Giovanni Lami

1738 Indice:I_pifferi_di_montagna.pdf letteratura I pifferi di montagna Intestazione 16 giugno 2012 100%


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C
Itiso dunque io son? nè sulle corna

  Al Settano darò, che insino al Cielo
  Ne ha la gran testa torreggiante, e adorna?3
Se risparmio due Rei, che in negro pelo,
  Celan nubilo ingegno, atro costume,
  E quando mi armerò di giusto zelo?6
Nel fitto bujo lor, mi faran lume
  Ragione, e Verità, sicch’io discrena
  Qual fango sporca di lor vita il fiume.9
Ebbi ragion se la dipinta esterna
  Santità ne fuggii: non sono amico
  Di chi furtivo in male oprar s’interna.12
E mi spogliai del mio contegno antico,
  Feci il volto severo, e torvo il guardo;
  Che con Gente Ribalda io non m’intrico.15
Scoccate pur l’avvelenamento dardo
  Di vostra maldicenza; in guerra tale
  M’affronto invitto, e mai non fui codardo;18
Poichè ben veggio l’avventato strale
  Tornasi indietro, e andar rubello al petto
  Di questo e quello infame arcier cotale.21
Perdio, che a Rollo feste un gran dispetto,
  In dir, che va cercando altro sentiero,
  Che altrui conduce alla virtù diretto!24
È sempre bello e nobile i pensiero
  D’agevolar la via, che la conduce,
  Ove in trono immortal risiede il vero.27
Così di notte al tetro orror, se duce
  Al peregrin si fa più d’un fanale,
  Comoda gli è la raddoppiata luce.30
Dunque il solo vostro Alvaro stivale,
  Ricco di granciporri, e barbarismi,
  E l’idea del saper Grammaticale?33
Oh uomin ciechi, e senza sillogismi!
  Se ragionaste alquanto, e’ ben vedreste,
  Che vi fan poco onor vostri sofismi;36
E vi fate stimar rovina e peste
  Della tenera Etrusca Gioventute,
  Che ha per imparar valor celeste.39
Veggio le lingue lor barbare, e mute
  E di Virgilio e Ciceron la frase
  Fuggire, e far più gravi altre cadute.42
Poichè non fate egregia e stabil base
  A’ loro studj; e un Avancino indegno,
  Od un Oschio, a seguir son persuase.45

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Or condannate pur l’alto disegno,
  Di fare esempio al dir Tullio, e Marone:
  E me per questo abbiate in odio, e a sdegno. 48
Che da per voi tirar la conclusione
  Potete: Fiorirà così mia scuola,
  E a voi solo verrà qualche coglione. 51
Che a Genitor simil rapisce e invola
  La vostra ipocrisìa. Quanto ben disse,
  E quanto è memorabil la parola 54
Del dotto Lazzerini! allorchè fisse
  Le pupille ebbe a vostra Casa, e allato
  Il tetto vide, ove il gran Cosmo visse. 57
Esclamò volto a questo: Ecco il beato
  Soggiorno al mondo, in cui virtù rinacque,
  E a sua cuna del Ciel fu destinato. 60
Ma il vostro a lui sì giustamente spiacque,
  Che il ravvisò delle scienze avello,
  E le gote rigò di tepide acque. 63
E questa è la ragion, ch’ora a martello
  Sonate contra lui; che la vendetta
  Vi bolle nel linfatico cervello. 66
Ma quai vigliacchi, la rabbia e saetta
  Sfogate contro un Uom di vita muto.
  Oh Giove, che non prendi ora un’accetta; 69
E non isperdi l’atro Stuol cornuto
  Di lordi Calabroni, a’ quali appresso
  E ogni onestate, ogni pudor perduto. 72
Di due Somari ecco in paraggio han messo
  Lazzerini, e Salvin, de’ quali il nome
  Ne va da Calpe all’Indo, e al Cielo stesso. 75
Ei givan carchi di onorate some
  Di Scienza e Virtute, e il sacro alloro
  Non cinse mai più venerande chiome. 78
Ma di tai babbuassi il concistoro
  Dichiara, che di lor pregi all’inopia
  Lodi accordate gran soccorso foro. 81
S’io potessi segnar colla sinopia
  Quei che tal frode fan; di quei Pugliesi
  Castroni si vedrebbe una gran copia. 84
Se avete mai di Gesuiti intesi
  I discorsi fallaci, e pedanteschi,
  Per turba dotta l’averete presi. 87
Par che tenace pania sì l’inveschi
  Scambievolmente, che attaccati sieno,
  E che dove l’un borda, l’altro peschi. 90

