Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 9
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CAPITOLO IX
Il potere temporale del Papa è assoluto.
Il consigliere di Brosses, il quale non ne voleva al Papa, scrisse nel 1740:
«Il governo papale, sebbene sia in fatto il peggiore di Europa, è però il più dolce.»
Il conte di Tournon, uom dabbene, abile economista, conservatore di tutti i poteri esistenti e giudice favorevolmente prevenuto per i Papi, diceva nel 1832:
«Dalla concentrazione dei poteri di Pontefice, di vescovo e di sovrano, nasce naturalmente la più assoluta autorità sulle cose temporali; ma l’esercizio di questa autorità temperata dagli usi e dalle forme di governo, lo è di vantaggio dalle virtù dei Pontefici, i quali da moltissimi anni sonosi assisi sul seggio di San Pietro; di qualità che il più assoluto governo si esercita con la maggior dolcezza. Il Papa è sovrano elettivo; i suoi Stati sono patrimonio della cattolicità, avvengachè sono il pegno dell’indipendenza del Capo dei fedeli, ed il Papa regnante è supremo amministratore e curatore di questo dominio.»
Ultimamente il signor di Rayneval, l’ultimo de’ meno felici apologisti del Papato, faceva nel 1856 la seguente dichiarazione:
«Testé le antiche tradizioni della Corte di Roma erano fedelmente conservate. Ogni modificazione agli usi stabiliti, ogni immegliamento, anche materiale, era riguardato di mal occhio e pareva pieno di perigli. Gli affari erano esclusivamente serbati ai prelati. Gl’impieghi superiori erano di diritto interdetti ai laici. In pratica, i differenti poteri venivano sovente confusi. Il principio d’infallibilità pontificia applicavasi alle questioni amministrative. Erasi veduta la decisione personale del sovrano riformare le sentenze dei tribunali, anche in materia civile. Il cardinal segretario di Stato, primo ministro, in tutta la forza del termine, concentrava nelle sue mani tutti i poteri. Sotto la suprema sua direzione, gli svariati rami di amministrazione erano affidati a commessi, anzi che a ministri, Cotesti non formavano un consiglio, nè deliberavano in comune intorno alle bisogne dello Stato. Il maneggio della pubblica finanza si eseguiva in un secreto profondo. Niuna notizia davasi alla nazione dell’impiego de’ suoi denari. Non solo il bilancio rimaneva avvolto nel mistero, ma spesso avvedevansi di non averne compilato veruno, nè assettati i conti. Finalmente, le libertà municipali, le quali, più d’ogni altra, sono avute in pregio dalle popolazioni italiane, e soddisfano alle veraci loro inclinazioni, erano state sottomesse a restrizioni assai severe. Fatto tempo dal giorno in che Papa Pio IX è salito sul trono..., ecc.»
In tal modo, il testè (naguère) del signor di Rayneval è data esatta: e significa in moneta spicciola: « innanzi la elezione di Pio IX, » od anche: «fino al 16 giugno 1846. »
In tal modo, se il signor di Brosses fosse ritornato a Roma nel 1846, avrebbevi ritrovato, finanche per confessione del signor di Rayneval, il peggiore dei governi d’Europa.
In tal modo il governo più assoluto, siccome addimandalo il signor di Tournon, esisteva ancora nel 1846.
Fino al 16 giugno 1846, il cattolicismo è stato padrone di quattro milioni di ettari che compongono il territorio romano; il Papa n'è stato amministratore, curatore e fittaiuolo, e i cittadini di esso Stato sono stati....... che cosa? probabilmente garzoni di aratro.
Fino a quest’era di liberazione, abitual dispotismo ha privato i sudditi del Papa non solo di qualunque partecipazione agli affari, ma delle più moderate e legittime libertà, dei più innocenti progressi, ed anche (tacerlo quanto rileva? ) del ricorso alle leggi! La fantasia d’un uomo ha riformato a suo arbitrio le sentenze della giustizia. Ultimamente una casta inetta e disordinata ha sparnazzato la pubblica pecunia senza renderne conto a chicchessia, talvolta neanche a sè stessa. L’ha detto il signor di Rayneval, è forza credere.
Prima di passar oltre, noto che tale stato di cose, ammesso oggidì anco dagli apologisti del Papato, giustifica il malcontento dei sudditi del Papa, le loro doglianze e recriminazioni, non che le sedizioni e tumulti anteriori al 1846.
