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— Di nulla.

Maria salutò ed uscì.

Ascoltò un istante alla porta, sorrise, passò alla camera del duca — cui trovò chiusa... e si ritirò.


XIX.

Fiat lux

La duchessa si lasciò cadere sulla dormeuse.

La sua immaginazione prese in un istante le ali degli angeli e la condusse, in pochi secondi, a traverso i suoi anni di giovinetta, poi di giovane donna, poi di giovane madre. Il suo passato le formava intorno un pianeta. Passava per la via lattea della sua innocenza e si elevava verso le altitudini cui i primi raggi dell’aurora invermigliano.

Quei fuochi eran quelli del salone di Morella!

Questa memoria imporporò le guance di Vitaliana.

La sua testa bruciava di già. Il suo sangue bolliva ed aveva una tanta violenza di flusso e riflusso, che si udivano i battiti del cuore. I suoi occhi avevano delle fiamme come quelle dei punch, piuttosto come quelle di quegli angeli che i primi amarono le figlie dell’uomo. Il seno di Vitaliana si gonfiava come il mare sotto le carezze della luna; la sua respirazione ardeva.

Psiche era animata!

Sembrava più alta.

Ella poteva dire dell’amore ciò che Ovidio aveva detto dell’ispirazione: un Dio è in noi; al suo soffio bruciamo — est deus in nobis, flavente calescimus illo!

A questo zenit del parossismo del vaneggiamento, o piuttosto dell’intospezione, ella ebbe come una scossa e saltò impiedi.

Adriano entrava.

La porta del balcone del suo boudoir, di dove il duca era passato, era stata lasciata aperta dal padrone della casa.