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L’ombra che l’offuscò nei primi giorni fu la sovvenenza di Morella.

Adriano ebbe a lottare lungamente, aspramente, prima che Vitaliana gli perdonasse — o che avesse ciera di perdonargli. Egli lottava ancora, al periodo a cui è giunta questa storia.

Adriano spiegava ogni mattino la sua scala di Giacobbe; poi, quando pensava vedere il suo angelo salire e discenderne, gli era il fantasma di Morella che in cima si accoccolava!

La riotta però agonizzava.

La resistenza si affiacchiva sotto il peso di un attacco che raddoppiava di vigore.

Vitaliana subiva il fascino e si accasciava.

D’altra banda, ciò che ella aveva intravisto ed infrasentito nel salone di Morella, le dava l’insonnia. Ella si sorprendeva perfino a vaneggiare, tutta soffusa di vergogna, questo concetto: Perchè mai non si attillerebbe l’amore delle medesime feste di cui il vizio si satolla?

Adriano passava con lei parte del giorno e tutta la sera.

Sempre pronto, sempre armato moralmente, egli era in sentinella per difenderla contro le intraprese di suo marito, cercando col moccolo un pretesto per servirsi delle armi — cui il mondo gli accordava — onde cavarsi quell’ostacolo dai piedi. Egli s’imbattè più di una fiata nel duca, recandosi dalla duchessa. E non gli volge che queste parole sinistre:

— Ricordatevene! otto giorni... quindici giorni, sono scorsi!... non ve ne restano più che tanti e tanti....

Il duca osservava e passava in silenzio.

Vitaliana, dal lato suo, l’evitava.

La notte, ella si sbarrava a chiave.

Suo marito le faceva orrore.

Il duca provò due volte l’assalto. Vitaliana l’umiliò con motti crudelmente implacabili, senza rovello, senza collera, di un accento freddo che stillava l’ironia ed il disprezzo.

Il duca si astenne per qualche giorno. Però, il dì che seguì la visita del dottore di Nubo, e’ gli sembrò che una spiega tra sua moglie e lui fosse divenuta inevitabile.

Alle dieci, si recò da lei, nella di lei piccola camera da letto.