I drammi della schiavitù/7. Colpi di cannone e colpi di sperone

7. Colpi di cannone e colpi di sperone

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7. Colpi di cannone e colpi di sperone
6. La caccia ai negrieri 8. Una ferita inesplicabile
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VII.


Colpi di cannone e colpi di sperone.


La caccia alla nave negriera era cominciata! Qualunque altro capitano, che si fosse trovato nella posizione di Alvaez, con una nave alle spalle e un’altra, che poteva giungergli addosso da un istante all’altro e prenderlo fra due fuochi, si sarebbe spaventato, sapendo quale sorte lo aspettava se aveva la disgrazia di cadere vivo nelle mani di quei formidabili e terribili avversari.

Il brasiliano però, era tale uomo da non perdere la testa nemmeno dinanzi i più grandi pericoli, anzi era allora che acquistava maggiore audacia e maggior sangue freddo. Aveva una fiducia illimitata nella sua nave che sapeva dotata di eccellenti qualità nautiche, di una rapidità poco comune e di una robustezza eccezionale e nel suo armamento, che poteva competere con quello dei più grandi incrociatori, destinati alla repressione della tratta.

Aveva progettato rapidamente il suo piano, per potersi sbarazzare di uno degli avversari, i quali se uniti potevano facilmente abbordarlo ai due lati ed esterminargli l’equipaggio di gran lunga inferiore per numero. Si trattava di immobilizzarlo sul grande banco, facendolo arenare, ma in modo che non potesse discagliarsi prima del ritorno dell’alta marea. In sei ore Alvaez aveva tutto il tempo necessario per guadagnare un grande tratto e per sbarazzarsi dell’altro, che lo aspettava al largo per tagliargli la via verso l’ovest.

Al comando dato agli artiglieri di poppa, che stavano schierati dietro ai due pezzi grossi da caccia, i due mostri di bronzo s’infiammarono ruggendo, scatenando dalle loro gole un turbine di mitraglia, proiettili di grande effetto contro l’attrezzatura di una nave a vela e che hanno lo scopo di recidere le funi di manovra e di sventrare le vele. L’accordo fra gli artiglieri fu così perfetto, che le due detonazioni ne formarono una sola.

– Assaggiate questo per ora, – disse Alvaez. – Più tardi vi manderò dei confetti di maggior calibro.

Quella doppia scarica di ferraccio, scagliata a soli quattrocento metri sopra la coperta dell’incrociatore, non andò perduta, [p. 53 modifica] poichè si udirono alzarsi, fra l’equipaggio nemico, urla di furore e di dolore e qualche vela cadde, assieme a parecchi uomini che si tenevano celati sulle coffe.

La nave da guerra però non si arrestò. Spiegò rapidamente i suoi scopamari ed i suoi coltellacci per accelerare la corsa e si lanciò lungo il grande banco, accennando ad attraversarlo per ricacciare la Guadiana entro la baia ed impedirle di fuggire lungo la costa, come supponeva avesse intenzione di fare il capitano negriero.

Pel momento pareva che avesse rinunciato a servirsi delle sue artiglierie, non potendo ancora presentare i suoi fianchi e non possedendo in coperta pezzi tali da competere con quelli della nave negriera, ma concentrava tutta la sua attenzione ad impedire la fuga. Era già giunta a soli ottocento passi dalla Guadiana, che procedeva cautamente per non urtare nel banco e scoprire il canale, quando al largo si vide un razzo ad inalzarsi.

– Bisogna affrettarsi, – disse Alvaez a Kardec. – Temo che quel secondo avversario stia per giungerci addosso. Hurtado!...

– Capitano!...

– Attenzione!...

– Siamo al passo?

– A quindici braccia!...

– Tengo la barra. Attenti a virare!...

La Guadiana era giunta al passo. Al comando del mastro, gli uomini della manovra bracciarono rapidamente le vele e la nave, virando di bordo quasi sul posto, si slanciò verso il grande banco.

– Fuoco di bordata! – urlò Alvaez.

