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IV. Il re Gemshîd.

(Ed. Calc. p. 18-21).


     Poi che partì dalla terrena vita
L’inclito sire, al loco suo si pose
480L’illustre figlio suo. Figlio di lui
Era Gemshìd bennato, egli de’ suoi
Consigli pieno il cor, pronto ed accinto
Ad opre grandi e illustri; sul paterno
Trono si assise, e la corona fulgida
485Si pose in fronte, qual de’ prenci in terra
È nobile costume. Ei sempre accinto
Con tutta maestà, sì che la terra
Tutta gli era soggetta. Una tranquilla
Pace regnava allor per tutto il mondo,
490E le genti non pur, ma i Devi ancora,
Gli augelli e le Perì sommessi al cenno
Eran di tal signor. Più bella e amena
Questa si fea per lui terrena stanza,
E il suo seggio regal splendea per lui
495D’insolito fulgor. M’investe, ei disse,
Divina maestà. Grado di sire,
Di sacerdote è mio, sì che la mano
A’ tristi accorcerò ne l’opre triste,
Via per l’alme schiudendo a luce eterna.
500     L’armi allora di guerra, onde ai più forti
Via di gloria dischiuse, ei con maestra
Mano a compor si accinse. Il duro ferro
Ammollendo con arte al vivo fuoco
Col suo regio poter, corazze ed elmi,
505Fulgidi arnesi, artificiose maglie,
E sottovesti e pettorali e forti
Armature a coprir cavalli in guerra,
Con anima compose intenta e chiara,