Il Libro dei Re - Volume I/I primi Re/IV

I primi Re - IV. - Il re Gemshîd

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I primi Re - III I primi Re - V
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IV. Il re Gemshîd.

(Ed. Calc. p. 18-21).


     Poi che partì dalla terrena vita
L’inclito sire, al loco suo si pose
480L’illustre figlio suo. Figlio di lui
Era Gemshìd bennato, egli de’ suoi
Consigli pieno il cor, pronto ed accinto
Ad opre grandi e illustri; sul paterno
Trono si assise, e la corona fulgida
485Si pose in fronte, qual de’ prenci in terra
È nobile costume. Ei sempre accinto
Con tutta maestà, sì che la terra
Tutta gli era soggetta. Una tranquilla
Pace regnava allor per tutto il mondo,
490E le genti non pur, ma i Devi ancora,
Gli augelli e le Perì sommessi al cenno
Eran di tal signor. Più bella e amena
Questa si fea per lui terrena stanza,
E il suo seggio regal splendea per lui
495D’insolito fulgor. M’investe, ei disse,
Divina maestà. Grado di sire,
Di sacerdote è mio, sì che la mano
A’ tristi accorcerò ne l’opre triste,
Via per l’alme schiudendo a luce eterna.
500     L’armi allora di guerra, onde ai più forti
Via di gloria dischiuse, ei con maestra
Mano a compor si accinse. Il duro ferro
Ammollendo con arte al vivo fuoco
Col suo regio poter, corazze ed elmi,
505Fulgidi arnesi, artificiose maglie,
E sottovesti e pettorali e forti
Armature a coprir cavalli in guerra,
Con anima compose intenta e chiara,

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E in ciò di cinquant’anni ebbe fatica
510A sopportar. Deposte ne’ tesori
Le fulgid’armi, egli pensò per altri
Cinquant’anni le tuniche guerriere
Che d’assalti nel tempo e di tenzoni
Vestono i forti. Di lucente seta,
515Di lin, di crini e di fulgida lana
Panni ei compose e prezïosi drappi,
Opra ammiranda, e agli uomini d’allora
Del torcer l’arte e del filar con molta
Cura insegnò, dell’intrecciar sull’ampio
520Telaio il filo a la composta trama;
E la tela composta essi in un’onda
Purissima a lavar, vesti a cucirne
Appresero da lui le genti sue.
     Fatto cotesto, ad altre cose ei pose
525Primo principio. S’allegrava il mondo,
S’allegrava il gran re. Fece una schiera
D’ogni gente di questa arte e di quella,
E cinquant’anni spese in ciò pur anco.
Primo è lo stuol che de’ Kàtùzi appelli,
530Qual riconosci esser gente devota
Al pio costume. Ei separò tal gente
Dall’altre schiere, e fé’ sugli alti monti
Loco a cotesti, addetti a Dio, l’ufficio
Perchè lor fosse venerar l’Eterno,
535Pregando pïetosi innanzi a Dio,
Signor del mondo. All’altro fianco suo
Fu posto un altro stuol, quale appellarono
Stuol de’ Nisàri. Quai leoni ei menano
Assalti e pugne, all’esercito ei dànno,
540Dànno alla terra nobile splendore,
Chè si regge per essi il regal trono,
E serbasi per essi intatto il nome
Di guerriera virtù. Terza conosci
De’ Nesùdi la schiera. Essi non hanno

