I suicidi di Parigi/Episodio terzo/XVIII

Episodio terzo - XVIII. La via del cielo... dopo una sosta

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XVIII.

La via del cielo... dopo una sosta.

Il duca di Balbek aveva sulla morale dalle idee incerte, un carattere avvizzito, uno spirito sconcio dall’educazione dei gesuiti: più dispetto che angoscia; più gelosia d’amor proprio che di amore. Non poteva, per conseguenza, sentir fortemente.

L’abbiam visto infatti stemperarsi in un dolore multiforme, melodrammatico, senza coscienza di sè stesso. In quella situazione di spirito, egli era capace di tutto: cadere ai piedi di sua moglie, arrovesciarla nelle braccia dell’amante ed andarsi a distrarre altrove — così bene [p. 355 modifica]che di uccider l’una e fare assassinar l’altro. Zimbello degli uomini e degli eventi, il duca trattava gli eventi e gli uomini come delle fole. La sua posizione miserabile, che avrebbe dovuto inspirare una compassione simpatica, non ispirava dunque che disprezzo.

Egli divagava.

Tutt’altra però era la situazione morale di Vitaliana.

La sua educazione, al Sacré-Cœur, non era stata più sana e corroborante di quella di sua marito presso i RR. PP. Ma la giovine donna si rilevava per tre forze divine: la purezza dell’anima, la severità del costume, l’amore! Il suo carattere era più fermo perchè aveva per base un cuore. Le sue risoluzioni erano nette, perchè un abisso separava la condotta di suo marito dalla sua.

I decreti delle coscienze semplici sono irrevocabili: gli è il vaso poroso di Orazio che conserva sempre l’odore di cui una volta s’imbevve — quae semel imbuta recens servabit odorem testa diu!

Sposando quello straniero, cui non amava, Vitaliana gli aveva impartito quanto era in poter suo. Il cuore, no.

Il cuore non è in potere di chicchessia. È maggiore di già, nascendo, e dispone di sè stesso alla ventura.

Sì, alla ventura: un’allodola passa ed il cuore vola con lei!

Ora, l’allodola era passata, ed il cuore di Vitaliana se n’era ito, senza ch’ella se n’avvedesse.

Il dovere, pur nondimeno, la conservò pura.

Ma quando la catastrofe dell’onore di suo marito sopravvenne, ella si sorprese a chiedersi: Perchè mi asterrei io, ora che tutto è perduto?

Adriano l’aspettava.

Nel suo impeto subitaneo, Vitaliana non obliò ch’un dettaglio. Ella andava a macchiarsi delle medesime zacchere che la rendevano così severa all’incontro di suo marito: l’oltraggio all’onore, l’onta rovesciata sul nome di cui suo figlio doveva ereditare!

Ella spense forse ogni rimorso dicendosi: io l’amo! Ma chi sa se la non si disse altresì, più sommesso: sposerò un giorno Adriano! — ovvero: morrò per espiare!

Il fatto è che la si tuffò corpo ed anima in quell’amore. [p. 356 modifica]

L’ombra che l’offuscò nei primi giorni fu la sovvenenza di Morella.

Adriano ebbe a lottare lungamente, aspramente, prima che Vitaliana gli perdonasse — o che avesse ciera di perdonargli. Egli lottava ancora, al periodo a cui è giunta questa storia.

Adriano spiegava ogni mattino la sua scala di Giacobbe; poi, quando pensava vedere il suo angelo salire e discenderne, gli era il fantasma di Morella che in cima si accoccolava!

La riotta però agonizzava.

La resistenza si affiacchiva sotto il peso di un attacco che raddoppiava di vigore.

Vitaliana subiva il fascino e si accasciava.

D’altra banda, ciò che ella aveva intravisto ed infrasentito nel salone di Morella, le dava l’insonnia. Ella si sorprendeva perfino a vaneggiare, tutta soffusa di vergogna, questo concetto: Perchè mai non si attillerebbe l’amore delle medesime feste di cui il vizio si satolla?

Adriano passava con lei parte del giorno e tutta la sera.

Sempre pronto, sempre armato moralmente, egli era in sentinella per difenderla contro le intraprese di suo marito, cercando col moccolo un pretesto per servirsi delle armi — cui il mondo gli accordava — onde cavarsi quell’ostacolo dai piedi. Egli s’imbattè più di una fiata nel duca, recandosi dalla duchessa. E non gli volge che queste parole sinistre:

— Ricordatevene! otto giorni... quindici giorni, sono scorsi!... non ve ne restano più che tanti e tanti....

Il duca osservava e passava in silenzio.

Vitaliana, dal lato suo, l’evitava.

