Il Moliere/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Moliere e Valerio.
Mi recherà (lo spero)2, qualche felice avviso.
Valerio, quai novelle?
Valerio. Via, via, non sarà nulla.
La madre è scorrucciata, afflitta è la fanciulla:
Ma a recitar verranno, faranno il lor dovere,
Che per passion privata non lasciasi il mestiere.
Che le sarà la figlia non tocca e rispettata.
Moliere. E chi è che far presuma insulto ad Isabella?
Valerio. Dice che voi tentate rapir la giovin bella.3
Moliere. Amico, quest’è un sogno.
Valerio. E niun ve lo contrasta.
Di già dalla servente intesi quanto basta.
Qui venne, voi assente, il perfido Pirlone,
Che va per ogni dove, mendace bacchettone.
Moliere. Sì, sì, quel professore d’indegna ipocrisia,
Ch’è il primo originale della commedia mia.
Ditemi, che ha egli fatto?
Valerio. Con arte sopraffina
Oprò che l’amor vostro svelasse Isabellina.
Lo disse indi alla madre; e dielle il van consiglio
Di evitar sul teatro di perderla il periglio.
Così...
Moliere. Così sperava quel pessimo impostore
Troncar quella commedia, che gli trafigge il cuore4.
Valerio. Sedusse la Foresta, che gisse a star con lui:
Ma poscia la figliuola, pensando a’ casi sui,
E meglio da’ miei detti del vero illuminata,
Vi prega di tenerla, ed è mortificata.
Moliere. Ah, sempre più d’esporre il mio Tartuffo ho sete;
Di Pirlone il ritratto sulla scena vedrete.
Mancami una sol cosa... Oh! se potessi avere...
Foresta, se il volesse, farmi potria il piacere.
Ella ha spirto bastante.
Valerio. Qualche pensier novello?
Moliere. Di Pirlone vorrei il tabarro e il cappello.
Mostacchi a’ suoi simili, e ugual capellatura5,
Farei al naturale la sua caricatura.
Come vi lusingate, ch’ei lasci il suo cappello?
Moliere. Un’invenzion bizzarra or mi è venuta in testa,
E basta mi secondi con arte la Foresta.
Vedrò di lusingarla, le darò l’istruzione,
E in questa casa io stesso tornar farò Pirlone.
Indegno! Ecco svelato per opra sua l’affetto,
Che per la mia Isabella tenea celato in petto;
E senza il vostro aiuto, saggio Valerio amato,
L’onor mio, l’util nostro saria precipitato.
Di risa e di fischiate Pirlon sarà la meta,
Io voglio vendicarmi da comico poeta.
SCENA II.
Valerio, poi Lesbino.
E fra sceniche donne coltiva il suo genietto?
Filosofia non vale contro il poter d’amore;
E gli uomini più dotti non han di selce il core.
Tale attrice è Isabella, che merta esser amata
Da lui, che del teatro la gloria ha riparata.
Lesbino.6
Signore, il conte Lasca domanda il padron mio.
Valerio. Molier verrà fra poco; frattanto ci son io.
A lui verrò se il chiede, l’attenderò s’ei vuole.
(Lesbino parte)
SCENA III.
Valerio, poi il Conte Lasca7.
Non sa, non ha studiato, non gusta e non intende;
E criticar presume, e giudicar pretende.
Valerio. Fra poco qui tornerà, signore.
Conte. Convien, per aver posto, ricorrere all’autore.
Le logge son già date, l’udienza sarà piena.
Vorrei per questa sera un luogo sulla scena.
Valerio. Servir fia nostra gloria un cavalier gentile.
Conte. Sì, Valerio, voi siete8 un giovine civile;
Riuscite a perfezione nel comico mestiere,
E in capo non avete i grilli di Moliere.
Valerio. Fra noi v’è differenza: i’ son mediocre attore,
Moliere è un uomo dotto, è un eccellente autore.