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Solo ne traggon dal fecondo seno
  Dall’ampia Società detti, e Scrittori,
  Gran barbacani a favellare ameno; 93
Parla il Lagomarsini? e lodi, e onori
  Sommi al Colonia dona: ed il Venturi
  Sembra che il Benci e il Pulcarelli adori. 96
E il Fabri altri non par che legga, o curi,
  Che il suo Molina; e di Fisica quello
  Trova nel Tolomei dogmi sicuri. 99
E così fan di lor tanto bordello,
  Che chi non distingueli agli orecchi,
  Lor Casa crederia de’ savi ostello. 102
Ma io non vo’, che in ignoranza invecchi
  Il Mondo; e vo’ che scorga gli sfacciati,
  Che son di vera Asinitate specchi. 105
Faceste bene a dir che al mondo nati
  Son come i funghi i Dotti, e che germoglia
  Il terren da per tutto Uomin sensati. 108
Questo gli è vero, e a rinfacciar m’invoglia
  Sempre più a voi, che in abbondanza tale,
  Un Dotto sol non ha la vostra Soglia. 111
Solo si vede questo e quel cotale,
  Stolido, disensato, e ignorantello,
  Starvi appresso, e tenervi l’orinale. 114
Anzi sì di migliaccio il reo cervello
  Ripieno avete, che se a sorte alcuno
  Di saper fa tra voi l’animo bello: 117
Resta da voi spregiato, e va digiuno
  Di lode; e il gran Petavio, e il buon Sirmondo,
  E altri simil, vi son negli occhi un pruno. 120
E avete il capo così goffo, e tondo,
  Che dove l’Opre sien di que’ valenti,
  Non vi trovate Libreria nel Mondo. 123
E tra’ vivi lo dica il Padre Centi,
  Che lo scacciaste come un Ribaldaccio,
  Perchè nutria più saggi sentimenti. 126
E in fare andar la gioventute avaccio
  Ne’ buoni studj, all’ignoranza vostra
  Da lui venia gran disonore, e impaccio. 129
Ma il vostro viso, che mai non s’inostra
  Del pudor santo, ancor non si vergogna
  Di sua stortezza far più chiara mostra. 132
Ecco il Lagomarsin, che ha messa in gogna
  Tutta la Societate, e fa palese
  Esser di gusto reo sordida fogna. 135

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Ecco il Venturi, che in suoi versi rese
  Infame l’Assemblea, che Ignazio accolse
  Efigendo da lei più belle imprese. 138
Che l’uno e l’altro a condannar si volse
  Le arti più belle, e quegli egregi studj,
  Onde a barbarie omai l’uomo si tolse; 141
A’ quai convien che ognuno attenda, e sudi,
  Per coltivar lo spirto, e i suoi costumi
  Render di vizio, e di rozzezza, ignudi; 144
E acciò faccia sgorgar di Pindo i fiumi,
  E sia signor d’alta scienza, e canto,
  Ed il suo nome tutto il mondo allumi; 147
Ed alla Patria, e a’ Genitor, gran vanto
  Apporti; dopo ancor l’ultimo passo
  Memoria lasci d’uomo illustre e santo. 150
Or’io ravviso perch’è voto, e casso,
  L’Ostello Calabronico di gente,
  Che vada altera in Pindo, ed in Parnasso; 153
E perchè i saggi non stimin niente
  Tanti libracci, inde appestaro il mondo,
  E de’ quali il fetor lungi si sente. 156
E che non vanno di dottrina al fondo,
  E sprezzano i presidi di quelle Arti,
  Che sole posson riquadrare il tondo. 159
Onde nell’opre lor mancan le parti
  Migliori, e son nella somma infelici;
  E alla veste non fan da buoni Sarti. 162
Questo è velluto, se tu a sorte dici;
  Dunque è bello il Vestito? e’ vi vuol taglio
  Adatto, ed altre simili appendici. 165
Se dice un Calabron, Io non incaglio;
  Questa è Teologia; che gran dottrina!
  Dirogli; o Frate mio, tu prendi sbaglio. 168
Veder bisogna come si cucina
  La tua pietanza, perchè il tuo Fagiano
  Mal condito, sia men, che una Gallina. 171
Che gran cosa il narrar lo stato umano
  Di un Dio! ma pur ridicola diviene,
  Se in narrarla non ha giudizio sano. 174
Se vuoi dir d'olio che sgorgar le vene
  Al nascer suo; e gl’Idoli cadero
  Al suo passar per Menfi, e per Siene; 177
Ed ebbe per compagno un Lion fiero:
  E simil fanciullesche altre novelle,
  Che non han pur di fondamento un zero. 180

