siate oggi cagione de la mia morte, e se possibil fosse diria di no, tuttavolta io vi prego e ricordo advertati molto bene come de spagnoli vi fidate, imperò che sempre furono uomini di certa fede. Disse il frate: Deh, lassane il pensiero a me, chè quando lui fosse il peggiore uomo del mondo non m’ingannarebbe, come quel che non manco che a [p. 128 modifica]sé medesimo mi porta amore. E da lui partitosi se n’andò ratto dove era da Diego con gran disio aspettato, il quale veduto e a modo usato salutatolo, e da frate Antonio rispostoli, e da parte tiratolo, occultamente gli mostrò la cara gioia, pregando per quanto amore gli portava che con verità il valore di quella gli dicesse. Come Diego ciò vide, fe’ vista prima di ammirarsi, e poi sorridendo disse: Messere, voletemi voi uccellare? questo è il carbuncolo del Papa. Il frate lietissimo rispose: Non curate voi di cui, ma ditemi pure che potrebbe egli a vostro giudicio valere. Lui pur ghignando disse: che bisogna? e tu il sa’ meglio di noi, ma io credo che volete far prova del mio magistero; e poi che così vi piace io son contento, e senza tenervi in tempo vi dico che altro ch’el papa o Veneziani non la potrebbeno per quel che vale comparare. Disse il frate: Per quanto amore portate a l’anima vostra, parlatemi da vero, de che precio esser potrebbe. Ohimè, disse Diego, ancor che oggi le gioie sieno a terra, io vorrei più tosto questo carbuncolo, cosi povero come sono, che trenta migliara de ducati. E da capo rimiratala la basò, dicendo: Benedetto sia il terreno che ti produsse. E restituitala al frate disse; Per vostra fe’, è ella del Papa? Maisì, rispose il frate; tutta via el si conviene tener secreto, imperò che Sua Santità non vuol che sia vista se non a la sua mitra, ove io vado adesso a farla rincastrare. E ciò detto, tolto da lui commiato, ritornatosene tutto godente a Ludovico, gli disse: Figliuol mio, la gioia è molto bella, ma non è già di quel valore che tu credevi, nondimeno io pur la toglierò per ponerla in una croce de la nostra chiesia: che saria dunque [p. 129 modifica]nell’animo tuo volerne? Rispose lui: Non dite cosi, che ben so io che cosa è, e che se io la potessi portare senza pericolo di mia vita certamente straricco io ne sarei; ma prima delibero buttarla qui nel sicuro, che venderla con pericolo in altre parti; e per questo soccorso de mee extreme necessità in le vostre mani mi remetto, e fate secondo che Dio e la vostra bona coscienza v’ispira, massimamente volendola per la vostra chiesia. Disse il frate: Benedetto sii, figliuolo mio; ma attento che noi poveri religiosi non avemo altre rendite di quelle limosine che son fatte da le devote persone, e tu anco sei povero, bisognerà che l’uno verso l’altro usi qualche discretione: e acciò che di me tu ne vedi l’esperientia io ti donerò per adesso ducento ducati, e quando avvenisse che di qui per alcun tempo tu recapitassi, di quella grazia che Dio fra questo mezzo ci manderà io te farò parte. Ludovico ricominciato a piangere, Ohimè, disse, Messere, e voi site omo di Dio e non vi fate coscienza nominar sì minima quantitate? non piazza a Dio che io faccia tale errore. A cui il frate disse: Non te turbare, bon omo, né lacrymare senza ragione; dimmi tu che ne vorresti. Come che ne vorrei? disse Ludovico; io crederei aver fatto maggior limosina alla vostra chiesia che coloro che la fondarono da la prima pietra, quando per mille ducati ve lo donassi. Frate Antonio, che da un canto la pessima avaritia, e da l’altro la gulosità de la ricchissima gioia lo stimolava, de l’orza a montare incominciato, e Ludovico a calare in poppa, dopo i lunghi dibatti nel mezzo del camino, cioè di cinquecento ducati si rafissero7. E insieme verso San Marco [p. 130 modifica]avviatisi, gionti in camera, e riposto il bel carbuncolo in cassa, cinquecento ducati di bono oro gli donò; li quali ricevuti, e con l’aiuto del frate cositiseli8 addosso, con la sua beneditione da lui partitosi più veloce che il vento dinanzi San Pietro si condusse, e dato un segno al compagno che dubbioso stava aspettando, al determinato luogo fra loro insieme uniti, e date le vele ai venti, trovali pure, frate Antonio mio, se sai.

