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fiorini accumulati, e con ipocrite viste alcuna dimostrazione de fabbricare nel suo monasterio facesse, non di meno erano sì rare e poche le spese che alla sua grande entrata altro non era che un bicchiero d’acqua di Tevere aver tolto. Onde non dopo lungo tempo arrivando in Roma dui giovani ferraresi, l’uno Ludovico e l’altro Biasio nominati, li quali come è usanza di lor pari, con false monete, e gioie contrafatte, e con altre assai arti coloro ingannando che gionger si poteano sotto vento, andavano continuamente il mondo trascorrendo; costoro essendo un giorno de la gran ricchezza de frate Antonio fatti accorti, e com’egli sopra ogni altro vecchio e religioso era avarissimo, tal che non ad altro fine stava a detto loco de penitenziaria che per innata cupidità, dove de celestiali sedie facendo continuo baratto, con più proprio nome banco di pubblicano saria stato chiamato; e trovato come ancora il buon frate con certi cambiatori di monete, come che d’ogni lingua esperti star vi sogliono, tenea stretta pratica e conversatione, e che altre industrie quelli non facìano che de cambiar monete di lor paese, siccome tutta via dinanzi a San Piero per comodità degli oltramontani che veneno oggidì fanno, e che da questi tali non solo gli erano le monete cangiate e per le accumulare in italiche ridotte, ma anche la compera di alcune gioie che li veniano a le mani gli consigliavano; cosi adunque di soi progressi particolarmente informati, dimettere il frate al numero degli altri da loro beffati si deliberarono. Del che avendo Biasio molto bene la lingua castigliana, fingendo essere uno de li cambiatori de la nazione spagnuola, appiccatasi una ban-