I drammi della schiavitù/6. La caccia ai negrieri

6. La caccia ai negrieri

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VI.


La caccia ai negrieri


La Guadiana del capitano Alvaez, era una delle più veloci, delle più belle e forse delle meglio armate navi mercantili, che in quel tempo solcassero le onde dell’Oceano Atlantico. Nel mondo dei negrieri si diceva che teneva il primato fra quella strana flottiglia, che esercitava il traffico di carne umana e forse avevano ragione, poichè mai sulle coste africane se ne era veduta una uguale.

Costruita tre anni prima sui celebri cantieri di Glasgow, su disegni dello stesso capitano Alvaez e senza risparmio di spese, stazzava il triplo delle navi che esercitavano la tratta. Infatti la sua portata toccava le milleduecento tonnellate e il suo proprietario le aveva dato tale sviluppo da potere, nel caso, caricare nel frapponte perfino ottocento negri, senza ammassarli gli uni addosso agli altri e soffocarli entro uno spazio troppo limitato. In tal modo aveva il doppio vantaggio di sbarcare nei porti americani i suoi negri in ottime condizioni di salute e di evitare le malattie, che quasi sempre si sviluppano nei frapponti delle navi negriere in causa della agglomerazione eccessiva di persone che in fatto di pulizia lasciano molto a desiderare, entro uno spazio che è quasi privo d’aria.

Oltre a ciò, il capitano Alvaez, che non voleva farsi appiccare come suo padre, preso dagli incrociatori presso le coste d’Africa, aveva fatto dare alla sua nave tale velatura, da poter raggiungere una rapidità insolita. Anche con vento debole, egli era certo di avere una supremazia sulle navi che incrociavano lungo il litorale per impedire la tratta ed a vento favorevole aveva più volte toccato i dieci e perfino gli undici nodi all’ora, velocità ragguardevole e che ben pochi velieri, anche ai nostri giorni, riescono a raggiungere malgrado i grandi progressi della marineria.

Ma se aveva curato le comodità e la velocità, non aveva nemmeno trascurato l’armamento della sua nave, la quale poteva misurarsi, senza tema di venire sconfitta, con le navi nemiche. Oltre averla dotata di un’armeria a nessun’altra seconda, l’aveva munita di formidabili artiglierie. Bastava che una nave si mostrasse [p. 44 modifica] all’orizzonte, perchè i suoi sabordi, abilmente nascosti, improvvisamente cadessero per lasciar uscire le nere gole di otto pezzi del calibro di sedici, mentre sulla coperta si allungavano due grossi pezzi da caccia da trentadue, che si tenevano nascosti sotto due grandi tele cerate.

Il suo equipaggio, forte di quaranta uomini, raccolti in tutti i porti dell’America e dell’Europa, composto di ercoli, rotti a tutte le avventure, capaci di qualsiasi mariuoleria, decisi a tutto, si disponevano allora in ordine di battaglia e la Guadiana, tramutata lì per lì in una solida e potente nave da guerra, tuonava ben alto e si difendeva con disperato vigore, lanciando ovunque e con matematica precisione, i suoi messaggeri di morte. Era forse per questo che gl’incrociatori, che avevano provato più volte i suoi morsi, la spiavano con tanto accanimento ed avevano organizzato, lungo quelle coste, un’accurata sorveglianza per sorprenderla con forze preponderanti e schiacciarla.

Il capitano Alvaez non era però uomo da sgomentarsi e come si vede, quantunque sapesse di essere atteso all’uscita della baia, muoveva intrepidamente incontro al pericolo, fidando nelle proprie forze e nella propria abilità.

Lasciato l’ancoraggio dei baracon di Bango, la Guadiana scendeva silenziosamente le cupe acque del Nazareth, tenendosi sotto la fosca ombra dei grandi alberi, che coprivano la sponda destra. Aveva spiegato tutte le sue vele, per essere pronta ad approfittare del vento che doveva soffiare nella baia, ed il suo equipaggio, dopo di aver chiuso il boccaporto del frapponte con un immenso graticolato di ferro, per impedire ai negri ogni uscita, si era disposto in ordine di battaglia per respingere l’attacco delle due navi nemiche.

