Il Fiore delle Perle/22. La pantera nera
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Capitolo XXII
La pantera nera
L’hariman-bintang era proprio morta.
Una palla, entrandole in bocca, le aveva fracassato il cranio attraversandole il cervello, e l’altra l’aveva colpita fra le gambe anteriori, penetrandole nel petto.
Era una splendida bestia, pesante trenta o trentacinque chilogrammi, col pelame bellissimo, d’un giallo un po’ oscuro picchiettato e lucente come la seta, e formidabilmente armata d’artigli aguzzi, lunghi cinque o sei centimetri.
Hong la mosse replicatamente col piede per accertarsi che era proprio spirata, poi la prese per la lunga coda e la trascinò nella capanna, contando di scuoiarla per offrire alla fidanzata un soffice tappeto.
— Credi che passeremo la notte tranquilli? — chiese a Pram-Li.
— La compagna di questa non oserà più assalirci, — rispose il malese. — Sono belve assai audaci, ma si sarà accorta che noi siamo persone che non si lasciano divorare come dei polli o delle scimmie inoffensive.
— Appoggia il tuo capo su questo guanciale, mia valorosa amica, — disse Hong a Than-Kiù indicandole la pantera che aveva trascinata in un angolo della capanna. — Starai meglio che sulle foglie.
— Ne approfitterò, — rispose la giovanetta. — È un guanciale che mi sono procurata con non poca fatica e molta emozione.
— Ti credo; simili animali fanno paura a tutti, e sono certo che nessuna altra donna avrebbe osato affrontare questa pantera. Te lo dico io, e questo è il più bell’elogio che possa fare al tuo valore. Tu sei degna sorella dell’eroe degli uomini gialli. —
Chiusero la porta sprangandola, esaminarono le pareti della capanna per vedere se i rami erano piantati solidamente, e rassicurati di ciò, si sdraiarono sui loro giacigli di foglie, mettendosi vicine le carabine ed i kampilang.
Sonnecchiavano forse da un paio d’ore, quando il malese, che dormiva sempre con un solo occhio, per modo di dire, fu svegliato da un leggero stridìo che pareva provenisse dall’alto.
Sorpreso per quel rumore insolito, s’alzò a sedere e si mise in ascolto. S’accorse subito che veniva dal tetto della capanna; pareva che qualcuno grattasse gli strati di foglie, procurando di non far troppo rumore.
— Cosa può essere? — si chiese. — Che qualche scimmia abbia cercato rifugio sul tetto della capanna?... —
Stette per alcuni istanti cogli orecchi tesi, poi essendo il rumore cessato, si ricoricò mormorando:
— Bah!... Sarà qualche scimmia o qualche grosso uccello, qualche calao, forse. —
Chiuse gli occhi, senza che gli fosse balenato nel cervello il pensiero che invece d’un quadrumane o d’un volatile potesse trattarsi della pantera nera o di qualche pardo nebuloso, animali dotati d’una agilità così straordinaria da potersi arrampicare, quasi senza far rumore, perfino sui più alti alberi e anche sui tetti delle capanne.
Una certa inquietudine gl’impedì di riprendere il sonno e fu una vera fortuna, poichè s’accorse ben presto che quello scricchiolìo continuava e più forte di prima. Questa volta pareva che si cercasse davvero di levare le foglie e di spostare i rami che formavano i travicelli di sostegno.
Tornò a levarsi e credendo sempre che si trattasse d’una scimmia, alzò la carabina e percosse coll’estremità della canna il soffitto per far fuggire l’importuna.
Il rumore cessò di nuovo, anzi gli parve che qualcuno balzasse a terra, avendo udito muoversi le foglie d’un cespuglio che cresceva a pochi passi dalla capanna.
— Se n’è andata, — disse. — Strana idea di venire a dormire sulla nostra capanna. —
Si ricoricò e questa volta si riaddormentò davvero, russando sonoramente.
Quanto tempo dormì?... Non gli sarebbe stato facile saperlo. Fu svegliato bruscamente da un grido di Sheu-Kin, il quale si era sdraiato al suo fianco.
Aprì gli occhi e tosto il suo sguardo s’incontrò con due altri occhi che brillavano, come due punti fosforescenti, in un angolo della capanna.
— Grande Allah!... — esclamò, con voce strozzata.
— La pantera!... — gridò Sheu-Kin. — Sta per aprirsi il passo attraverso alla parete!... Hong!... Than-Kiù!... In piedi!... —
Il chinese e la giovanetta, svegliati di soprassalto da quelle esclamazioni e da quelle grida, s’alzarono confusamente; cercando le loro armi.
Trovando sottomano i kampilang, li impugnarono, pensando forse che quelle larghe e pesanti sciabole erano più atte ad adoperarsi in quello spazio ristretto.