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Adunque il Calabron, che in pelle in pelle
  Sa queste cose, e di criterio manca,
  Ha sol dottrina degna di gonnelle? 180
Onde se d’esse ne invernicia, e imbianca
  Il suo Volume: ecco che buon sol resta
  Pel foro, che sta in vetta alla doppia anca. 183
Lo stesso dir si può, se non ha desta
  La mente a consultar medaglie, e marmi
  Antichi, in far de i tempi scorsi inchiesta. 186
Includerà ne’ suoi scipiti carmi,
  Ch’Erodoto fiorì, quando quel Grande
  Sovra Massenzio fulminò colle armi. 189
E dirà, che era nell’Etrusche bande
  Decio, allor che Cresci, ed Omnion soffriro,
  E fecer di valor prove ammirande. 192
Così n’andrei d’altre scienze in giro,
  E dello studio di vetuste carte
  L’util farei veder, cui tanto ammiro. 195
Che se alcun le raccoglie, e mette a parte,
  Benchè non le leggesse, una gran laude
  Pur mieter ei dovrebbe in questa parte. 198
Perocchè a tempo fa ingegnosa fraude,
  E vieta, che periscan le memorie,
  A cui l’uom saggio con ragione applaude: 201
E poscia ne contesse egregie storie,
  Onde l’Antichità presente rende,
  E della Patria suscita le glorie. 204
Per altro verso poi chi cura prende
  Di studj più profondi, e Geometra
  All’inchiesta del ver sue voglie accende. 207
O coll’ingegno suo volando all’Etra
  Metafisico egregio, alte cagioni
  Con lungo meditar scoprire impetra: 210
Sicchè si ride di tanti Coglioni,
  Che avvallan Gesuitiche pastocchie,
  E tutto il lor cervello han ne’ calzoni: 213
Anch’ei diletto alle nove Sirocchie,
  Intende il giusto, e scorge il meglio, e grave
  Nel suo pensar sia che la meta adocchie 216
Del saper vero, del quale è la chiave
  La nobil Geometrica dottrina,
  E ciò che parentela con essa ave. 219
Ora perchè la tua magra, e tapina,
  Musa, Venturi mio, si getta, e scaglia.
  Contro scienza si degna, e divina? 222

