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vii

Solo ne traggon dal fecondo seno
  Dall’ampia Società detti, e Scrittori,
  Gran barbacani a favellare ameno; 93
Parla il Lagomarsini? e lodi, e onori
  Sommi al Colonia dona: ed il Venturi
  Sembra che il Benci e il Pulcarelli adori. 96
E il Fabri altri non par che legga, o curi,
  Che il suo Molina; e di Fisica quello
  Trova nel Tolomei dogmi sicuri. 99
E così fan di lor tanto bordello,
  Che chi non distingueli agli orecchi,
  Lor Casa crederia de’ savi ostello. 102
Ma io non vo’, che in ignoranza invecchi
  Il Mondo; e vo’ che scorga gli sfacciati,
  Che son di vera Asinitate specchi. 105
Faceste bene a dir che al mondo nati
  Son come i funghi i Dotti, e che germoglia
  Il terren da per tutto Uomin sensati. 108
Questo gli è vero, e a rinfacciar m’invoglia
  Sempre più a voi, che in abbondanza tale,
  Un Dotto sol non ha la vostra Soglia. 111
Solo si vede questo e quel cotale,
  Stolido, disensato, e ignorantello,
  Starvi appresso, e tenervi l’orinale. 114
Anzi sì di migliaccio il reo cervello
  Ripieno avete, che se a sorte alcuno
  Di saper fa tra voi l’animo bello: 117
Resta da voi spregiato, e va digiuno
  Di lode; e il gran Petavio, e il buon Sirmondo,
  E altri simil, vi son negli occhi un pruno. 120
E avete il capo così goffo, e tondo,
  Che dove l’Opre sien di que’ valenti,
  Non vi trovate Libreria nel Mondo. 123
E tra’ vivi lo dica il Padre Centi,
  Che lo scacciaste come un Ribaldaccio,
  Perchè nutria più saggi sentimenti. 126
E in fare andar la gioventute avaccio
  Ne’ buoni studj, all’ignoranza vostra
  Da lui venia gran disonore, e impaccio. 129
Ma il vostro viso, che mai non s’inostra
  Del pudor santo, ancor non si vergogna
  Di sua stortezza far più chiara mostra. 132
Ecco il Lagomarsin, che ha messa in gogna
  Tutta la Societate, e fa palese
  Esser di gusto reo sordida fogna. 135