Conte. Moliere un uomo dotto? Moliere autor perfetto?
Sproposito massiccio, Valerio, avete detto.
Caratteri forzati sol caricar procura;
Nell’opre di Moliere non v’è, non v’è natura.
Valerio. Egli ha il punto di vista. Riflettere conviene.
Che i piccioli ritratti in scena non fan bene.
Conte. Che diavol d’argomento villano e temerario!
Che titolo immodesto! Cornuto immaginario!
Valerio. Dovriano consolarsi i soli immaginari;
Ma i veri sono molti, e i finti sono rari.
Conte. La Scuola delle donne è affatto senza sale.
Valerio. È ver, non ha incontrato, ma non vi è poi gran male.
Conte. Può dir maggior schiocchezza, che dir torta di latte?
Valerio. Sta qui tutto il difetto?
Conte. Oibò: torta di latte!
Valerio. Non guasta una commedia un termine triviale.
Conte. Una torta di latte! Che sciocco! che animale!
Valerio. Signor, avete udita questa commedia intera?
Conte. Eh, che non son sì pazzo a perdere una sera.
Ascolto qualche pezzo, poi vado, poi ritorno;
Fo visite alle logge, giro l’udienza intorno.
Discorro cogli amici, un poco fo all’amore.
Non merta una commedia, che un uom taccia tre ore.
Conte. A gente di buon naso basta una scena sola.
Valerio. La Scuola delle donne si sa perchè non piacque;
Sentirsi criticare al bel sesso dispiacque.
Contro l’autor pungente le donne han mosso guerra.
Gettata dagli amanti fu la commedia a terra.
Conte. Vedrete in tempo breve Moliere andar fallito;
Val più di tutto lui di Scaramuccia un dito.
Valerio. Ah, sofferir non posso l’indegno paragone.
Che fate d’un autore col ciurmator poltrone.
Conte. Don Garzia di Navarra poteva esser peggiore?
Valerio. La Scuola de’ mariti poteva esser migliore?
Conte. Si sa ch’ei l’ha rubata. Sono, se nol sapete,
Gli Adolfi di Terenzio.
Valerio. Gli Adelfi, dir volete.
Conte. Adolfi, e non Adelfi. Vo’ dir come mi pare.
Un comico ignorante verrammi ad insegnare?
Valerio. Anch’io lessi Terenzio, e posso dar ragione
Dei titoli e dell’opre.
Conte. Oh via, siete un buffone.
Valerio. Signor, l’onesta gente così non si strapazza;
Fo il ridicolo in scena, ma voi lo fate in piazza.
Conte. Adoprerò il bastone.
Valerio. Vedrò, se tanto osate.
Conte. Audace!
Valerio. Voi lo siete.
SCENA IV.
Leandro e detti.
Conte. Ei mi perde il rispetto.
Valerio. Mi tratta da buffone.
Conte. Difende il suo Moliere.
SCENA V10.
Valerio solo.
Ridicoli, ignoranti, maligni ed impostori.
Avide abiette spugne vanno assorbendo il peggio,
E spremono il veleno al gioco od al passeggio.
Diviso è in popolo folto, ma l’opinion prevale,
Nell’ignorante volgo, di quel che dice male.
E chi non ha talento per comparir creando,
Passar per uom saputo s’industria criticando. (parte)
SCENA VI11.
Il signor Pirlone e la Foresta.
Lungi da queste stanze sen stanno le padrone.
Pirlone. Molier dov’è?
Foresta. Venuto è a chiederlo un cursore.
Lo cerca il Tribunale, cred’io per l’Impostore.
Pirlone. Suo danno: la galea, la forca gli conviene;
Impari a parlar meglio degli12 uomini dabbene.
Foresta. La carità fraterna non opera in voi niente?13
Pirlone. Pietà da noi non merta un tristo, un deliquente.
Figliuola, che volete? Un giovine m’ha detto
Che voi mi ricercate.