Rimasto adunque doppo la fatta compra a maraveglia contento, credendosi straricco esser divenuto, si pensò per mezzo di un lapidario suo carissimo amico e compare vendere la detta gioia al Nostro Signore; e per quello subito mandato, e la finissima pietra con gran cerimonie mostratali, gli disse: Che vi pare, compare mio, ho fatto io bona compera, come che sia frate? Come il compare la vide cominciò a ridere: il frale ciò vedendo, che ridesse? ancora egli sorridendo, il domandoe; al quale rispose: Io rido de gl’inganni infiniti e varii che li omini del mondo pensano per ingannare li poco provvisti, dichiarandovi che rari cognoscerebbeno questo per falso. Come, disse il frate, e non è egli bono? che potrebbe valere? miratelo bene per l’amor di Dio. Rispose il compare: Io l’ho d’avanzo mirato, e dicovi di certo che non vai più che quanto vi ci è d’oro, e che non ascenderebbe a dieci ducati; e a tal che voi medesimo il conosciate vel mostrarò. E preso un coltellino destramente dal luogo del suo seggio lo schiantoe, e tolto via il foglio, gii fe’ vedere un chiarissimo cristallo, che al raggio del sole un lume acceso vi sarebbe veduto. El frate considerato [p. 131 modifica]l’inganno, e parendoli che il cielo in testa gii cascasse, e il terreno gii fosse sotto i piedi rapito, per fiera rabbia e dolore immenso, alzate le mani, tutta la faccia con li suoi vecchi unghioni a lacerare si incomincioe. Il compare di tal cosa maravigliandosi disse: Che avete, compare? Ohimè, disse, figliuolo mio, son morto, che io l’ho comparato cinquecento fiorini d’oro; ma per Dio, insino a San Piero me fate compagnia, ove è un ladroncello castigliano cambiatore che per bono mei consigliò: che certamente deve tener trame con colui che me lo ha venduto. Il compare di tutto fattosi beffe, pur per compiacere al compare montati a cavallo, e tutto il di cercata Maria per Roma, né finalmente trovatala, dolente e triste il buon frate a casa se ne tornoe, e postosi a giacere, e piangendo, e battendo, e dando la sua testa per lo muro, si causò tal febbre che senza ricordarsi di ricevere niuno spirituale sacramento fra brevissimi giorni passò di questa vita. Così adunque li molti denari acquistati vendendo la celestial patria gli forono e meritamente potissima cagione fargli alfine avere da quella esilio sempiterno, e all’ultima partita non portarsene tanto che avesse satisfatto al gran nocchieri di Caronte per farsi passare di là del rivo alla città di Dite; dal qual passaggio Dio deliberi me e ciascun fedel cristiano. Amen.


MASUCCIO.


