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traccia e che avrebbe potuto passare sotto l’insegna giuridica del suicidio.

Ella non tenne però alcun proposito di codesto a suo cugino.

Il duca non concepì neppur l’ombra di un sospetto sulle intenzioni di lei.

Vitaliana si uccideva mentre suo marito l’assassinava — e tutto ciò con un’inconseguenza, con una leggierezza, con una irriflessione, con una frivolezza, cui io mi travaglio forse invano di dipingere onde dare un’idea dei caratteri che i clericali formano con la loro educazione religiosa.

Il giorno seguente, anniversario del suo matrimonio, Vitaliana si alzò alle otto.

Ella aveva la febbre che scoppiettava dappertutto: nei suoi occhi, sulle sue guance, dalle sue labbra.

Entrò nella sua stufa, e tagliò tutte quelle ali che volavano verso di lei, sbocciando — tutta la luminosa famiglia dei liliaci: tuberose, iridi di Firenze, gigli, gionchiglie, ginestre, quegli onagri che olezzano solo la notte, mughetti, prugnoli, resede, tigli, gelsomini, vaniglie.... tutte quelle anime!

Perocchè, il grande Boherave ne dà una al fiore, e la chiama lo spirito rettore.

Vitaliana ne colse una bracciata e rientrò con essa nella sua camera.

Si fece vestire di una toilette gaia; diede i suoi ordini a Maria, ed uscì alle undici.

Ove andava ella?

Ella andava ad asciolvere con suo cugino — in casa del quale metteva il piede per la prima volta dopo che gli aveva confessato il suo amore.

La colazione fu stordita di gaiezza.

Ella tirò alla pistola e tinse di nero i baffetti biondi di Adriano.

Essi uscirono in seguito, e corsero Parigi ed i dintorni, spassandosi come fanciulli e scolari.

Alle sette della sera, pranzarono ai Provençaux, in un gabinetto particolare. Poi entrarono in una baignoire, al teatro del Palais Royal.

Tra le undici e mezzanotte, Vitaliana rientrò sola al palazzo.