— Qui!... In quest’angolo!... — avevano gridato Sheu-Kin ed il malese.
I tre uomini e la giovanetta si trovarono riuniti nell’angolo, colle spalle appoggiate alla parete e coi kampilang puntati innanzi.
La belva intanto, spostati i rami, aveva introdotto la testa e lavorava di zampe per far passare anche il corpo.
— Non muovetevi, amici!... — gridò Hong, che impugnava la sciabola colla mano sinistra.
— Non abbiamo nemmeno una carabina, — dissero Sheu-Kin e Pram-Li.
— Con quest’oscurità poco ci gioverebbero o potremmo, nel momento dell’attacco, ucciderci vicendevolmente. State attenti!... Badate alla testa!... —
La pantera nera, con un ultimo e più vigoroso sforzo che fece cadere alcuni rami, era entrata nella capanna; però, invece di slanciarsi risolutamente all’assalto si era arrestata, accovacciandosi in un angolo.
Forse la vista di quelle lame che coprivano i tre uomini e la fanciulla, l’aveva resa più prudente.
Fors’anche aveva sperato di sorprenderli ancora addormentati e di sgozzarli senza pericolo, e trovandoli invece svegliati e pronti alla difesa, si era scoraggiata.
Hong ed i suoi compagni, strettamente raggruppati, colle lame alzate, non perdevano di vista gli occhi fosforescenti della belva, i soli che distinguessero, confondendosi il corpo nero colle tenebre.
Passarono alcuni istanti lunghi come ore per quei disgraziati, non essendosi la pantera decisa a muoversi. Li guardava sempre e brontolava sordamente, senza avanzarsi. L’angoscia era forse eguale da ambo le parti.
— Orsù, — disse Hong, che cercava di coprire Than-Kiù. — Così non si può durare e se la pantera non si sente più l’animo di assalirci, bisognerà che ci decidiamo noi a cacciarla od ucciderla. Mi pare che abbia più paura di noi.
— Però non fugge, — disse Sheu-Kin.
— Per uscire da quel buco sarebbe costretta a volgerci le spalle, ed avrà paura che noi ne approfittiamo per piombarle addosso. È furba più di quanto lo si crederebbe.
— Cosa facciamo adunque? — chiese Than-Kiù. — Non possiamo attendere l’alba in questa posizione di difesa.
— Pram-Li, cerca col piede se trovi una carabina. Sii prudente, poichè una mossa da parte nostra può provocare l’attacco. —
Il malese allungò una gamba, ma la fiera s’accorse di quella mossa e fece udire un minaccioso mugolìo, mentre i due punti luminosi s’abbassavano, come se l’animale si raccogliesse per scagliarsi innanzi.
Pram-Li, impaurito, non osò più muoversi.
— È impossibile, — mormorò. — Ci assalirà prima di aver trovata l’arma.
— Ebbene, — disse Hong, — usciamo all’aperto. Tenetevi pronti a lasciare la capanna. —
Si curvò innanzi, poi vibrò colla spalla sinistra un colpo poderoso alla parete. I rami, strappati, sradicati dal suolo, caddero con fracasso, e lasciarono un varco, attraverso il quale si precipitarono Than-Kiù ed i suoi compagni.
La pantera non si era mossa e rimase nell’interno; i suoi brontolìi annunciavano però che all’inquietudine subentrava la rabbia.
Credendo di vedersela alle spalle, il malese ed i chinesi non si arrestarono al di fuori e corsero a rifugiarsi dietro al tronco d’un grosso sagu, mettendosi subito sulla difensiva.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò Hong, stupito di non vedere la pantera. — Che abbia avuto più paura di noi?... Io comincio a crederlo, amici.
— Anch’io, Hong, — disse Than-Kiù. — Forse avrà creduto di essere caduta in qualche trappola.
— O che noi ci teniamo nascosti presso le due aperture per ucciderla, — aggiunse Sheu-Kin.
— Mi rincresce per le nostre provviste, — disse il malese. — Avevamo ancora mezza testuggine ed una coppia di grassi calaos, e la furba si divorerà tutto.
— Non avevo pensato a questo!... — esclamò Hong. — Ah!... Canaglia!... Ci saccheggia la dispensa!... Compiango Pram-Li che ci tiene tanto alle provviste!...
— Sì, burlone, — rispose il malese, ridendo. — Mi rincresce che la carne delle pantere sia molto coriacea per non rifarmi con quella.
— Badate!... — gridò in quel momento Than-Kiù. — La pantera sta per mostrarsi.
— Teniamoci uniti, — comandò Hong. — Chi fugge è uomo morto. —
La belva, divorato tutto ciò che aveva trovato e già ormai sazia, si preparava ad uscire per riguadagnare la foresta; vedendo però il gruppo dei suoi avversari, appena mostrata la testa dalla squarciatura, s’affrettò a retrocedere, mandando un sordo brontolìo.