La notte, ella si sbarrava a chiave.

Suo marito le faceva orrore.

Il duca provò due volte l’assalto. Vitaliana l’umiliò con motti crudelmente implacabili, senza rovello, senza collera, di un accento freddo che stillava l’ironia ed il disprezzo.

Il duca si astenne per qualche giorno. Però, il dì che seguì la visita del dottore di Nubo, e’ gli sembrò che una spiega tra sua moglie e lui fosse divenuta inevitabile.

Alle dieci, si recò da lei, nella di lei piccola camera da letto. [p. 357 modifica]

Vitaliana veniva di alzarsi in quel punto.

Era avvolta ancora nel suo peignoir. I piedi allungati agli alari del caminetto, sfogliando qualche giornale, cioncando una tazza di cioccolatte — mentre Maria annodava alla presto le di lei magnifiche trecce arruffate dall’origliere.

Il duca accostò un puff al camino, e fece un segno di uscire a Maria, dicendo nel tempo stesso:

— Quando suonerò, fatemi portar qui una tazza di cioccolatte.

Egli contemplava sua moglie.

Non l’aveva giammai vista così bella!

L’amore, del resto, l’aveva sbocciata.

La scintilla della pupilla di lei era divenuta più audace. Le sue labbra, irrigate dalla rugiada dei baci, sembravano più sode e più rosse. La sua fronte s’innalzava più alta, più limpida. La pelle si era imbevuta di tutto lo splendore cui dà quel fiammeggiamento che addimandasi amore. Le sue narici rosse respiravano la voluttà. Sembrava ingrandita. La sua eleganza aveva un accento; le sue maniere una volontà. Tutto indicava che di quella bella cosa l’amore aveva di già fatto qualcuno!

Da tutta quella persona si sprigionava un fluido che inebbriava.

Il duca provava dei fremiti.

La moglie non era ella di già divenuta un’amante?

Il duca girò intorno lo sguardo per quella camera, come per dimandarle la prima parola della conversazione.

Ed infatti, ebbe come un tremito guardando il letto.

Vitaliana non fe’ sembiante di accorgersi di lui.

Il signor di Balbek sclamò infine, quasi suo malgrado, di una voce sorda e commossa:

— Grazia, Vitaliana, grazia!

La giovane sollevò lentamente la fronte dall’Appendice di Alessandro Dumas, e, conficcando come una spada il suo sguardo glaciale nell’uomo che l’implorava testa giù e visibilmente turbato — rispose:

— Sono il re, io? Ed il re, egli stesso, che può accordare la vita, può egli ridare l’onore? Di un ladro, il re può fare un ministro; di un vigliacco, un generale, e’ può covrir del Toson d’oro un cuore disonorato; ma egli non sopprimerà giammai, giammai! il disonore. Ecco. [p. 358 modifica]

— Io ebbi dei giorni di follia — continuò il duca. Passerò tutta la mia vita per farli obliare, per farmeli perdonare.

— Perdonare? giammai! — rispose Vitaliana. L’oblio, l’avete di già. Aspetto mia madre per abbandonar questa casa.

— Te ne supplico, Vitaliana, non sprezzarmi affatto, affatto! Non perderti irrevocabilmente. Io non tento di attenuare le mie colpe. Ma tu non esagerarle per farne un pretesto alle tue. Non ài tu pure bisogno d’indulgenza?

— In ogni caso, io non la dimando — replicò Vitaliana. E non riconosco oggimai che mia madre, la quale abbia il diritto di farmi delle rimostranze.

— Vitaliana, tu ami tuo cugino.

— Da dieci anni.

— Tuo cugino ti ama.

— Da dodici anni.

— Tu lo confessi? Ma non sai tu, o tu oblii, che io posso sfracellar quell’amore?

— In che modo? Da gentiluomo? Tu non ti batti. Da marito, per mezzo dei tribunali? Tu non sai che il principe di Lavandall mi à mandato il tuo autografo graziosamente, e che io l’ò dato a conservare ad Adriano?

— Mio Dio! tu sei dunque di già sì pervertita! — sclamò Balbek.

Vitaliana rispose con un gesto di sprezzo.

— Grazia! continuò il duca. Lasciami sperare ancora, lasciati piegare...

— Insomma, che volete voi? — interruppe Vitaliana con alterigia. Il tempo delle capitolazioni è passato.

— Difatti — osservò il duca levandosi — io me ne avveggo. Vi era al piè di questo letto una culla. L’ài fatta sparire. Sei di già adultera nell’anima. La culla del nostro bambino ti gridava: grazia! — come me. Tu l’ài rotta e gettata al rivendugliolo o nel soffitto.