Tante sono le occulte beffe e i dolosi inganni che li religiosi di continuo fanno contra i miseri secolari, che non è da maravigliare se loro talvolta dai [p. 132 modifica]prudenti sono altresì con arte e ingegni beffati; e perchè di ricevere inganni non sono usi, presumono tanto nel loro temerario sapere, che indubitatamente si persuadeno che niuno ingannare li sappia o possa; e quando avviene che alcuno ne incappa tra i secolari lacciuoli, sì acerbamente il tollerano, che per quello a disperata morte si conducono, sì come la prescritta novella ne ha chiaramente dimostrato. Onde essendomi al tutto disposto di tal perversa e malvagia generatione più avanti non trattare, quantunque a bastanza non abbia scritto, pur di più molestarli per lo avvenire a me medesimo ponerò silenzio, lasciando de’ fatti loro infiniti secreti, i quali a rarissimi secolari sariano noti. Né me istenderò a quanto la penna mi tira, a narrare le mortali e fiere nimistà e pravissime invidie che hanno non solamente tra l’una religione e l’altra, ma in un medesimo convento tra loro, non manco che i curiali di gran principi; ma che peggio diremo, che seducono gl’insensati secolari a pigliar le partialità loro, tal che e per li Seggi e per le Piazze ne quistioneggiano pubblicamente, e qual Franceschino e qual Domenichino diventa, e mille altre bestiaggini da tacerle. E però lassandoli omai senza impaccio perseverare in la possessione di tante centinara d’anni goduta; in altri luoghi il nostro piacevole camino dirizzaremo; e chi per lo innanzi vorrà lor conversatione e pratica seguire, se l’abbia e segua col suo carico. Questo ben dirò io, e per fermo confesso, quanto de’ fatti loro in le passate dieci novelle e in altre parti ho ragionato, non lo avere con intentione fatto di lacerar quelli che a compimento le loro approvate e santissime regole osservano; li quali [p. 133 modifica]avvengadiochè rari siano, o con difficultà giudicar si possano, pur quelli tali sono indubitatamente e lume e sostenimento de la nostra fede e cristiana religione. Ne parrà a chi ben pensa gran maraviglia trovarsi fra tanta moltitudine infiniti scelleratissimi viziosi, attento che lo onnipotente e grande Iddio avvenga creasse tutti i cori angelici buoni e perfetti, pure in la più digna parte di loro non piccola pravità vi si trovoe, però che dal cielo per divina giustitia insino airiiifimo centro de l’abisso ruinoe; e che si può dir di Cristo nostro vero redentore, il quale venuto a pigliar carne umana per lo peccato dei primi parenti, tra la piccola greggia per esso eletta vi fu pur Giuda iniquissimo che in mano de li perfidi Giudei lo vendio: onde nè lo peccato degli angeli nè quello di Giuda la integrità degli altri che restorono in alcun atto ebbero a maculare. Per questo potremo con verità conchiudere che gli enormissimi difetti de’ falsi religiosi in alcun modo la virtù e perfetione dei buoni ledere nè offendere potriano; ma più tosto quanto sono più grievi le scelleragine de’ cattivi, tanto con maggior luce la integrità de’ buoni sarà distinta; imperocché come il negro corvo con la candida colomba congionto augmenta quella bianchezza, così le detestande opere e manifeste offese per tale iniquissima gente fatte allo eterno Dio approvano di continuo la lodevole vita de’ virtuosi. Ma perchè oggi par diffìcile distintamente cognoscere i buoni da i rei, i quali come ho già detto di pastori diventano lupi con manto de la mansueta pecora avvolti, non restarò di dire, prima che di più oltre reprendendo faccia fine, che del certo più conveniente e salutifero sarebbe, volendosi senza [p. 134 modifica]scandalo vivere, che i lor Ministri come ottimi cognoscitori di lor propria moneta, li bollassero tutti d’alcuna nuova strana stampa, a tal che alla prima vista come signati giudei fossero i falsi da ciascuno cognosciuti. Ma perchè tal fatto bisogneria proponersi nei loro generali Capitoli, avendo io da far altro, lascerò il mondo come l’ho trovato; e posto a questa prima parte lieto fine, alla seconda col volere del mio Creatore e piacere degli ascoltanti perveniremo.



Finis.



Qui finisce la prima parte.

Note

  1. La famiglia Arcella fu nobile napoletana del sedile di Capuana. Chi sia questo Francesco Arcella non so. Questo è anche uno de’ nomi mutati in Francesco Lavagnuolo, il quale poi m’è ignoto interamente.
  2. Questo arravogliava è di dialetto: l’edizione della gatta ha arrecoglieva, che mi pare meno significativo.
  3. Pennello, lunga e sottile striscia di tela che sventola in cima all’albero della nave. Espressione marinaresca per dinotare che il furbo aveva sempre l’occhio al frate.
  4. Certo manca qualche parola; forse queste «e colui inginocchiatosi». Ma non ardisco di mutare niente.
  5. cosita, e cosuta nap. per cucita.
  6. Crese, nap. per credette.
  7. forse raffissero, da raffigersi, fermarsi.
  8. cucitisegli.