Foresta. Che siate benedetto!
Premevami avvisarvi ch’io già son licenziata.
Che di venir con voi sospiro la giornata.
Pirlone. Sì, cara; oimè, pavento... (guarda le porte)
Foresta. Zitto, zitto, aspettate.
(va a chiudere l’uscio)
Ecco fermato l’uscio. Con libertà parlate.
Foresta. Giacchè siam da noi soli,
Sedete un pocolino. (gli dà una sedia)
Pirlone. Il cielo vi consoli.
Sedete ancora voi.
Foresta. Oh! a me non è permesso.
Pirlone. Fatel per obbedienza.
Foresta. Lo faccio. (siede14)
Pirlone. Un po’ più appresso.
Foresta. Obbedisco. (s'accosta con la sedia)
Pirlone. Oh che caldo! (s’asciuga la fronte)
Foresta. Cavatevi il cappello.
(gli leva il cappello di testa, e lo appende ad un pomo15 della sedia)
Pirlone. Farò come volete.
Foresta. Sembrate ancor più bello.
Pirlone. Ah! che vi par? Son io un uomo ben tenuto?
Foresta. Sano e robusto siete.
Pirlone. Sì, col celeste aiuto.
Dite, vi sono in casa risse fra madre e figlia?
Foresta. In tutta la giornata vi è stato un parapiglia.
Pirlone. Andranno a recitare?
Foresta. Oibò; si danno al diavolo.
(Pirlone fa segno d’allegrezza)
Ma che! ve ne dispiace?
Pirlone. Non me n’importa un cavolo.
Foresta. Ah, non vorrei, signore... che una delle padrone...
M’involasse la grazia... del mio signor Pirlone...
Pirlone. Ah!
Foresta. Che avete?
Pirlone. Mi sento... certo calor novello...
Foresta. Presto, venite qui, cavatevi il mantello.
(Foresta s’alza, vorrebbe levargli il mantello, egli non vorrebbe, ed ella per forza glielo leva.)
Foresta. Sì, sì, lo voglio.
Pirlone. No. dico.
Foresta. Sì, vi dico.
Così starete meglio.
(va a riporre il tabarro ed il cappello in una cassapanca)
Pirlone. (Oimè, son nell’intrico).
Foresta. Oh, come siete svelto! Che uomo fatto bene!
Pirlone. Chi vive senza vizi, gibboso non diviene.
Bella fanciulla mia... (si accosta a Foresta)
Foresta. Con voi provo un piacere...
(si sente violentemente picchiare all’uscio)
Pirlone. Oimè! gente che picchia.
Foresta. Oimè! questi è Moliere.
Pirlone. Misero me! (s’alza)
Foresta. Là dentro v’asconderò. Venite.
Pirlone. Dove?
Foresta. In uno stanzino16.
Pirlone. Oimè! non mi tradite.
Foresta. Presto, presto. (apre lo stanzino, e tornasi a picchiare all’uscio17)
Pirlone. Son qui: datemi il mio mantello.
Foresta. Presto, che non c’è tempo.
Pirlone. Il mantello, il cappello...
Foresta. Son nella cassapanca serrati, io n’avrò cura.
Presto, presto, venite.
Pirlone. Io muoio18 di paura.
(Foresta lo fa entrare a forza nello stanzino, ed entravi ella ancora)
SCENA VII19.
Valerio, poi Foresta.
Non credea spiritosa cotanto la Foresta.
La fossa tu facesti, e in quella sei caduto.
Valerio. Dove l’avete fìtto?
Foresta. In luogo buono e bello.
Egli è sotto la scala, e chiuso ho il chiavistello.
(prende dalla cassapanca il mantello ed il cappello)
Dov’è il padron?
Valerio. V’attende colle acquistate spoglie.
Foresta. Eccole. Non la cedo al diavolo e sua moglie. (parte)
SCENA VIII20.