A quest’appello, la duchessa tremò di tutto il corpo ed impallidì. Si tacque un istante, poi mise un grido:

— Il mondo mi giudicherà.

— Vitaliana — continuò il duca — imponimi l’espiamento che tu vorrai; ma tirami dall’abisso, e non vi precipitare tu stessa. Se tu vuoi che io mi batta con tuo cugino, mi batterò e mi lascerò uccidere. Se vuoi che lasciassimo Parigi, partiremo nella settimana. [p. 359 modifica]

— Partite allora.

— Solo?

— Che! ma voi credete ancora che vi possa essere al fianco mio un posto per voi? Voi non concepite dunque che, se Dio stesso mi condannasse a sentire il soffio del vostro alito sul mio sembiante, io lo laverei con quelle braci?...

— Lo scorgo bene, madama — biascicò il duca lentamente — se io non avessi commesso quelle colpe, voi le avreste inventato per arrivarne a codesto.

— Codesto! che?

— Ponvi mente, Vitaliana, sono forse le ultime parole cui t’indirizzo; il singhiozzo di agonia di una coscienza e di un cuore! Io ti amo...

Vitaliana portò ambe le mani al suo viso.

— Se non avessimo un figliuolo, ti lascerei libera. Io so che in questo rinnovamento continuo di resurrezione nell’universo, la sola cosa che non rivive mai, è l’amore. Ma quel figliuolo lì!... Io l’ò di già troppo vilipeso con le mie follie: non permetterò mai, no, giammai, intendi tu? ch’egli abbia a subire altresì l’obbrobrio di sua madre.

— Signore — rispose Vitaliana levandosi anch’ella, di una voce calma ma decisa — voi non avete che tre modi per impedirlo: uccidervi, lasciarvi uccidere, ucciderci. Scegliete, ed addio. Io dico addio, signore!

Il duca dette un salto ed avvinghiò le mani al collo di sua moglie.

Vitaliana neppure trasalì.

Balbek indietreggiò, tutto ontoso, ed uscì dicendo:

— Mille scuse, madama.

Il dado era tratto?

No, non ancora.

Il duca rivenne su i suoi passi, ed avvicinandosi a sua moglie le dimandò:

— Tu mi ài richiamato, Vitaliana?

Questa riapparizione produsse sulla duchessa un tale senso di disprezzo e di nausea, che il suo viso ne divenne brutto sotto la contrazione dei muscoli. Cercò la risposta cui doveva fare, cercò forse le parole; ma, dopo qualche esitamento, ella non seppe che trovar questo:

— Dite ai miei famigliari che esco all’una. [p. 360 modifica]

Il duca fece vista di non capire l’insulto. Aveva quasi delle lagrime agli occhi, e mormorò di una voce lenta e soffocata:

— Ma tu non ti accorgi dunque che io sono geloso? Tu non comprendi dunque che, condannandomi senza pietà io posso usare del mio diritto di marito oltraggiato ed uccidervi là, a fianco l’un dell’altra, di un colpo di pistola — e agghiadar sulle vostre labbra i vostri baci, pel giudice d’istruzione? Tu non comprendi dunque che lo scandalo, di cui mi minacciate, vi coglie? Tu non comprendi dunque che, avendo le mie ragioni per non accettare un duello, io posso impunemente divenire assassino? Tu non comprendi dunque che io sono in casa mia, qui; che io sono il tuo signore, se voglio; che posso sorprenderti in flagrante, schiacciarti come una mosca, e che, poichè voi cospirate alla mia rovina, io posso ingoiarvi tutti con me? Rifletti. Vitaliana! Tu mi scacci; egli mi provoca; voi siete tutti armati contro me; mi rovesciate nella solitudine e nelle tenebre; assassinate il mio avvenire; mi orbate di tutto; mi avete tutto preso; mi mettete petto a petto con la disperazione — là ove io aveva l’abitudine di vedere mia moglie cui amo! voi mi rubate il mio figliuolo; mi fate vedovo della peggiore delle vedovanze inframettendo fra mia moglie e me, non una tomba, ma un amante! Ponete mente! voi mi tentate troppo, ah! troppo! mi accollate forzosamente al delitto. E sei tu, Vitaliana, che sei ferocemente la più accanita! Oh! no, no... per pietà, no! Gli è impossibile che tu — che ieri ancora eri così immacolata e così timida — tu sii divenuta così atrocemente inflessibile e senza onta. Gli è impossibile che tu — che ieri ancora non osavi mettere un fiore nei tuoi capelli senza consultarmi — abbi adesso quel verbo che m’irride, quella volontà che mi dispera, quella decisione inesorabile che mi uccide. No, non è possibile un cangiamento sì subito e radicale! È mestieri che tu mediti qualcosa di terribile contro te stessa, per essere sì insensibile contro il tuo proprio figliuolo. Bisogna che la tua calma ed il tuo decreto senza appello abbiano per fondo una disperazione muta o un progetto sinistro.... Parla, parla, Vitaliana...

