Il Fiore delle Perle/16. In mezzo alla palude
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Capitolo XVI
In mezzo alla palude
Dieci minuti dopo, Than-Kiù, Hong ed i suoi compagni si trovavano comodamente sdraiati in mezzo ai fitti canneti che coprivano l’isolotto, dinanzi ad un bel fuoco, su cui arrostiva una coscia d’orso, un boccone squisitissimo, come aveva detto Pram-Li.
Quel brano di terra, perduto in mezzo all’ampia laguna, separato da quella lunga penisola da un canale largo una diecina di metri, e tanto poco profondo da poterlo passare a guado, aveva una circonferenza di un centinaio di metri, e si elevava sul livello dell’acqua più di tutti gli altri isolotti, e anche di quella specie di diga che i fuggiaschi avevano poco prima passata.
Hong ed i suoi compagni, dopo d’aver percorse le rive per tema che vi fossero dei coccodrilli, si erano aperti il passo fra quegli altissimi e fitti canneti, e si erano accampati nel mezzo, accendendo quel fuoco, certi che non sarebbe stato scorto, essendo bene nascosto ed impedendo le tenebre di poter distinguere il fumo.
Pram-Li non si era dimenticato di portare con sè un paio di zamponi d’orso e ne aveva messo uno sui tizzoni; in attesa che si cucinasse, i fuggiaschi chiacchieravano sul da farsi per uscire da quella situazione che poteva diventare pericolosissima, stante la vicinanza di Pandaras e dei suoi uomini.
— Se noi non troviamo un mezzo per attraversare questa laguna o lago che sia, — diceva Hong, — noi corriamo il pericolo di ricadere nelle mani di quella canaglia di Pandaras, con tutte le probabilità di venire scorticati o per lo meno decapitati.
— Noi non possediamo alcun galleggiante — disse Than-Kiù. — Questo lago sembra molto vasto e nessuno di noi sarebbe capace di attraversarlo a nuoto.
— Specialmente coi coccodrilli che lo abitano — osservò Pram-Li.
— Allora bisognerebbe rifare la via percorsa e riguadagnare la foresta.
— E Pandaras ci prenderebbe — disse Hong.
— Ma credi che c’inseguirà?...
— Certo, Than-Kiù. Se ti ama non si rassegnerà così facilmente a perderti, e ci darà una caccia spietata.
— Fortunatamente ci troviamo in un’isola facile a difendersi.
— Ma pessima per sostenere un assedio, poichè senza un galleggiante qualunque non potremo sloggiare.
— Cosa decidi di fare adunque, Hong?...
— Pel momento non trovo di meglio che rimanere qui. Abbiamo dei viveri per una diecina di giorni, delle armi che ci permettono di tenere lontani i pirati, e di spazzare la lingua di terra se a loro saltasse il ticchio di venirci a scovare, e l’acqua non manca di certo. Lasceremo trascorrere alcuni giorni, poi, se non possiamo procurarci nè una barca nè una zattera, torneremo nella foresta.
— Sai, Hong, dove ci troviamo?
— Tengo in una tasca una buona carta dell’isola che mi sono procurata a Nasugbu, quella del capitano Montero y Gay, la migliore e la più recente, e l’ho osservata anche ieri, premendomi di sapere dove ci conduceva quel dannato pirata. Se non m’inganno, noi dobbiamo già trovarci a metà distanza fra il Kabato ed il Butuan.
— Quanti giorni credi che ci saranno necessari per giungere al lago?...
— Per lo meno due settimane, tenuto calcolo degli ostacoli che dovremo attraversare. —
Than-Kiù trasalì, mormorando:
— Così presto.
— Sì, lo vedrai così presto, se non è morto.
— Temi che non sia più vivo?...
— In questo paese non si è mai certi di giungere all’indomani. Ma speriamo che sia ancora vivo per risparmiare agli occhi del Fiore delle perle chissà quante lagrime, — disse Hong, con voce sorda.
— No, — rispose Than-Kiù, alzando vivamente il capo e guardandolo fisso. — T’inganni, Hong: il Fiore delle perle non piangerà più per l’uomo che ama ancora la donna bianca.
— Non dirlo così presto, fanciulla.
— T’inganni, — ripetè Than-Kiù, con energia. — Io non l’amo più!
— Ma vai a salvarlo.
— Sì, per pagare il mio debito.
— E poi?...
— Quando l’avrò ricondotto alla costa...
— Vi è anche la donna bianca, — interruppe Hong.
— Ebbene, quando li avrò salvati, — continuò la giovanetta, con profonda amarezza, che pareva celasse un impeto di disperazione, — dirò loro addio per sempre.
— E andrai?...
— Dove vorrà condurmi l’uomo che mi ama.