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Tua voce d’uom non è, ma di chi raglia
  In Arcadici prati, e se qualcuno
  Altrimenti ne pensa, a fe che sbaglia.225
Saresti tu del ver tanto digiuno,
  E penseresti come un Assiuolo,
  In quel tuo canto, così stolto, e bruno?228
Se avessi dato mai un guardo solo
  Alla lavagna, e in quella appreso almeno,
  Quel che comprende un cominciante stuolo?231
E di quel pan bollito il cervel pieno
  Avresti, cotto a te dalla tua Balia,
  Che feo Giuseppe un vecchiarel Sileno?234
E così poco stenderesti l’alia
  Del meditar, sicchè altro non cinguetti,
  Che Cuium pecus, Damon, e Magalia?237
E sotto que’ tuoi carmi aridi, e infetti,
  Zoppi, barbari, incolti, e pien d’errori,
  Ne’ riporresti sì sciocchi concetti?240
E così ignoto, e vil sareste fuori?
  Mira l’Alto Fronton, che studia quello,
  Che irridono i tuoi bei versi canori;243
La fama sua sino al celeste Ostello
  Ne vola, e ingombra il gelido Britanno,
  E il Franco industre, e al mal oprar rubello.246
Egli sedendo co’ più Saggi a scanno,
  Altro onor della dotta alma Famiglia,
  Tutti lo miran, tutti onor gli fanno.249
E quel tuo Gallio, di cui sì bisbiglia
  Il Mondo tutto, e i parti egregi ammira,
  Che si frequenti lo suo ingegno figlia:252
E che a te muovon tanta invidia, ed ira:
  Anch’ei cogli altri Eroi dimora assiso,
  E a maggior gloria ognor tende, ed aspira,255
E in rimirar l’incotalato viso
  E del Lagomarsini, e del Venturi,
  Gli squaderna le fiabe, e scioglie il riso.258
E ne riscuote ossequi illustri, e puri,
  Di genti rimotissime, onde chiaro
  E vivo fia ne i secoli futuri.261
Sai tu perchè? nessun di loro avaro
  Fu di fatiche nelle arti più belle,
  E quelle apprese ognor molto stimaro.264
Furono queste fide ardenti stelle
  Nel lor viaggio periglioso, e al porto
  Di gloria gli guidar le alme facelle.267

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Ma tu esse dispregi, e però un morto,
  E fetente cadavere sul suolo
  Sembri, che a laude mai non sia risorto.270
E ognun ti sfugge, e lascia incolto, e solo:
  Se non che qualche bestia al puzzo tira,
  O volge corvo alla carogna il volo.273
E nel Lagomarsin, che mai si ammira?
  Scrisse contro un Pedante, e i barbarismi
  Fero dell’un coll’altro a tira tira.276
E in qualche orazione i solecismi
  Conoscer feo del suo pensar citrullo:
  Ma spaccio non trovar gli empi sofismi.279
Onde rimase sempre ignudo, e brullo:
  Ed ora il Diavol l’ha condotto a segno
  D’esser de’ garghi Fiorentin trastullo.282
Poichè ha ruttato dal suo petto pregno
  D’orgoglio l’ignoranza, e fatto un guazzo
  Immenso del suo freddo acquoso ingegno.285
Ed in quel canto, che non vale un ca . . .
  Ha smerdato se stesso, e delle Muse
  Caste in satirizzar fatto strapazzo.288
Le quai rimaste attonite, e confuse
  A tante melonaggini, e bajuche,
  Chi mai gridaro, il canto a lui ne infuse?291
Non bebbe al fonte nò; ma delle Ciuche,
  Che in Pindo al Pegaseo portano il fieno,
  Bevve alle sozze scompisciate buche,294
Quindi ne zampillò quel verso osceno,
  Che ci fa maneggiare ca . . . e co . . .
  A chi di mal Franzese è incotto, e pieno.297
E quindi l’altro, in cui sotto gli arnioni
  Ha Poppea la fontana, onde in orina
  Si stillano i poetici sermoni.300
Questa è la lingua sua pura, e Latina?
  E queste son le nerborute frasi?
  E questa è l’eloquenza alma e divina?303
A fe, che della Crusca son rimasi
  Scornati i Socj, a cui solo frondi amiche
  Sono, d’ogni vigore e forza rasi306
Ei di parlare ha forti mode antiche,
  Nè lussureggia in frondi: i frutti coglie
  Di merda, di ruffian, di ca . . . e fiche.309
Oh Frate becco, cui stoltezza è moglie!
  E dopo ardito sei di vantar fama,
  Che insino a Calicutte il volo scioglie?312

