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prudenti sono altresì con arte e ingegni beffati; e perchè di ricevere inganni non sono usi, presumono tanto nel loro temerario sapere, che indubitatamente si persuadeno che niuno ingannare li sappia o possa; e quando avviene che alcuno ne incappa tra i secolari lacciuoli, sì acerbamente il tollerano, che per quello a disperata morte si conducono, sì come la prescritta novella ne ha chiaramente dimostrato. Onde essendomi al tutto disposto di tal perversa e malvagia generatione più avanti non trattare, quantunque a bastanza non abbia scritto, pur di più molestarli per lo avvenire a me medesimo ponerò silenzio, lasciando de’ fatti loro infiniti secreti, i quali a rarissimi secolari sariano noti. Né me istenderò a quanto la penna mi tira, a narrare le mortali e fiere nimistà e pravissime invidie che hanno non solamente tra l’una religione e l’altra, ma in un medesimo convento tra loro, non manco che i curiali di gran principi; ma che peggio diremo, che seducono gl’insensati secolari a pigliar le partialità loro, tal che e per li Seggi e per le Piazze ne quistioneggiano pubblicamente, e qual Franceschino e qual Domenichino diventa, e mille altre bestiaggini da tacerle. E però lassandoli omai senza impaccio perseverare in la possessione di tante centinara d’anni goduta; in altri luoghi il nostro piacevole camino dirizzaremo; e chi per lo innanzi vorrà lor conversatione e pratica seguire, se l’abbia e segua col suo carico. Questo ben dirò io, e per fermo confesso, quanto de’ fatti loro in le passate dieci novelle e in altre parti ho ragionato, non lo avere con intentione fatto di lacerar quelli che a compimento le loro approvate e santissime regole osservano; li quali avvenga-