— Than-Kiù! — esclamò Hong, con ansietà. — Quale uomo?...
— Tu già lo sai, — mormorò la giovanetta, tergendosi con un rapido gesto, quasi con ira, due lagrime che le rotolavano sulle gote.
— Tu piangi!... — esclamò il chinese con dolore.
— Sì, di collera, — gli rispose la povera giovane, con voce soffocata.
— Than-Kiù!...
— Taci, Hong. Lascia che il tempo compia la sua opera di distruzione. —
Pram-Li aveva allora levato dai tizzoni l’arrosto, il quale esalava un appetitoso profumo e l’aveva deposto innanzi ai compagni, su due larghe foglie di canna.
— Non aspettate che si raffreddi, — disse, come se avesse cercato di interrompere quel dialogo, che cagionava troppa emozione alla sua giovane padrona.
Hong armatosi del suo kampilang fece a pezzi l’arrosto e lo distribuì ai compagni, dicendo alla giovanetta:
— Lascia i tristi pensieri e assaggia questa carne deliziosa, finchè non siamo disturbati. Forse domani ci mancherà il tempo di pensare alla cucina. —
Than-Kiù obbedì, ma non inghiottì che pochi bocconi, quantunque quella coscia d’orso fosse veramente eccellente, pari alla carne di maiale. Hong invece, Sheu-Kin e soprattutto il malese fecero molto onore al pasto, da uomini che sanno approfittare dell’occasione e che dubitano dell’indomani.
Quantunque si trovassero quasi al coperto da un improvviso assalto, e fossero certi di passare il rimanente della notte indisturbati, decisero nondimeno di vegliare per turno.
Hong s’incaricò del primo quarto, e dopo d’aver falciato un fascio di canne per preparare un giaciglio alla giovanetta, prese il fucile e andò a sedersi sulla riva dell’isolotto, di fronte alla lingua di terra, essendo solo da quella parte che poteva giungere il pericolo.
Il chinese era certo di passare il suo quarto senza dare alcun allarme, però apriva gli occhi scrutando i macchioni di canne e tendeva gli orecchi per raccogliere i menomi rumori, i quali dovevano trasmettersi a grandi distanze su quella vasta distesa d’acqua.
Nessuna forma umana si disegnava sulla lingua di terra, serpeggiante sulla laguna come un immerso rettile mollemente adagiato fra i pantani. I rumori invece si ripetevano da tutte le parti.
Ora era un cupo fragore prodotto da un’ondata sollevata dalla possente coda di qualche coccodrillo, la quale veniva ad infrangersi contro i canneti, spumeggiando; ora era quel colpo secco, sonoro, prodotto dalle mascelle di quegli anfibi nel richiudersi violentemente; poi era un improvviso concerto di muggiti e di fischi prodotto da certe specie di rospi di dimensioni esagerate, e di ranocchi grandi come un cappello; oppure delle strida acute lanciate da qualche volpe volante o da un gruppo di enormi pipistrelli volteggianti pesantemente sulle nere acque della laguna.
Talvolta invece, lontano lontano, verso la grande foresta, s’alzava un urlìo indiavolato, un insieme di latrati, di brontolìi e di ululati, il quale durava pochi minuti, per poi estinguersi bruscamente, ma per ricominciare un quarto d’ora dopo. Era una banda di cani selvaggi chiamati dai malesi agiang occupati a cacciare per loro conto, presso le rive della laguna.
Hong, ormai famigliarizzato a tutti quei rumori ed a quei concerti, non s’inquietava; non perdeva però di vista i coccodrilli che nuotavano nelle acque dell’isolotto, come se ormai sapessero che vi era della carne fresca celata in mezzo a quelle canne.
Già due o tre avevano cercato d’issarsi, di soppiatto, sulla riva, ma il chinese si era affrettato a respingerli scaricando sulle loro teste dei colpi così tremendi di kampilang, da farli ricadere in acqua storditi, malgrado le loro robuste piastre ossee che sono a prova di palla.
Temendo nondimeno che qualcuno fosse riuscito a cacciarsi inosservato fra i canneti, fece il giro dell’isolotto, poi si accostò al fuoco che stava per ispegnersi, per vedere se i compagni dormivano. Con non poca sorpresa vide Than-Kiù seduta, col viso nascosto fra le mani, come se fosse immersa in tristi pensieri.
— Non dormi, Than-Kiù?... — le chiese. — Forse che il Fiore delle perle non si sente tranquilla sotto la guardia di Hong?... —
La giovane chinese udendo quelle parole alzò il capo e cercò di sorridere, ma Hong vide, agli ultimi bagliori dei tizzoni, delle lagrime brillare sulle gote di lei.
