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Ma, prima di chiudersi colà, volle cacciare gli occhi nella camera di sua moglie.

Si sarebbe creduto al Ceylan, dove, al dire del visconte di Valenza, si respirano i profumi a nove leghe di distanza.

Il duca veniva appena di ritirarsi quando Vitaliana arrivò.


Ella restò abbarbagliata — talmente l’intelligente cameriera sua l’aveva compresa e servita a voglia.

La sua camera sembrava un mazzo di fiori rischiarato dalla luna. Perocchè, alle tre o quattro lampade che l’illuminavano, ella aveva fatto adattare dei globi di cristallo color cedro. Il balcone era chiuso e le cortine abbassate. Sur un guéridon erano delle leccornie ed una bottiglia di vin delle Canarie.

Il letto rassomigliava ad un cigno addormentato, il capo nicchiato sotto le ali. La gaze che temperava il luccicare del raso color di rosa, di cui le mura erano tappezzate, sembrava animata. Perocchè ogni movimento le imprimeva quella vermicolazione che si osserva sul seno di una giovinetta che dorme — e sogna del suo primo bacio! Le porcellane, i cristalli riflettevano la luce argentea delle lampade — alla guisa del sorriso del fanciullo — gioia spontanea anzi che gaiezza consciente — che rifrange la trasparenza dell’anima. Dove è luce e profumo, anima è.

I fiori, essi stessi, smorzavano il loro splendore sfrontato, per non disaccordare, in quel medio soave, melodioso, casto, inebbriante come quelle notti di luna piena di Delo o di Smirne — ove si crederebbe dondolarsi in grembo ad una costellazione.

Maria aveva disposta quella cameretta come Alfonso Karr compone un mazzo di fiori.

Vitaliana ne fu rapita.

Ma ella non aveva il tempo di esprimerle la sua ammirazione e la sua approvazione.

Si fece svestire alla presto, si avvolse nella sua douillette, e la mandò a coricarsi.

— Madama la duchessa si corica sola?

— Sola.

— Madama la duchessa à bisogno di qualcos’altra?