La batteria di tribordo, che aveva dinanzi a sè l’incrociatore, s’infiammò ruggendo con tale fracasso, da far tremare il ponte della nave, mentre i tiragliatori scaricavano le loro carabine.

L’incrociatore, colpito in pieno da quell’uragano di ferro e di piombo, s’arrestò come se fosse stato colpito a morte. I travi superiori dell’albero di trinchetto, spezzati a varie altezze, rovinarono sul ponte seco trascinando parecchie vele, mentre gran parte delle sue murate, sventrate, precipitavano in mare, ma riprese subito la caccia e s’avventò sopra il banco, credendo che l’acqua fosse tanto alta da permettere il passaggio.

D’improvviso s’udì uno schianto formidabile, come se la sua carena si fosse sventrata su delle rocce acute e lo si vide arrestarsi bruscamente e quindi rovesciarsi sul babordo.

Un hurrà immenso si alzò fra l’equipaggio della nave negriera, che ormai si vedeva sbarazzato di uno dei due avversari. [p. 54 modifica] L’incrociatore, completamente arenato, non era più in grado d’inseguirli.

Vedendo la preda fuggire al di là del banco, la nave da guerra le scaricò addosso una bordata, ma essendo troppo inclinata, i suoi proiettili non colpirono che le onde. Cominciò a tuonare furiosamente coi due pezzi che aveva in coperta e colle carabine, mentre lanciava i razzi di soccorso, ma ormai la Guadiana aveva superato il pericoloso passo e fuggiva rapidamente, a tutte vele spiegate, verso l’ovest.

– Mio caro Alvaez, – disse il dottore, che non aveva abbandonato il ponte di comando, malgrado il pericolo di farsi spaccare in due da una palla, – hai dell’audacia tu ed una fortuna invidiabile.

– Lo credo, Esteban – disse il brasiliano, che si stropicciava allegramente le mani. – Quella nave si è rotta le costole senza bisogno delle mie artiglierie e dubito assai che possa rimettersi a galla.

– Ma non è ancora tutto finito. Abbiamo l’altra, che ci aspetta al largo.

– Cercheremo di evitarla. La notte è buia, il vento buono e spero di perderla facilmente, Esteban.

– Hum! Non vedi i segnali che la nave arenata lancia?... Quei razzi, che si elevano a prua ed a poppa, segnalano la nostra fuga e metteranno in guardia l’incrociatore se...

Una voce caduta dall’albero maestro gli interruppe bruscamente la frase:

– Nave a tre miglia sottovento!...

– Fulmini e lampi!... – esclamò il negriero. – Di già?...

– Te lo dicevo io, Alvaez?... – disse il dottore.

– Muove su noi? – chiese il capitano, all’uomo di vedetta.

– Sì!...

– La vedi?...

– Perfettamente.

– È grossa?...

– Un bark.

– Ah! – esclamò il negriero, coi denti stretti. – La riserva è potente?... Sta bene!... Signor Kardec!

Il secondo, che stava a prua, cercando di discernere la nave segnalata con un cannocchiale, accorse.

– Desiderate, signore? – chiese.

– Darete ordine all’equipaggio di non abbandonare i suoi posti di combattimento e dagli uomini di manovra farete portare sul [p. 55 modifica] ponte mezza dozzina di barili di rhum di tratta, una provvista di granate e farete disporre sul capo di banda i grappini d’abbordaggio.

– Del rhum! – esclamò il dottore, sorpreso. – Vuoi ubbriacare gli uomini dell’incrociatore?...

– Servirà a scaldare il loro legno, Esteban. Ascoltatemi attentamente, signor Kardec.

– Vi ascolto, signore.

– Disporrete i barili lungo le murate di babordo e vi metterete a guardia sei uomini dei più robusti e dei più svelti. Se i marinai dell’incrociatore verranno all’abbordaggio, farete rovesciare sul loro ponte quei barili, li farete spezzare e darete fuoco al liquido.

– Si tratta d’incendiare la loro nave?

– Sì, signor Kardec. Io appoggerò la manovra dei vostri uomini coi miei tiragliatori, che avventerò sul legno nemico. Mi avete compreso?