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Non vedi ch’ella è sì languida, e grama,
  Che appena è nota al Berti Spinettaio,
  Che di Bottega sua spesso ti chiama?315
E forse è nota a qualche nobil paio,
  Come farebbe il Raschi, e l’Arfesini,
  A cui tu pesti l’acqua nel mortaio.318
Oh reo Venturi! Oh reo Lagomarsini!
  E come ardiste di citar Coloro,
  Che venerate quali Eroi Divini;321
Quali voi foste del lor Concistoro?
  Io dico il Muratori, e l’Averani,
  Ed il Maffei, e l’Altro, che il lavoro324
Del nuovo Calepino ebbe alle mani?
  Che se in pensar fossero a voi simili,
  Gli stimerei da men de’ Pelacani.327
Nè tal paventeria lor fogli e stili,
  Che ad agitar di quei l’etate estrema,
  E il timor ch’han di non morire umili:330
Sa cuore e braccio aver, che nulla tema:
  Che tutto assalti: che vibri armi, e lampi:
  E ne faccia che’l reo sospiri, e gema:333
E che non trovi più ripari e scampi:
  A guisa di saetta, che giù piomba,
  Ed urta, e frange ostacoli, ed inciampi,336
E spaventa, e fa strage, e ne rimbomba
  Per l’aere nero, e per gli eccelsi monti,
  E piani, valli, fa degli uomini tomba.339
Ma come teco ardisci dir congionti
  Il Muratori, ed il Maffei? che adorni
  Vanno d’alloro le canute Fronti.342
Se tu l’hai sol di ramolacci, e corni,
  Orrida, & irta: e sai dir Musa appena
  Del tuo Alvaro stando infra i contorni?345
E solo sazio sei di loglio, e vena,
  Che porge il pedantesco magistero:
  Onde come con lor monti in iscena?348
Ma quello ch’è per te gran vitupero,
  E’ che gli biasmi, allor che ne condanni,
  Chi di Scienze ha seco un stuolo intero.351
Perchè essi l’hanno: e tu vorresti i danni
  Tuoi proprj far comuni, e però dici,
  Che a più dottrine uom non ispieghi i vanni.354
Senti: un giorno la Volpe in tai pendici
  Silvestri, e folte d’arbori, e di spine,
  Trovossi spinta, che più dì felici357

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Credea non poter trarne, ed ivi al fine
  Dover lasciar le cuoia, e ch’oramai
  Per lei sarian sicure le Galline.360
Pure infra tante sue disgrazie, e guai,
  Cagionate da non trovare uscita,
  Un buco scorse del Sol chiaro a’ rai.363
E colà ’ndirizzossi, e la sortita
  Tentò con tanta forza in quelle strette,
  Che fu allor per lasciarvi la vita.366
Pur finalmente innanzi il capo mette,
  Ed esce in parte, ma la grave coda
  Inviluppata alquanto si riflette:369
Ed in ristarsi, più si stringe, e annoda,
  Tal che in tirar, la vinse lo spineto:
  E la Volpe fuggì, ma senza coda.372
Or l’altre Volpi le guardavan dreto,
  E facean lima lima alla scodata:
  Quando ella disse in volto allegro: queto:375
Al Cielo grazie; io fui ben fortunata:
  Quella gran coda e’ mi era pur d’impaccio:
  Faccia il simil se saggia è la brigata.378
Quando una ch’era vecchia, e dava spaccio
  A’ suoi consigli, disse: O bene, amica,
  Il vostro dir sotto la coda io caccio.381
In niun modo noi la coda intrica:
  Ma voi di non l’aver vergogna avete,
  E però dite, esser peso, e fatica.384
Intendi, o Calabron? Quella tua sete,
  Questo sudore, e’ vien, perchè vorresti,
  Che ognun si ritirasse alla parete.387
Quando gli Asini tuoi lenti e modesti
  Nel manto d’ignoranza a processione
  Sen vanno, e esigon riverenze e gesti.390
E niun potesse dar lor di Coglione,
  E non ridesse sì, che troppo vinto
  Ne scompisciasse il gemino calzone.393
Credete: il Gesuita è perso, è estinto,
  Se non trova tra’ goffi, e tra’ balordi,
  Qualcun che sia nella sua rete avvinto.396
Quelli che sanno, son ritrosi, e sordi
  Alle moine loro, e i cacciatori
  Ravvisan tosto di merlotti e tordi.399
Ecco dunque la somma: o folli errori,
  Fingono ove non sono, o sfatan l’Arti,
  Che fan l’uomo prudente, e danno onori.402