Valerio solo.
All’opere, per cui va colla fama in alto.
Maestro di teatro, sa tutto e tutto vede;
Alle maggiori cose e all'infime provvede.
O Francia fortunata, per un autor sì degno!
In te della commedia alza Moliere il regno;
Nè Scaramuccia puote, nè Zanni, nè Fiammetta
Scemargli quella gloria, che a lui solo si aspetta.
SCENA IX21.
Moliere vestito da Tartuffo, col tabarro ed il cappello del signor Pirlone, e le basette e la capellatura somigliante allo stesso, e detto.
Valerio. Bellissima figura!
Formar non si potrebbe miglior caricatura.
Siete Pirlone istesso.
Finchè di questi cenci in scena abb’io fatt’uso.22
Vedete se far grazia vogliono le signore;
Se ancora han terminato di mettersi in splendore.
Valerio. Eccole unite a noi, la madre con la figlia.
Moliere. Una ha l’ira negli occhi, l’altra amor nelle ciglia.
SCENA X23.
La Bejart, Isabella, in abito da scena, e detti.
Il comune interesse mi sprona e mi consiglia.24
Ma se d’un solo sguardo m’accorgo, la commedia
Finirà, ve lo giuro, in scena di tragedia.
Moliere. Signora, poichè il cielo mi scopre reo qual sono,
Dell’amorosa colpa io chiedo a voi perdono:
Per non mirar la figlia avran questi occhi un velo.
Odiatemi, s’io manco, e mi punisca il cielo.
(parla in tuono di bacchettone)
Bejart. Fate voi scena or meco? Mi deridete, indegno?
Moliere. Per carità, signora, calmate il vostro sdegno. (come sopra)
Valerio. (Egli mi muove a riso).
Bejart. Quest’è l’amor da padre.
Che aver per Isabella diceste a me sua madre?
Moliere. Ahi! che il rossor mi opprime. (come sopra)
Bejart. Alma d’inganni amica.
La parte d’impostore farai senza fatica.
Moliere. Soffro gl’insulti in pena delli delitti miei. (come sopra)
Bejart. Non finger, scellerato, che un mentitor già sei.
Bejart. Il cielo ti punisca.
Moliere. Ch’io parta permettete, e ch’io vi riverisca.
(come sopra, e parte)
SCENA XI25.
La Bejart, Isabella e Valerio.
Bejart. Di me si prende gioco?
Molier lo sdegno mio conosce ancora poco.
Per te, sfacciata, indegna. (ad Isabella)
Valerio. Signora, e con qual lena
Andrete furibonda a recitar in scena?
Calmatevi, di grazia.
Bejart. Mestiere maladetto!
Dover mostrare il viso ridente a suo dispetto!
E quando tra le fiamme arde di sdegno il core,
Dover coll’inimico in scena far l’amore!
Andiam... ma la mia parte lasciai sul tavoliere.
Foresta. Ehi là. Foresta. Non sente.
Valerio. Andrò a vedere...
Bejart. Se poi non la trovaste, doppio averei scontento.
Restate con mia figlia, io torno in un momento. (parte)
SCENA XII.
Isabella, Valerio, poi Moliere.
Moliere che v’adora, faravvi un dì felice.
Isabella. Ah, più soffrir non posso gl’insulti giornalieri;
La madre troppo cruda farà ch’io mi disperi.
Mi batte, mi minaccia, m’insulta, e mai non tace.
Mi struggo, mi divoro, non so quel che mi faccia.
Com’è possibil mai, che sulla scena i’ piaccia?
Moliere. 26 Deh serenate, o cara, i vostri amati rai:
A togliervi di pene la guisa io meditai.
Isabella. Moliere, oh ciel!27 Mi sento mancare a poco a poco.
Moliere. Nutrite, o mia speranza, nutrite il vostro foco.