Non essendo più affamata, cominciava a diventare prudente; altro non desiderando che di andarsene indisturbata a digerire il pasto nel suo covo.
Vedendola così irresoluta, i chinesi ed il malese presero maggior animo e pensarono di far pagare caro il saccheggio della loro dispensa.
— Giacchè non possiamo rifarci colla sua carnaccia, ci lasci almeno la sua superba pelle, — disse Hong. — È giusto che paghi lo scotto di quanto ci ha divorato.
— Uno scotto un po’ caro, — disse Than-Kiù. — Siamo peggiori degli antropofagi.
— Peggiori o migliori, andiamo a decapitare quella ladrona. Collochiamoci presso le due aperture coi kampilang alzati e appena mostra la testa picchieremo forte. Io e Than-Kiù ci metteremo presso l’apertura più stretta e voi due presso l’altra.
— Sì, andiamo, — dissero Sheu-Kin ed il malese.
— Badate che non si scagli fuori prima di giungere a posto.
— Ci terremo in guardia, Hong. —
Stettero prima in ascolto, poi non udendo alcun rumore si divisero in due gruppi e tenendosi riparati dietro ai tronchi degli alberi ed ai cespugli, giunsero ben presto presso le pareti della capanna, mettendosi in agguato ai lati delle due aperture.
La pantera, contrariamente alle sue abitudini battagliere, non si era mossa. Probabilmente si teneva più sicura dentro la casa che fuori, dove l’attendevano quattro avversari armati di quei grandi sciaboloni.
La si udiva però brontolare e grattare le pareti colle robuste unghie, come se cercasse di aprire qualche nuova apertura.
Hong e Than-Kiù da un lato, Pram-Li ed il giovane chinese dall’altro, attendevano che si mostrasse, tenendo i kampilang alzati.
Passarono alcuni minuti di trepidante aspettativa, senza alcun risultato.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò Hong. — Che non si decida ad uscire?... La capanna è nostra e se non si affretta a sloggiare ve la costringeremo, affumicandola.
— Taci, Hong, — disse Than-Kiù, che aveva appoggiato un orecchio alla parete. — Mi pare che si avvicini. —
Hong si curvò innanzi, guardando attraverso i rami spostati, ed i suoi occhi s’incontrarono con quelli della belva. Temendo che si preparasse a uscire, introdusse rapidamente l’arma fra le fessure e vibrò un violento colpo di punta.
La pantera, forse toccata, mandò un urlo e coi potenti artigli si aggrappò ai rami, atterrandoli con una scossa irresistibile.
— Attenta, Than-Kiù!... — gridò Hong.
La belva aveva potuto ottenere uno spazio sufficiente per passare. Ratta come un fulmine si scagliò innanzi col pelame irto e la sanguinosa bocca aperta, pronta a mordere.
Hong e Than-Kiù si erano prontamente tirati da un lato per non venire travolti, ma pur facendo quella mossa avevano vibrati i kampilang, percuotendo con tutta la forza che possedevano.
La pantera ricevette quei due colpi sul dorso, pure non s’arrestò e fuggì a lena disperata verso gli alberi. Ad un tratto fu veduta cadere, poi rialzarsi tentando di riprendere lo slancio, quindi ricadere, avvoltolandosi furiosamente fra le foglie e le erbe.
— Accorrete: è nostra!... — urlò Hong, il quale era già entrato nella capanna ed era subito uscito con due carabine.
Il giovane chinese e Pram-Li avevano abbandonato il posto e correvano coi kampilang in pugno. Vedendo Hong colle carabine, si armarono e si slanciarono verso la pantera, la quale continuava ad avvoltolarsi fra le erbe.
Vedendo giungere quei due avversari, raccolse le sue ultime forze e si avventò contro di loro; ricadde però subito. Gravemente ferita, non era più in grado d’intraprendere la lotta.
Allora si mise a strisciare al suolo cercando di raggiungerli; era troppo tardi, avendo il malese e Sheu-Kin spianate già le carabine.
Echeggiarono due detonazioni e la belva ricadde al suolo fulminata.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò Hong, che giungeva di corsa insieme a Than-Kiù. — Aveva il diavolo in corpo quella dannata bestiaccia?... Speriamo che questa volta sia proprio morta.
— È ridotta in uno stato così deplorevole, da non poter pagare lo scotto nemmeno colla sua pelle — disse Sheu-Kin, il quale si era avvicinato alla fiera. — Ha il muso fracassato dalle nostre palle ed il dorso orrendamente squarciato dai nostri kampilang.
— Lo scotto l’ha già pagato colla sua vita e possiamo essere soddisfatti di esserci sbarazzati di questo ladrone che poteva portarsi via uno di noi come una bistecca. Suvvia, speriamo di terminare tranquillamente la notte.