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E voglion solamente; che uom non scarti
  I lor metodi stolti, e dogmi indegni,
  E fan contro Norisco ingiuste parti.405
Perch’ei sveglionne i Fiorentini ingegni,
  E conculcar gli feo questi birboni,
  D’orgoglio, d’odio, e d’ignoranza pregni.408
E gli stradò per sentier retti e buoni;
  Insegnò giuste leggi, la morale,
  Che chiama in sen del Ciel prodigo i doni.411
Non quella ch’apre la via larga al male.
  E col Probabibilismo degli sciocchi,
  La sacra disciplina impugna e assale.414
E contro a questo baldanzoso scocchi,
  Satirico, i tuoi strali? e lo minacci?
  Per Dio, ti giuro, e possa io perder gli occhi,417
In suo aiuto faronne, e fia che schiacci
  La tua superbia, e trionfante un giorno
  Ti condurrò mio prigionier tra’ lacci.420
E di cartello saprò farti adorno,
  In cui si legga: Ecco il Probabilista,
  La cui Teologia non vale un corno.423
Allora il Magherin porratti in lista
  Di quei da celebrar sul Colascione,
  Di Rollo, e d’Ursio, all’odiosa vista.426
E tardi imparerai, che le Persone
  Dotte sono venerande, e gli almi studi
  Solo può dispregiar qualche Coglione.429
Che se tu stimi esser di forza ignudi
  Gl’Itali Iambi, e vuoi che Vate Ausonio
  Flagelli te co’ tuoi miseri drudi:432
Sappi, che ve n’è alcun, vero dimonio,
  Che farà i versi giusti, e saggi, e forti:
  Non come i tuoi, che son gran testimonio435
Dell’alta Asinità, e che nel sen porti.
  O se quel Greco, che tu sfati tanto,
  T’avesse addirizzati i versi storti!438
La sferza mia non ti trarrebbe il pianto,
  E le sillabe armoniche, e la giusta
  Legge di scriver, ti darebbee vanto.441
Ma tu lo bevi solo: e poi la frusta
  Di meritar ti ridi. Io vorrei quivi,
  Che approvator citassi, e la tua angusta444
Fonte comuni avesse anco altri rivi:
  Quei tuoi Rapini, e que’ tuoi Candidati,
  E gli altri, come te, d’Ellade schivi.447

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Nel vostro Parco, o Animali ingrati,
  De’ Greci sol vi germina la fede;
  E fraudi, sono i fior de’ verdi prati.450
Nello Palmira, e Alicarnasso diede
  A’ boschi sui virgulto di Criterio,
  Che di vero saper fa l’uomo erede.453
Ma questo appunto aborri; e a gran misterio:
  Che la nasuta Critica ti duole,
  Vedendoti d’errori un cimiterio.456
E questa tutti ora gli espone al Sole,
  E fa che al Calabron messo in berlina,
  Bava di stizza, e pianto d’ira, cole.459
Ammiro dunque la bontà divina,
  E l’occhio dell’Eterna Provvidenza,
  Che a por riparo alla fatal rovina462
Del saper nella grande alma Fiorenza:
  (Che affatto perirà, se d’orecchiuti
  Rei Calabron vi resta la Semenza.)465
All’Arno trae dalla Mosella acuti
  Spirti, e trapianta peregrini ingegni,
  Che frangan di costor gl’inganni astuti:468
E avanzino gli studi egregj e degni,
  Facendo lampeggiar le arti divine,
  Che già dava Toscana agli altri Regni.471
Dirlo non temerò; se così in fine
  Lasciano calpestar lor laude e pregio,
  Fiorentini non son, ma Fiorentine;474
E se di vendicar l’alto dispregio
  Della virtù non cale, e che altro resta,
  Se non attendere un più turpe sfregio?477
Ah! date un maglio a' Briscialdoni in testa,
  E sradicate pur l’empia Genía,
  Nimica di Virtù; che sola è questa480
Di Gloria e di Valor vero la via.