— Piangi? — diss’egli, con tristezza infinita. — Ti comprendo, pensavi a lui invece di dormire. —
Poi, dopo alcuni istanti di silenzio, riprese con un tono di voce in cui si sentiva vibrare una sorda minaccia.
— Io finirò coll’odiare quell’uomo!... Ieri non ne avevo il diritto, ma ora sì.
— E perchè vorresti odiarlo, Hong? — chiese Than-Kiù, con dolce rimprovero.
— Perchè tu pensi sempre a lui e perchè il tuo cuore soffre per lui.
— Che io pensi a Romero è vero, io sarò leale con te, amico mio, ma che tu creda che io soffra perchè non mi ama, no, Hong, t’inganni!
Quando tu sei venuto nella mia casetta, la sera che tu mi facesti fuggire, è vero, io rimpiangevo ancora la felicità sognata per tanto tempo e poi perduta; io rimpiangevo Romero perchè la ferita era ancora troppo recente... ma ora del tempo è passato, l’amore si è tramutato in rancore, forse si cangerà in odio.
Ho pensato molto a lungo, ho anche pianto in segreto, ho sofferto immensamente, Hong, poichè tu sai che le donne del nostro paese amano con tutte le forze della loro anima, ma ora?... A qual pro piangere ancora, a quale scopo sperare e poi, che cosa?... Che Romero fugga la donna bianca?... No, se non ha saputo farlo quella terribile notte, che doveva essere l’ultima per Hang-Tu, non lo farà più mai.
— Eppure tu piangevi poco fa, Than-Kiù.
— È vero... tutto d’un colpo non si scorda, non si può far tacere il cuore, non si può distruggere il passato, disperdere tutti i ricordi, nè creare un altro sogno su quello che aveva messe così salde radici nel cuore, — rispose la giovanetta, sospirando. — Lascia al tempo fare il resto.
— Io temeva che tu rimpiangessi la speranza fattami brillare.
— No, amico mio: tu sei prode al pari dell’altro e la sorella del valoroso Hang, di colui che chiamano l’eroe degli uomini gialli, ama i prodi.
— Tu adunque mi amerai un giorno, Fiore delle perle?
— Spera, — mormorò la giovanetta.
— Grazie, Than-Kiù, ma io non voglio più rivederti triste come questa sera.
— Non lo sarò più.
— Io non voglio veder piangere gli occhi della più bella fanciulla del Celeste Impero.
— Non piangeranno più, Hong. —
In quell’istante Pram-Li si alzò, chiedendo:
— Tocca il mio quarto?...
— Credo che sia inutile, — rispose Hong, — poichè spunta l’alba veglieremo tutti insieme.
— Sia la benvenuta, purchè ci porti una buona giornata.
— Per me sarà la più bella della mia vita, — rispose il chinese, guardando Than-Kiù che arrossiva. — Ben vengano Pandaras ed i suoi furfanti; li cacceremo tutti nella laguna a tener compagnia ai coccodrilli.
— Tu sei uno stregone!... — esclamò il malese, che si era bruscamente alzato.
— E perchè?...
— Perchè se i miei occhi non prendono abbaglio, stanno per venire.
— I pirati?...
— Io non lo so, vedo delle forme umane avanzarsi cautamente sulla lingua di terra.
Hong e Than-Kiù balzarono in piedi, guardando fra uno squarcio dei canneti e scorsero, alla blanda luce dell’alba che si diffondeva in cielo riflettendosi sulle acque della laguna, alcune forme ancora indecise, che avevano però più l’aspetto d’uomini che di animali e che si avanzavano sulla lingua di terra.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò Hong. — Sono uomini!...
— Sì, — confermò Than-Kiù. — E non sono più d’una dozzina.
— Sarà qualche gruppo d’esploratori in cerca delle nostre tracce. Non vedi come si arrestano di tratto in tratto e si curvano al suolo?
— Le avranno già trovate, avendo noi camminato su un terreno fangoso.
— Eppure Pandaras ed i suoi uomini non devono essersi svegliati, — disse il malese.
— Saranno gli uomini delle canoe. Come ti dissi, non avendoci trovati, avranno subito sospettato in noi gli autori di quel potentissimo sonno, e per far cosa grata al loro capo si saranno subito messi a ricercarci.
— Sì, dev’essere così, — mormorò Than-Kiù.
— Li lasceremo venire? — chiese Pram-Li.
— Non ci converrebbe assalirli, — rispose Hong. — Lasciamo pure che si avvicinino e concentriamo qui la resistenza. Chissà, forse non oseranno attraversare il canale per venire a frugare questi canneti. Guardate, sono proprio dei pirati costoro, perchè vedo anche dei compatrioti di Pram-Li.
— Che io sarei ben contento di affogare, — disse il malese.