Vitaliana, per tutta risposta, interruppe il duca e suonò. [p. 361 modifica]

Maria apparve.

Vitaliana le disse:

— Il duca vi dice di fargli servire il cioccolatte nel suo gabinetto. E venite a vestirmi.

Balbek uscì, la testa affondata nel petto.

L’ultima parola era stata detta.




Il duca aveva forse indovinato.

La sfrontatezza sùbita, la resoluzione irremovibile di Vitaliana erano la conseguenza di una decisione suprema presa da lei.

Ella non ne soffiò motto ad alcuno, però. Si seppe il suo pensiero più tardi, da una bozza di lettera cui si proponeva indirizzare a sua madre, e cui non le indirizzò.

Ella si suicidava, ed uccideva Adriano con lei!

"Un ravvicinamento con mio marito — scriveva ella — mi sembra, più che impossibile, inverosimile. Io non mi sento la forza di resistere all’attrazione di mio cugino. Ma non so neppure perdonargli Morella — di cui colgo i baci caldi ancora, sulle labbra febbrili di Adriano. Non so rassegnarmi a morir sola, perchè soffocherei di gelosia fin nella mia tomba. D’altronde, ò infravisto, in un paradiso d’amore, il frutto proibito, cui voglio mordere di bell’appetito, prima di morire — e morir dopo, madre mia, par lavare l’onta di cui imbratto il capo di mio figlio.

«Le rimostranze di oggi del fu mio marito mi ànno confermata nella mia risoluzione.

«In una parola, madre, voglio morire nelle braccia di Adriano, con lui, sfogliando petalo a petalo l’estasi della colpa — se amare n’è una agli occhi di Dio...>

Ora, a quell’armellino non venne neppure nel pensiero di suicidarsi col véggio al carbone della crestaina, con la pistola del violento, con il tossico della disperazione, col pugnale della premeditazione fredda ed eroica.

Ella meditava di una morte che fosse, più che una festa, un’aureola; meglio che un inebbriamento, un poema! Si sarebbe annegata in una stella, se lo avesse potuto!

Ella vagheggiava dunque di già quella morte deliziosa — cui il dottore di Nubo, con una scaltrezza perfida, segnalava al duca come un assassinio che non lasciava [p. 362 modifica]traccia e che avrebbe potuto passare sotto l’insegna giuridica del suicidio.

Ella non tenne però alcun proposito di codesto a suo cugino.

Il duca non concepì neppur l’ombra di un sospetto sulle intenzioni di lei.

Vitaliana si uccideva mentre suo marito l’assassinava — e tutto ciò con un’inconseguenza, con una leggierezza, con una irriflessione, con una frivolezza, cui io mi travaglio forse invano di dipingere onde dare un’idea dei caratteri che i clericali formano con la loro educazione religiosa.

Il giorno seguente, anniversario del suo matrimonio, Vitaliana si alzò alle otto.

Ella aveva la febbre che scoppiettava dappertutto: nei suoi occhi, sulle sue guance, dalle sue labbra.

Entrò nella sua stufa, e tagliò tutte quelle ali che volavano verso di lei, sbocciando — tutta la luminosa famiglia dei liliaci: tuberose, iridi di Firenze, gigli, gionchiglie, ginestre, quegli onagri che olezzano solo la notte, mughetti, prugnoli, resede, tigli, gelsomini, vaniglie.... tutte quelle anime!

Perocchè, il grande Boherave ne dà una al fiore, e la chiama lo spirito rettore.

Vitaliana ne colse una bracciata e rientrò con essa nella sua camera.

Si fece vestire di una toilette gaia; diede i suoi ordini a Maria, ed uscì alle undici.

Ove andava ella?

Ella andava ad asciolvere con suo cugino — in casa del quale metteva il piede per la prima volta dopo che gli aveva confessato il suo amore.

La colazione fu stordita di gaiezza.

Ella tirò alla pistola e tinse di nero i baffetti biondi di Adriano.

Essi uscirono in seguito, e corsero Parigi ed i dintorni, spassandosi come fanciulli e scolari.

Alle sette della sera, pranzarono ai Provençaux, in un gabinetto particolare. Poi entrarono in una baignoire, al teatro del Palais Royal.