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545Animo grato per alcun, ma l’arsa
Gleba van lavorando e con industre
Cura vi spargon la semenza. Mietono,
E nell’ora del cibo alcun rimorso
Non sentono nell’alme ognor serene.
550Liberi son da ogni comando, avvolti
Ben che in misere vesti, e lor non giunge
Detto maligno di proterva lingua,
Niun rimprovero mai, ma, sciolti e scevri
D’ogni biasmo d’altrui, d’ogni contesa,
555Sani di corpo, rendono la terra
Feconda e amena. Oh! che dicea quel saggio,
Uom sapïente e liberal? «Corrompe
E schiavo rende, egli dicea, la turpe
Ignavia un liber’uom». — La quarta schiera
560Degli Ahnukhòshi s’appellò. Son pronti
All’opra, ed alma hanno arrogante e audace.
Vanno essi trafficando e ingombro il core
Hanno da mille cure. Il sapïente
Signor di cinquant’anni il corso spese,
565Egli al popolo suo di molti e ricchi
Doni fu largo, e destinò diverso
Grado a ciascun, loco diverso a ognuno,
Al merto suo convenïente, e il come
Per primo egli additò, perchè ciascuno
570Di sua condizïon sapesse il pregio
E il maggior grado altrui riconoscesse
E il minor stato con perfetta norma.
     Poi che quell’opre ebbe compiute, il savio
Prence ai Devi ordinò che aride zolle
575Mescolasser con acqua. Or che fu noto
Ciò che far si dovea col molle limo,
Copia infinita di mattoni i Devi
Impuri fabbricàr con tal poltiglia,
E con gesso e con pietre alte pareti
580Solleciti levàr, tutte osservando

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Del misurar le norme. Ampli palagi
E sontüose terme e case e stanze
Fe’ costruir qual schermo da’ perigli.
Quindi, in un giorno, fra le pietre ei scelse
585Le gemme e la lor luce e il lor splendore
Cercò bramosamente. Ogni più vaga
Gemma di color vario egli scoperse,
Il rubin, lo smeraldo e il biondo succino,
L’oro e l’argento, che per magic’arte
590Ei separò dalla natia lor selce,
Onde a questi secreti acconcia chiave
Allor trovossi in prima. Anco ei rivolse
La sua fervida mente ai grati odori,
Fatti all’uom necessari, all’ambra, al puro
595Muschio, all’acqua di rose e all’odorosa
Canfora bianca, ai balsami pregiati,
Al soave aloè. Quindi i rimedi
Vari de’ mali e i farmachi rinvenne
Atti a sanar gli egri mortali, porta
600Ond’entra in noi bella salute, e via
Per cui fuggono i mali. In cotal guisa
Tutte ei svelava le riposte cose,
E questa terra non provò giammai
Ricercator così costante e accorto,
605Chè l’onde ei primo valicò su mobili
Navicelli vaganti, e passò ardito
Da questa a quella regïon lontana
Con felice vïaggio. Altri cinquanta
Anni in tali opre ei trapassò, nè vide
610Cosa niegata ad intelletto umano.
Quando forza di mente ivi si aggiunga.
     Poi che di lui quest’opre si mostrarono,
Solo sè stesso ei vide re sovrano
Di questa terra. E come fùr compiute
615L’opre sue di gran re, mosse più ad alto
Dall’alto loco suo. Con regia possa

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Un trono ei si formò. Quante vi pose
Gemme lucenti! I Devi, ad un suo cenno,
Smuoveano il seggio e fino al ciel dall’umile
620Campagna a sollevarlo erano intenti.
Come fulgido sol nell’aer sereno,
Splendea seduto su quel trono il sire
Libero e forte in suo regal comando.
Le genti allor, per quella sua fortuna
625Di re, per quella sua forza sovrana,
Si radunâr festanti a quell’eccelso
Trono dintorno, e prezïose gemme
Sparsero di Gemshìd regnante al piede,
E tal giorno beato il primo giorno
630Disser dell’anno. Era quel dì la prima
Luce di Ferverdìn, luce novella
Dell’anno giovinetto, e da fatiche
Riposavasi il corpo, e da pensieri
D’odio e vendetta il cor. Con lieta sorte,
635Dell’anno al primo dì, sedea sul trono
Il re, luce del mondo, e i prenci tutti
Festeggiavan quel dì con molta gioia,
Chiedean cantori e vin gagliardo in copia;
Quindi, tal festa da quel giorno in poi
640Restò, de’ prenci antiqui inclito segno.
Così per trecent’anni le terrene
Cose moveano allor, nè da que’ tempi
L’uom la morte vedea. Non uno osava
Opre stolte compir, morbi non erano,
645Non eran mali, non dolori; e ninno
Contezza avea di travagli e sventure,
Ma si stavano accinti i Devi tutti,
Come valletti, a’ lor servigi. Un trono
Di gran valor rizzato aveano, e sopra
650Alto vi si assidea quel re del mondo,
Re Gemshìd su quel trono alto sedea,
Con un nappo di vin nella sua mano;