– Perfettamente, signore.

– Andate!

Poi volgendosi verso il mastro che teneva sempre la ribolla del timone:

– Hurtado! – gridò. – Governa sempre sopravvento!... Si spieghino i coltellacci e gli scopamari!... Vasco!...

Il giovane ufficiale accorse alla chiamata, gridando:

– Capitano!...

– Sono bene stivati gli schiavi?

– Formano un blocco solo.

– Li avvertirai di tenersi stretti agli anelli del frapponte, poichè potrebbe avvenire un urto formidabile.

– Si lavora di sperone?

– È probabile.

– Sta bene, capitano. Tanto peggio per loro, se non obbediranno.

L’audace negriero, come si vede, era deciso ad aprirsi il passo a qualunque costo. Quell’uomo, che se fosse stato un ammiraglio avrebbe fatta la fortuna della flotta del suo paese, era deciso a sbarazzarsi del secondo avversario sia avventandogli il suo equipaggio sul ponte, sia di sventrarlo con un buon colpo dello sperone della Guadiana. Non assaliva però ancora: se era audace, risoluto, era anche prudente ben sapendo che, anche vincendo, nulla avrebbe avuto da guadagnare. Voleva innanzi a tutto tentare prima la fuga, per evitare quell’inutile combattimento, per ciò [p. 56 modifica] procurava di mantenersi sopravvento, situazione questa, che viene generalmente ritenuta la migliore dagli uomini di mare, permettendo alla nave di determinare il momento e la distanza dell’attacco, quindi di essere l’attaccante. Inoltre ha altri vantaggi, cioè di essere meno esposta alle palle nemiche avendo la carena più sommersa, di essere meno incomodata dal fumo dei suoi cannoni e di evitare il pericolo d’infiammare le cariche delle artiglierie. È bensì vero che la nave sottovento ha il vantaggio di difendere meglio il suo equipaggio, essendo meno sommersa, e di evitare un combattimento se è della medesima velocità della nave nemica e di ritirarsi più facilmente, ma in questo caso non era la Guadiana che assaliva, ma l’incrociatore che non voleva di certo evitare la battaglia e ritirarsi.

La distanza, che separava i due legni, spariva rapidamente. Ormai l’incrociatore era interamente visibile, non essendo lontano che due chilometri. Era un bel bark, ossia un tre alberi, del tonnellaggio della Guadiana a giudicarlo a colpo d’occhio, e manovrava in modo da tagliare la via al negriero verso l’ovest.

Alvaez, che lo osservava attentamente munito d’un potente cannocchiale, ad un tratto emise una sorda imprecazione.

– Lui! – esclamò. – Lo sospettavo!... Se fosse stato un altro, non mi avrebbe aspettato al largo, sapendo ormai quelle canaglie quanto fila la mia nave.

– Chi lui? – chiese il dottore.

– Il London, Esteban.

– Allora il combattimento è inevitabile, Alvaez.

– Forse.

– Se è il London, ci raggiungerà presto.

– Eh! Per mille pescicani, lo so, Esteban!... Ah! Quei signori mi hanno teso un agguato in piena regola, colle loro più rapide navi!... Si vede che preme a loro sbarazzarsi della mia Guadiana e di appiccare il figlio del formidabile negriero, che ha rovinato tante delle loro navi, ma mi troveranno degno di mio padre.

– Che vuoi fare?

– Speronarlo senza perdere tempo ed incendiarlo.

– Se provassimo a fracassare un albero?

– E se invece è lui che mi fracassa la maestra o il trinchetto?... Se ci immobilizza, per noi è finita, poichè gl’incrociatori hanno dei grossi equipaggi e specialmente quello del London è due volte più numeroso del mio. La nostra salvezza sta nella rapidità dell’attacco.

– Rinunci all’abbordaggio, adunque? [p. 57 modifica]

– Sì, ha troppi uomini per poterlo espugnare. Lavoreremo di sperone. Signor Kardec.