Tra le undici e mezzanotte, Vitaliana rientrò sola al palazzo.


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La giornata del duca di Balbek fu lungi dall’essere così divertita — quantunque i due innamorati immaginassero ch’ei si ubbriacasse dell’ultima coppa dell’elixir di Morella.

Il duca aveva mandato via Tob, cui aveva sorpreso, qualche giorno innanzi, nel suo gabinetto, assiso nel suo seggiolone, a frugare nei dispacci, per scontare i segreti di Stato alla Borsa. E’ restò dunque in casa, nelle sue stanze, ove Maria si guizzava di tratto in tratto furtivamente, onde gittargli un motto su ciò che Vitaliana faceva.

Quando questa fu sortita, il duca se ne andò a ronzare per la stufa, a volta sua.

Vedendo il giardiniere contristato dalla messe distruttrice che Vitaliana vi aveva compiuta, e’ lo mandò a comprare dei vasi di fiori da un orticoltore.

Andò in seguito, quatto quatto, ad ispezionare il balcone che metteva in comunicazione la cameretta da letto di sua moglie con la stufa.

Le persiane erano borrate, per interdire alla luce, all’aria, al garrito degli uccelli, di arrivare al nido della duchessa, che cominciava a dormire quando l’aurora si risvegliava.

Fu la bisogna di alcuni secondi che di forare, giù nelle imposte, un bucherellino con un succhiello, là dove le imposte si connettono, affin d’impedire, col mezzo d’una vite, che le si aprissero di dentro — se lo si fosse tentato. Poscia riaprì immediatamente il balcone ed uscì.

Da un’ora a tre, e’ fu un viavai di commissionari che portavano alla duchessa, in nome del conte di Alleux, dei magnifici vasi del Giappone, riempiti di fiori rari — di cui la stagione, il cielo ed il clima di Parigi ebbero forte a stupire.

Si scorse il duca all’Hôtel des Capucines — ove andò a comunicare al ministro degli affari stranieri non so che nota verbale del suo Governo. Lo si rimarcò in seguito al club — ove pranzò e giocò gaiamente.

Morella gli fece i suoi addii alle dieci.

Alle undici, egli rientrò all’ambasciata, per la porta secreta del giardino e la scaletta a chiocciola che metteva capo alla terrazza della stufa, poi per il balcone del boudoir di Vitaliana s’intromise in camera sua. [p. 364 modifica]

Ma, prima di chiudersi colà, volle cacciare gli occhi nella camera di sua moglie.

Si sarebbe creduto al Ceylan, dove, al dire del visconte di Valenza, si respirano i profumi a nove leghe di distanza.

Il duca veniva appena di ritirarsi quando Vitaliana arrivò.


Ella restò abbarbagliata — talmente l’intelligente cameriera sua l’aveva compresa e servita a voglia.

La sua camera sembrava un mazzo di fiori rischiarato dalla luna. Perocchè, alle tre o quattro lampade che l’illuminavano, ella aveva fatto adattare dei globi di cristallo color cedro. Il balcone era chiuso e le cortine abbassate. Sur un guéridon erano delle leccornie ed una bottiglia di vin delle Canarie.

Il letto rassomigliava ad un cigno addormentato, il capo nicchiato sotto le ali. La gaze che temperava il luccicare del raso color di rosa, di cui le mura erano tappezzate, sembrava animata. Perocchè ogni movimento le imprimeva quella vermicolazione che si osserva sul seno di una giovinetta che dorme — e sogna del suo primo bacio! Le porcellane, i cristalli riflettevano la luce argentea delle lampade — alla guisa del sorriso del fanciullo — gioia spontanea anzi che gaiezza consciente — che rifrange la trasparenza dell’anima. Dove è luce e profumo, anima è.

I fiori, essi stessi, smorzavano il loro splendore sfrontato, per non disaccordare, in quel medio soave, melodioso, casto, inebbriante come quelle notti di luna piena di Delo o di Smirne — ove si crederebbe dondolarsi in grembo ad una costellazione.

Maria aveva disposta quella cameretta come Alfonso Karr compone un mazzo di fiori.

Vitaliana ne fu rapita.

Ma ella non aveva il tempo di esprimerle la sua ammirazione e la sua approvazione.

Si fece svestire alla presto, si avvolse nella sua douillette, e la mandò a coricarsi.

— Madama la duchessa si corica sola?

— Sola.

— Madama la duchessa à bisogno di qualcos’altra? [p. 365 modifica]

— Di nulla.

Maria salutò ed uscì.

Ascoltò un istante alla porta, sorrise, passò alla camera del duca — cui trovò chiusa... e si ritirò.