— Orsù, nascondiamoci e vediamo cosa vorranno fare quei birbaccioni. —
Spensero i tizzoni onde il fumo non li tradisse, svegliarono Sheu-Kin e si nascosero in mezzo alle canne, tenendo dinanzi a loro le carabine ed i kampilang.
Il sole era bruscamente comparso, poichè l’alba è brevissima in quelle regioni equatoriali, fugando le tenebre e facendo scintillare le acque della grande laguna, come se fossero cosparse di pagliuzze d’oro.
Tutti i volatili che nidificavano sugli isolotti, riprendevano i loro voli, mandando strida gioconde. Drappelli di anitre selvatiche dalle splendide penne azzurre a riflessi metallici, volteggiavano a fior d’acqua in cerca di pesciolini, calando or qua ed or là a dispetto dei coccodrilli, i cui musi si vedevano sorgere dappertutto; poi s’alzavano, rapide come folgori, le splendide alcede dalle penne color turchese e s’involavano mandando acuti fischi; o piombavano in acqua, con un gridìo assordante, le grosse e pesanti pelargopsis dal becco color rosso corallo, o passavano stormi di rondoni dal volo ardito.
Nell’acqua invece giuocherellavano o combattevano rabbiosamente delle vere legioni di coccodrilli dai dorsi rugosi e dai ventri giallastri. Ve n’erano di tutte le dimensioni, di quelli che misuravano perfino sette metri ed altri non più grandi d’una grossa lucertola e tutti imbrattati di fango.
Alcuni mancavano perfino della coda ed erano i più pericolosi, essendo i più battaglieri ed i più audaci.
Hong ed i suoi compagni non s’occupavano però che degli uomini, i quali, almeno pel momento, erano più da temersi.
Ormai erano visibilissimi, trovandosi già a metà della lingua di terra. Quel drappello si componeva di dodici uomini, la maggior parte mindanesi, tre soli però erano armati di fucili; gli altri non avevano che dei kampilang o dei bolos.
Dovevano aver già scoperte le tracce dei fuggiaschi rimaste impresse sul suolo fangoso, procedendo ormai più speditamente, e pur cercando di tenersi nascosti dietro i canneti. Probabilmente sapevano o sospettavano che i loro prigionieri fossero armati.
— Sono esploratori, — disse Hong a cui non sfuggiva nessuna mossa dei pirati. — Se fossero stati certi che noi ci siamo rifugiati qui, sarebbero venuti in maggior numero.
— Allora tu credi che torneranno indietro per chiedere rinforzi? — chiese Than-Kiù.
— Di ciò non vi è da dubitare.
— Se si potesse farli prigionieri?...
— Non tornerebbero ad avvertire i compagni, ma come fare a prenderli?... Bisognerebbe possedere un canotto ed andare a tagliare la loro ritirata sulla lingua di terra; noi disgraziatamente non abbiamo a nostra disposizione nessun galleggiante.
— Se non ci fossero i coccodrilli si potrebbe tuffarsi e nuotando fra due acque prendere terra alle loro spalle, — disse Pram-Li.
— E si bagnerebbero le carabine, — rispose Hong. — L’unica cosa che ci rimane da fare è di ben difenderci su questo isolotto, sperando di stancare gli assalitori o d’infliggere loro tali perdite da scoraggiarli.
— Oh!... Eccoli!... — esclamò Sheu-Kin.
Hong e Than-Kiù smossero con precauzione le canne e guardarono.
I dodici uomini erano allora giunti sulle rive del canale e tenendosi prudentemente nascosti fra le piante, guardavano l’isolotto, sperando di scoprire i fuggiaschi.
Dopo alcuni minuti, sia che non osassero attraversare il canale o che fossero convinti di non essersi ingannati nelle loro ricerche, cominciarono a battere in ritirata, con una certa precipitazione.
Pram-Li a Sheu-Kin avevano alzate le carabine per salutarli con una scarica.
Hong abbassò le loro armi, dicendo:
— No, aspettiamo da loro l’attacco. Forse non sono persuasi che noi ci troviamo qui. D’altronde fra poco sapremo la nostra sorte, perchè vedo altri uomini radunarsi verso il margine della foresta.
— Che siano i loro compagni?... — chiese Than-Kiù.
Hong stava per rispondere, quando sulla lingua di terra echeggiarono due spari. Due degli esploratori avevano fatto fuoco, forse per richiamare l’attenzione dei loro compagni.
— Amici, — disse Hong, — si tratta di bruciare bene le nostre cartucce. Ormai siamo stati scoperti e fra poco saremo costretti ad impegnare la lotta.
Fortunatamente siamo buoni bersaglieri e le munizioni non ci fanno difetto. —