Ma è poi vero che dal 1846 il governo papale abbia cessato dall’essere il peggiore di tutta Europa? Se me ne potete mostrare un più cattivo, andrò difilato dirlo ai Romani, i quali ne avranno grande sorpresa.
L’autorità assoluta del Papato è ella limitata da altra cosa fuorchè dalle virtù private del Padre-santo? No certamente. La Costituzione del 1848 lacerata, il motuproprio del 1849 eluso in tutti i suoi articoli, sono essi limiti? Punto niente. Il Papa ha rinunciato al titolo di amministratore e di curatore irresponsabile del patrimonio del cattolicismo? Mainò. Gli uffici sono dessi unicamente serbati ai prelati? Gnorsì. Gl’impieghi superiori sono per diritto dinegati ai laici? Di diritto, no; di fatto, si. I vari poteri sono ancora confusi nella pratica? Più che mai; i governatori delle città continuano a giudicare, i vescovi ad amministrare. Il Papa ha nulla abdicato di sua infallibilità negli affari? Nulla. Si è interdetto il diritto di cassare le sentenze della Corte di appello? Mainò, mainò. Il cardinale segretario di Stato non è più ministro regnante? Si, regna, e gli altri sono suoi valletti anzi che suoi commessi, e trovereteli il mattino nella sua anticamera. Vi ha consiglio di ministri? Si, certo; quando i ministri vanno a prendere gli ordini dal cardinale. Il maneggio della pubblica finanza è pubblico? Punto. La nazione vota ella il tributo o consente che gliel prendano? Come in passato. Le libertà municipali sono alquanto distese? Meno che nel 1846.
Oggi, come nei più bei tempi del dispolismo pontificale, il Papa è ogni cosa; egli ha tutto; ei può tutto; egli esercita senza censura e senza freno perpetua dittatura.
Io non nutro avversione per sistema verso la magistratura eccezionale dei dittatori. Gli antichi Romani altamente pregiavanla, vi ricorrevano alcuna volta, e lodavansene. Quando il nemico era alle porte o la repubblica in periglio, senato e popolo, solitamente cotanto sospettosi, abdicavano i loro diritti nelle mani di un uomo, cui dicevano:«Salvaci!» Vi ha, certo, di belle dittature nella storia di tutti i tempi e di tutti i popoli: e se si contassero tutti i periodi dell’umanità, troverebbesi quasi per ognuno un dittatore. Una dittatura ha creato l’unità della Francia; un’altra la sua militare grandezza; un’altra la sua prosperità nella pace. Beneficii di tal rilevanza, quali non saprebbero le popolazioni procacciarsi da sè stesse, valgono per fermo il temporario sacrificio di tutta libertà. Genio ed autorità illimitata nell’uomo dabbene, ne fanno cosa al tutto divina per lo migliore degli uomini.
Ma i doveri del dittatore sono pressochè infiniti cosi come i suoi poteri. Un monarca parlamentare che si avanza lentamente nel sentiero segnatogli dalle due Camere, e che ascolta discutersi il mattino ciò che dovrà fare la sera, è, può dirsi, innocente degli errori del suo regno. Un dittatore, al contrario, dee tanto maggior responsabilità agli avvenire, quanto più si è dilungato dai termini della Costituzione. L’istoria lo garrirà del bene che egli non ha fatto, quando ogni cosa era in sua balia, o sarannogli imputate a colpa le stesse sue ommessioni.
Aggiungo però, che in niun caso la dittatura debbe troppo a lungo durare. Non solamente saria assurdo volerla ereditaria; ma avrebbe a reputarsi uscito dei gangheri colui che pretendesse usarne a perpetuità. L’ammalato lasciasi operare dal chirurgo che dee preservargli la vita; ma, compiuta l’operazione, lo si manda con Dio. Simigliantemente i popoli. Da che i benefizii del padrone non agguagliano la cessione della libertà, la nazione reclama l’uso de ’ suoi diritti, che i sennati dittatori gli rendono.