Il secondo, che stava facendo portare sul ponte le botti di rhum, s’avvicinò.

– I vostri preparativi sono inutili – gli disse.

– Ma capitano, un abbordaggio mi pare...

– Vi garba farvi appiccare? Non avete che da montare sul legno nemico e impegnare la lotta per vostro conto. Fate radunare gli uomini a prua per respingere l’attacco, perchè si lavora di sperone.

– Ma i negri?

– Tanto vi stanno a cuore i negri, signor Kardec? Eppure non siete mai stato tenero colle pelli nere ed avete sempre abbondato di scudiscio. A posto, signore, i momenti sono preziosi. Hurtado, preparati a investire e bada di non fracassare il nostro bompresso!...

L’incrociatore era allora a milleduecento metri e correva addosso alla nave negriera. Alvaez, per meglio ingannarlo sulle proprie intenzioni, lanciò la Guadiana verso il nord, come se cercasse di sfuggire all’abbordaggio, ma appena la sua nave presentò il fianco al nemico, tuonò:

– Fuoco di bordata!

I sei pezzi di tribordo e i due cannoni da caccia avvamparono contemporaneamente, formando una sola ma formidabile detonazione. A bordo della nave nemica si udirono degli schianti come se precipitassero degli attrezzi, poi delle grida furiose e dei comandi precipitati, quindi si videro balenare due lampi.

Due palle attraversarono la coperta della nave negriera scheggiando parte della coffa di trinchetto e forando due vele. Un uomo che stava sulla coffa precipitò sul ponte, fracassandosi il cranio sull’argano di prua.

– Barra tutta all’orza, Hurtado! – tuonò Alvaez. – Pronti a investire!

La Guadiana virò di bordo colla rapidità del lampo e mosse dritta sull’incrociatore. S’avanzava colla velocità d’una freccia, avendo il vento tutto favorevole, con una leggerezza ammirabile, come se sfiorasse appena appena l’acqua, presentando alla nave nemica il suo acuto sperone d’acciaio.

L’incrociatore, che credeva cercasse di fuggire, fu tanto sorpreso di vedersela venire addosso, che non indovinò l’audace progetto del negriero. Credette che volesse passargli dinanzi per [p. 58 modifica] fuggire verso il sud e mise la prua all’ovest, presentandole il fianco, pronto ad abbordarla.

Era il momento atteso dal negriero:

– Fuoco! – urlò. – Dritto sull’incrociatore, Hurtado!

La nave nemica, vedendo la Guadiana dritta sul suo filo di tiro, aprì un fuoco d’inferno coi suoi pezzi di babordo, vomitando palle ed uragani di mitraglia, ma gli artiglieri della nave negriera non erano uomini da arrestarsi. Mentre i tiragliatori, dispersi pel ponte o arrampicati sulle griselle, sui pennoni e perfino sulle crocette, tuonavano colle carabine, si misero a sparare furiosamente coi due grossi pezzi da caccia, non permettendo, la posizione della nave, di far uso di quelli delle batterie.

I lampi si succedono ai lampi, le detonazioni alle detonazioni. Le palle e la mitraglia fischiano dovunque, sfondano le murate, si cacciano fra i madieri ed i corbetti aprendo fori e strappi, massacrano vele e cordami, rimbalzano dappertutto abbattendo gli uomini; ma quel combattimento a fuoco dura pochi momenti.

La Guadiana, avvolta, nascosta dal fumo, appare di repente a pochi passi dall’incrociatore. Il suo sperone d’acciaio s’illumina un istante sotto le vampe che i cannoni vomitano, poi si sprofonda nel fianco del legno nemico col fragore di una cassa di munizioni che scoppia, cacciando e imbrogliando il suo bompresso fra gli stragli di maestro e di trinchetto.

Un urlo immenso echeggia sul ponte dell’incrociatore che si era rovesciato sul tribordo, sotto la spinta irresistibile della nave negriera.

– Coliamo a fondo!...

Poi un’onda d’uomini si scaglia, si rovescia sulla prua della nave negriera, emettendo feroci clamori.