Lasciate che a Parigi torni la Real Corte;
Della madre a dispetto vi farò28 mia consorte.
Isabella. E quanto aspettar deggio?
Moliere. Non più d’un mese appena.
Isabella. Soffrire ancora un mese dovrò cotanta pena?
Possibile non credo lo sforzo a questo core.
Valerio. (La povera fanciulla si sente un grand’ardore).
Moliere. Precipitar, mia cara, non deesi un’opra tale.
SCENA XIII29.
La Bejart e detti.
Moliere. Io sono un uom leale.
(in tuono pedantesco, vedendo la Bejart)
L’amor vostro, figliuola, convien metter da banda.
Ed obbedir dovete la madre che comanda.
Udite un che vi parla, pien di paterno zelo.
(Ecco la genitrice); vi benedica il cielo. (parte)
Isabella. (Comprendo il cambiamento).
Valerio. (È un comico perfetto).
Bejart. Di Molier non mi fido. Vivrò sempre in sospetto.
Andiamo. (a Isabella)
Isabella. V’obbedisco.
Isabella. Signora, perdonate...
Bejart. Olà, non taci mai? (partono)
Valerio. Ah! voglia il ciel che alfine vadan le donne in scena,
E prendano un’altr’aria tranquilla e più serena;
Onde dal popol vario s’applauda l’Impostore,
E a noi util ne venga, e gloria al degno autore.
Fine dell’Atto Terzo.
Note
- ↑ Nelle edd. Bett., Paper. ecc. precedono i seguenti versi: Dorme Leandro ancora. È cotto il poverino. — Oh vizio vergognoso è pur quello del vino. — Per legge d’amicizia lo soffro e lo riprendo: — Ambi siam stati insieme scolari di Gassendo. — Oh mal spesi sudori d’un uomo senza pari! — Ha fatto veramente due celebri scolari! — Quello i suoi studi impiega in crapulare, in bere, — Ed io mi struggo in questo difficile mestiere.
- ↑ Bett.: Mi recherà l’amico ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: «...alla Guerrina? - Mol. Dice che di rapirla Moliere a lei destina».
- ↑ Bett.: che star gli de’ sul cuore.
- ↑ Bett.: capigliatura.
- ↑ Qui comincia nell’ed. Bett. la sc. II.
- ↑ Nelle edd. Bett., Pap. ecc. è chiamato Conte Frezza.
- ↑ Bett. e Pap.: Valerio, siete voi ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: doppio.
- ↑ Nell’ed. Bett. è unita alla scena precedente.
- ↑ Sc. V nell’ed. Bett.
- ↑ Bett.: a trattar meglio cogli ecc.
- ↑ Bett.: Del prossimo l’amore in voi non opra niente?
- ↑ Bett.: siede alquanto discosta.
- ↑ Bett.: e lo pone sul pomo ecc.
- ↑ Bett. e Pap.: in un ripostiglio.
- ↑ Bett.: apre il ripostiglio, e si sente battere.
- ↑ Bett. e Pap.: Io crepo.
- ↑ Sc. VI nell’ed. Bett.
- ↑ Nell'ed. Bett. è unita alla scena precedente.
- ↑ Sc. VII nell’ed. Bett.
- ↑ Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: L’ora si va accostando d’andarsene al teatro, - Son dopo il mezzogiorno vicine le ore quattro. - La legge a voi è nota di quel che a Francia impera: - Ei vuol che la commedia finisca innanzi sera. - Vedete se far ecc.
- ↑ Sc. VIII nell’ed. Bett.
- ↑ Bett., Pap. ecc. «...e meco vien Guerrina, - Per evitar la vostra e la comun rovina».
- ↑ Nell’ed. Bett. è unita alla scena precedente.
- ↑ Comincia nell’ed. Bett. la sc. IX.
- ↑ Bett.: Oh Dio!
- ↑ Bett. e Pap.: sarete.
- ↑ Sc. X nell'ed. Bett.