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— Io ebbi dei giorni di follia — continuò il duca. Passerò tutta la mia vita per farli obliare, per farmeli perdonare.

— Perdonare? giammai! — rispose Vitaliana. L’oblio, l’avete di già. Aspetto mia madre per abbandonar questa casa.

— Te ne supplico, Vitaliana, non sprezzarmi affatto, affatto! Non perderti irrevocabilmente. Io non tento di attenuare le mie colpe. Ma tu non esagerarle per farne un pretesto alle tue. Non ài tu pure bisogno d’indulgenza?

— In ogni caso, io non la dimando — replicò Vitaliana. E non riconosco oggimai che mia madre, la quale abbia il diritto di farmi delle rimostranze.

— Vitaliana, tu ami tuo cugino.

— Da dieci anni.

— Tuo cugino ti ama.

— Da dodici anni.

— Tu lo confessi? Ma non sai tu, o tu oblii, che io posso sfracellar quell’amore?

— In che modo? Da gentiluomo? Tu non ti batti. Da marito, per mezzo dei tribunali? Tu non sai che il principe di Lavandall mi à mandato il tuo autografo graziosamente, e che io l’ò dato a conservare ad Adriano?

— Mio Dio! tu sei dunque di già sì pervertita! — sclamò Balbek.

Vitaliana rispose con un gesto di sprezzo.

— Grazia! continuò il duca. Lasciami sperare ancora, lasciati piegare...

— Insomma, che volete voi? — interruppe Vitaliana con alterigia. Il tempo delle capitolazioni è passato.

— Difatti — osservò il duca levandosi — io me ne avveggo. Vi era al piè di questo letto una culla. L’ài fatta sparire. Sei di già adultera nell’anima. La culla del nostro bambino ti gridava: grazia! — come me. Tu l’ài rotta e gettata al rivendugliolo o nel soffitto.

A quest’appello, la duchessa tremò di tutto il corpo ed impallidì. Si tacque un istante, poi mise un grido:

— Il mondo mi giudicherà.

— Vitaliana — continuò il duca — imponimi l’espiamento che tu vorrai; ma tirami dall’abisso, e non vi precipitare tu stessa. Se tu vuoi che io mi batta con tuo cugino, mi batterò e mi lascerò uccidere. Se vuoi che lasciassimo Parigi, partiremo nella settimana.