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E i Devi intenti quel regal suo seggio
Toglieansi in collo e dai campi e dai piani
655Fino alle nubi l’estollean. Seduto
Sul trono eccelso il re sovrano, intorno
Ampio giro gli fean delle celesti
Plaghe gli augelli. Ma le genti in terra
Tendean l’orecchio al suo precetto, e il mondo
660Tutto era pien di voci allegre e gaie
Per la pace che ovunque si vedea.
     E fu cotesto fin che corser gli anni,
Mentre la bella maestà de’ regi
In quel grande lucea. Per lui beato
665Era in pace la terra, e a quando a quando
Da Dio signor venìan messaggi a lui.
     Poi che alcun tempo dopo ciò trascorse,
Nè le genti vedean dal lor sovrano
Fuor che opre elette, fu soggetta a lui
670Da confine a confin tutta la terra,
E sedea quel gran re con dignitate
E maestà. Ma poi d’un tratto volse
Il guardo suo di sua grandezza al seggio,
E poi che niuno per la terra scorse
675Che ugual gli fosse, ei principe devoto
A Dio signor si fe’ superbo, a Dio
Si fe’ ribelle e sconoscente. I grandi
Tutti chiamò del popol suo; deh! quante
Parole ei disse innanzi a lor! Con essi,
680Principi antichi, fe’ tal detti allora:
     Di me, di me soltanto io riconosco
L’impero di quaggiù. Vennero tutte
Da me l’arti del mondo, e questo seggio
Imperïale incoronato sire
685Non vide mai che ugual mi fosse. Il mondo
Con gran cura adornai. Tutti gli affanni
Dalla terra sbandii; da me sen viene
Il vostro cibo a voi, la vostra quiete

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E i dolci sonni. Oh sì!, le vesti ancora,
690Di vostre brame il compimento, è dono
Che vien da me. Però, mia la grandezza,
Mia la corona e la regal possanza.
Or chi dirà che, fuor di me, v’ha in terra
Altro signor?... Ma per rimedi e farmachi
695Il mondo risanò; nessuno incolse,
Me regnante quaggiù, morbo letale.
Chi adunque, s’io non fui, cacciò la morte
Da’ corpi vostri? Nol potranno mai
Gli altri regnanti, anche se molti. A voi
700Da me venne la mente e venne l’alma
In vostri corpi. Ma se alcun noi crede,
Egli è Ahrimàn. Che se pur noto è a voi
Ch’io fei cotesto, ben si vuol che ognuno
Me chiami e appelli creator del mondo.
705     Stavano a capo chino i sacerdoti
Tutti, e nessuno ardìa chieder del come,
Del perchè dimandar. Come fu detta
L’empia parola, da lui tolse Iddio
La maestà di re, pien di tumulto
710Restossi il mondo. La sua gente allora
Dalla sua reggia dilungossi, e venti
E tre giri di sol per l’ampia terra
Andò raminga. Tracotanza umana
Quando la fronte incontro a Dio solleva,
715Porta con sè la sua rovina, e cade
Ogni sorte propizia. Oh! che dicea
L’antico saggio a cui scorrea favella
Dolce dal labbro, ed era ei giusto e pio?
«Anche se prence regnator tu sei,
720Servo, ei dicea, di Dio ti chiama. A lui
Chi rubello si fa, sente nel core
Terror con raccapriccio». — E il dì sereno
Anche a Gemshìd si fe’ molesto e oscuro.
Quella che risplendea da lui pel mondo

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725Maestà di sovrano, il lume suo
Perdette allora, ed ei s’accorse e vide
Che ira del cielo il perseguìa costante
E s’afflisse e tremò. Ma, nell’offesa
Dell’Eterno sdegnato, alcun non vide
730Conforto all’empio re. Gemshìd ben molto
Bagnò il petto di lacrime e perdono
Chiedendo venne a Dio signor. Fuggita
La maestà divina era da lui.
Superbia del peccar nata era in lui.