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In mezzo alla palude 119


— Amici, — disse Hong, — si tratta di bruciare bene le nostre cartucce. Ormai siamo stati scoperti e fra poco saremo costretti ad impegnare la lotta.

Fortunatamente siamo buoni bersaglieri e le munizioni non ci fanno difetto. —


Capitolo XVII

Una difesa disperata

Quelle detonazioni, come aveva sospettato Hong, non avevano avuto altro scopo che di far accorrere gli uomini che erano comparsi sul margine del bosco; infatti pochi momenti dopo i due drappelli ne formavano uno solo, numeroso assai e abbastanza bene armato.

Quei trenta uomini, senza perder tempo, s’avanzarono sulla lingua di terra in fila indiana per non esporsi troppo alle scariche dei loro ex-prigionieri e procurando sempre di tenersi seminascosti dietro ai canneti.

Non si poteva più dubitare delle loro intenzioni: miravano a prendere d’assalto l’isolotto.

Hong e Than-Kiù, che si erano coricati uno a fianco dell’altra, dietro ad una piega del suolo, interamente nascosti dalle canne, videro subito che solamente otto uomini erano armati di fucili.

— Bah!... — disse il chinese, alzando le spalle. — Se quei pesci-cani credono di sloggiarci con quei pochi moschettoni, s’ingannano di molto. Le nostre carabine, che dovevano essere le migliori armi che possedesse Pandaras, hanno doppia portata e li terremo facilmente lontani.

— Aspetterai che siano giunti sulla riva del canale, per aprire il fuoco?...

— Sarebbe un’imprudenza, Than-Kiù. Ormai sanno che noi siamo nascosti qui.

— Eppure non devono averci scorti.

— È vero, ma siamo stati traditi.

— Traditi!... E da chi, Hong?...

— Dai due orsi. I pirati non saranno stati così stupidi da credere che quei due animali si siano suicidati da loro.

— È vero... È stata un’imprudenza lasciare colà i due cadaveri.

— Ci avrebbero scoperti egualmente, Than-Kiù. Eccoli!... Sono a trecento metri!... Possiamo provare le nostre carabine e far loro comprendere che siamo degli avversari temibili. —