Il Libro dei Re - Volume I/I primi Re/III
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III. Il re Tahmûras.
(Ed. Calc. p. 16-18).
Hoshèng un figlio avea ricco di sonno,
Tahmuràs valoroso, inclito e forte
Dei Devi domator. Venne e si assise
Del genitor su l’alto seggio, accinto
345Di sua cintura qnal di re. Chiamando
Della sua gente i sacerdoti, oh! quante
Parole ei disse con facondo senno!
A me, disse, in tal dì regal corona
Ben si convien col trono e la possente
350Clava e l’elmo ferrato. Io l’ampia terra
Col senno mio da ogni opera men bella
Renderò franca, e poi d’una montagna
La stanza mia porrò sovra la cima.
Infrenerò sol io con arte e senno
355La man dei Devi in ogni loco; in terra
Solo regnar vogl’io. Così, qualunque
Util cosa è nel mondo, io manifesta
Renderò a voi, ch’io la sciorrò, spezzando
Quanti legami avvinconla tenaci.
360 Con tal pensier, dal dorso de’ belanti
Greggi il savio signor tosò la lana
Ed ogni crine con la force, e quando
L’ebber gli altri filata, e vesti e tuniche
Tesser ne fe’ con cura; anche fu guida
365A far tappeti e coltrici; ma poi
Quanti ei vedea veloci al corso in terra
Pacifici animali, erbe virenti,
Loro apprestando e fien raccolto ed orzo,
Fe’ contenti e satolli. Osservò ancora
370Le selvatiche belve, e de’ sagaci
Veltri fe’ scelta e de’ cervieri. Ad arte
Questi ei recò pacifici animanti
Dai deserti e dai monti alle sue case.
Al guinzaglio venìan quanti eran pure
375Di quella schiera. E quanti degli augelli
Recar poteano aita, ardenti falchi
E sparvieri che eretta han la cervice,
A sè raccolse e molte loro apprese
Cose leggiadre. Oh sì!, meravigliava
380Di lui la gente! Ei fea precetto intanto
Che i feri augelli con carezze e cure
Altri ammansasse e cenno lor facesse
Sol per dolce richiamo. E poi che queste
Opere si compìan, trasse il gran prence
385Alle sue case le galline ingorde
E i galli, che cantar doveano al primo
Albor, nell’ora che fragor di timpani
Sorge dovunque. Le nascoste cose,
Utili invero, ei trascegliea. Deh! voi,
390Disse il gran re, l’Eterno ossequïate,
Lui, del mondo Fattor, lodando in core,
Ch’ei ci diè potestà su la famiglia
D’esti animanti. A lui, che ci mostrava
Additando la via, sia laude eterna!
395 Saggio un ministro egli si avea, di cui
Lungi dall’opre male era il consiglio,
In ogni loco celebrato. Il nome
Era Shedàspe, ed ei, fuor che a ben fare,
Il passo non movea. Lungi dal cibo
400Ad ogni giorno il labbro avea, si stava
In piè, dinanzi a Dio, l’intera notte,
Caro all’alma d’ognun. Costume suo
Era pregar la notte e il dì. Qual astro
Benefico al suo prence era il gran savio;
405Ei sol frenava d’ogni tristo e reo
L’anima tracotante; ei sol la via
Al giustissimo re mostrava in terra
Di saggezza e virtù; forza e potere
Sol da giustizia egli cercava. E tanto
410Fu libera dal mal l’anima pura
Di Tahmuràs pel suo fedel compagno,
Che gli splendea nel volto un chiaro lume,
Un divino splendor. — Sappi che molti
Pregi ha quel re che consiglier ministro
415Vanti come costui, saggio ed esperto.
Tahmuràs venne poi, con sua magia
Pose in ceppi Ahrimàne. Ei su quel dorso
Come su ratto palafren sedea,
La sella gli ponea di tempo in tempo,
420E a corsa l’adducea pel mondo attorno.
L’opre di lui come vedeano i Devi,
Ribelli al cenno suo levâr superbi
La cervice, e di Devi una infinita
Schiera adunossi, perchè l’aureo serto
425Vacasse del gran re. Tosto che il seppe,
Tahmuràs si adirò, la lor congiura
A disperder si mosse, e cinto ei venne
Della sua regia maestà, pesante
Recando in collo una ferrata clava.
430Tutti i dèmoni allor, gl’incantatori,
I maghi tutti, in ampia schiera accolti,
S’avanzar rovinosi, e un negro Devo
Li precedea sbuffando. Urli feroci
Levaro al ciel; s’oscurò l’aria, e oscura
435Si fé’ la terra, sì che tolto agli occhi
Fu il veder chiaro. Tahmuràs, di tutta
Cinto la gloria sua, signor del mondo,
Chiuso nell’armi, s’avanzò, col core
Anelante alla pugna. Eran stridenti
440Fiamme di là con negro fumo, e i Devi
Entro a quel fumo avvolti; eran da questa
Parte i compagni del signor del mondo,
Ardimentosi e forti. Aspro un assalto
Tahmuràs diede allor; ma lungo tempo
445La pugna non durò. Di tre due parti
Ne fe’ carche di ceppi, arte adoprando
Di possente magia, l’antico sire,
E gli altri tutti con la ponderosa
Clava atterrò. La miseranda schiera
450Tratta fu in ceppi, sanguinente ancora
Dalle aperte ferite. I vinti Devi
Chiedean la vita in dono. Oh! non ucciderci,
Diceano, almo signor. D’arti novelle
Avrai scïenza, e ten verrà gran frutto.
455 L’inclito sire lor fe’ grazia, ascose
Cose purchè da lor fossergli aperte;
E quei, disciolti dalle sue catene,
Obbedïenza gli giurâr costretti,
E al magnanimo re l’arte ammiranda
460Della scrittura addimostrâr, novella
Luce portando al suo fervido core.
Nè una soltanto, ma ben trenta foggie
Di segni gli svelàr, persiani e greci,
E pehlèviche cifre, arabe, e quelle
465Che usa l’India remota, e le cinesi
Notando, se ciò udisti. Oh! quante cose
Prima ancora operò belle e leggiadre
Per trentanni di regno il savio prence!
E giunse il fin de’ giorni suoi. Morìa
470Placidamente: ma di lui restava,
Ricordo egregio, ogni opra sua leggiadra!
Non nutrirci tu adunque, o avara sorte,
Poi che mieter vuoi tu la dolce vita!
Che se la mieti, qual raccogli frutto
475Dal nutricar?... L’uom tu sollevi all’alto
Cielo a principio; ratto poi l’affidi
Alla sua tomba desolata e grama.