Ho spesso ragionato nello Stato del Papa con uomini illuminati, onorevoli e che vanno per la prima nella classe mediana, i quali m’han detto ad un dipresso:
« Se ne piovesse dal cielo un uomo vigoroso per recidere i nervi degli abusi, riformare l’amministrazione, rinviare i preti alla chiesa e gli Austriaci a Vienna, promulgare un Codice civile, risanare il paese, ridonare alla cultura le pianure, ringagliardire l’industria, agevolare il commercio, condurre a termine le vie ferrate, secolarizzare l’insegnamento, propagare le idee moderne e porci in istato di stare a confronto di Francia, noi cadremmo a’ suoi fiè, e gli saremmo, come a Dio, obbedienti. Vi dicono, che non siamo governabili: ma dateci un principe atto al governo, e vedrete se andremo rimessi nell’affidargli il potere! Qualunque ei siasi, e venga donde vuole, ei sarà donno e padrone di far sua balia, finchè rimanga una sola cosa a fare. In cambio, unicamente domandiamo che, terminato il suo compito, ne permetta di condividere il potere con essolui: e state a sicurtà che anche costi farem peso da carbone. Facili sono gl’Italiani, e punto ingrati. Ma non richiedeteci di sobbarcarci a perpetua dittatura, oziosa, taccagna, ruinosa, che vegliardi cadenti trasmettonsi di mano in mano. E fosse pure che essi medesimi la usassero! Ma ciascun di loro, troppo debole per governare, depone volentieri il fardello che lo stiaccia, e ne dà in cura, mani e piè legati, al peggiore de’ cardinali suoi.»
Troppo è vero che i Papi non usano eglino stessi l’assoluto potere. Se il Papa bianco, o il Padre-santo, governasse in persona, potremmo, aiutati da fantasia, sperare che un miracolo della grazia facesselo arar diritto. Rado avviene ch’ei sia molto capace ed istrutto: se non che la statua del Commendatore diceva: «Non è uopo di lume quando si è illuminati dal cielo.»
Sciaguratamente, il Papa bianco trasmette sue politiche funzioni al Papa rosso, ossia ad un cardinale onnipotente e irresponsabile, sotto l’appellazione di Secretario di Stato. Un uom solo rappresenta il Sovrano entro e fuori, parla per lui, per lui agisce, risponde agli stranieri, comanda a' sudditi, esprime i voleri del Papa, e talora glie l’impone.
Cotesto dittator di seconda mano ha ragioni da vendere per abusare il suo potere. S’egli sperasse di succedere al suo padrone, e di usare, a sua volta, triregno, darebbe forse lo esempio, o la commedia, di tutte virtù. Ma impossibile cosa è che segretario di Stato salga al Papato. Imperò non solo la costumanza nol comporta, ma vi si oppone l’umana natura. I cardinali raunati in Conclave non andranno d’accordo per intronizzar l’uomo che, durante un regno, li ha tenuti a segno. Il vecchio Lambruschini aveva intelajalo suoi raggiri per essere eletto; e pochissimi cardinali non avevangli promesso il volo: ma le parole son femmine, e i fatti maschi: Pio IX, non Lambruschini, salì al trono! L’illustre Consalvi, cima d’uomo di Stato de’ tempi nostri, tentò la medesima fortuna, ed ebbe pari successo. Dopo tali esempii il cardinale Antonelli non ha raggiuolo di speme di ottener la tiara, nè quindi interesse a ben fare.
Se almeno potesse augurarsi che il successore di Pio IX conservasselo nelle sue funzioni, forse condurrebbe con prudenza alcune bisogne. Ma la è nuova di peso, che un secretario di Stato abbia dominato sotto il regno di due Papi. Cotesto non accadrà mai, perchè mai non è accaduto: siamo in paese dove l’avvenire è copia fedele del passato. Tradizion vuole che il Papa novello privi di favore il favorito del suo predecessore, ed accatti con questa moneta la grazia popolesca.
Pertanto, ogni secretario di Stato è debitamente avvertito ch’ei regna in un angiporto, e che reddirà tra la folla del sacro Collegio nel di che il suo padrone si porrà in cammino pel cielo. Gli è dunque forza usar destro il tempo.
Egli sa pure che, dopo la sua disgrazia, piuno chiamerà a sindacato le sue geste, avvengachè l’ultimo dei cardinali sia inviolabile quanto i dodici Apostoli. Ei dunque sarebbe dolce di sale, se, finché dura vento in poppa, non facesse rotta.
Ma siamo al punto di abbozzare in poche pagine il ritratto de’ due uomini, de’quali l’uno possiede, l’altro esercita dittatura sopra tre milioni di sciagurati.