Alvaez, che pel momento pareva non pensasse più nè ai suoi negri, nè alla schiava, che Vasco aveva condotta in una cabina di poppa, si era collocato a prua, con a fianco mastro Hurtado e il medico di bordo, un uomo sulla cinquantina, alto, magro e asciutto come un’aringa, vecchio amico del padre del negriero e che aveva accettato quel pericoloso posto sulla Guadiana solo per l’affetto che portava verso il figlio del defunto, quantunque fosse un partigiano convinto della libertà dei negri e chiamasse la tratta una grande infamia.

Un silenzio quasi assoluto, regnava a bordo del legno e sulle sponde del fiume. I negri tacevano come se la paura avesse paralizzate le loro lingue ed i marinai non fiatavano. Perfino le grida dei sudditi di Bango erano cessate, ed altro non si udiva che il [p. 45 modifica] mormorìo delle acque gorgoglianti presso le rive e lo stormire delle fronde agitate dalla brezza notturna.

– Si vede? – chiese ad un tratto Alvaez, che aguzzava lo sguardo come se volesse attraversare quelle fitte tenebre ammassate sul fiume.

– No, capitano – rispose il mastro che era salito sul capo di banda.

– Che sia accaduto qualche cosa di grave, alla scialuppa del signor Kardec?

– Avremmo udito qualche colpo di fucile – rispose il mastro. – I suoi uomini sono partiti armati.

– Uhm! – fe’ il dottore, crollando il capo. – Temo, Alvaez, che questa volta sia un affare assai serio per la nostra pelle.

– Bah! La mia nave corre come il vento ed ha tanta polvere nella santabarbara, da far saltare una città.

– E credi tu che gl’incrociatori non camminino bene e non abbiano polvere? Ti dico che finiremo tutti male e che ho commesso una grande pazzia nell’imbarcarmi con simile compagnia di furfanti.

– Per bacco! – esclamò il capitano, ridendo. – Chiami degli onesti trafficanti dei birbanti.

– La parola è esatta, Alvaez.

– È troppo dura, Esteban. Infine io vendo e compero come tutti gli altri negozianti. Non ho pagato il mio carico io?... Ed ora vado a vendermelo.

– Ma il tuo carico è di carne umana, di carne come la tua.

– Scusate, signor Esteban, – disse il mastro, – ma la mia carne è bianca, quindi non è punto eguale a quella dei negri.

– Se ti scorticassero la pelle, vorrei farti vedere se la carne dei negri è eguale alla tua. Bel modo di trafficare è codesto!... E si chiamano onesti trafficanti, questi impudenti!... Ed hanno l’audacia di paragonare un negro ad una botte di zucchero o ad un sacco di caffè... Ve lo daranno gli incrociatori il caffè, trafficanti di carne viva!...

– Me lo auguri, Esteban? – chiese Alvaez, che rideva sempre.

– Se tu non fossi il figlio del mio povero amico, te lo augurerei di cuore un bel laccio al collo.

– E non pensate, signor Esteban, che quel laccio appiccherebbe anche voi? – chiese il mastro.

– Hai ragione, Hurtado. Tutte le mie dichiarazioni di innocenza e le mie proteste contro l’immorale traffico, non [p. 46 modifica] varrebbero a salvarmi. Gli inglesi e gli americani non ischerzano e mi impiccherebbero come l’ultimo marinaio della Guadiana.

– Rassicurati, Esteban – disse Alvaez. – Gl’incrociatori troveranno nella Guadiana pane pei loro denti, poichè sono deciso di servirmi perfino dello sperone che è solido e tutto d’acciaio.

– Per rovinare mezzo carico?... Un simile urto romperebbe le membra a chissà quanti disgraziati negri.

– Le accomoderai più tardi e...

– La baleniera! – esclamò il mastro, interrompendolo.

– Dov’è?...

– Sale il fiume costeggiando la riva.

Infatti a tre o quattrocento passi, una forma nerastra e sottile, si avanzava tenendosi sotto la cupa ombra, che gli alberi proiettavano sulle acque del Nazareth.

Saliva rapidamente, ma senza produrre alcun rumore, quasi temesse di fare qualche brutto incontro, o di attirare l’attenzione di qualche nemico nascosto fra i grandi vegetali della riva.

Quando fu quasi di fronte alla Guadiana, virò bruscamente di bordo e con pochi ma vigorosi colpi di remo la raggiunse, ormeggiandosi sotto l’anca di tribordo, all’estremità della scala di corda, che i marinai avevano gettata.

Il secondo s’arrampicò lestamente sulla nave, e mosse incontro al capitano.

– Ebbene? – chiese questi, con una certa ansietà.

– Siamo attesi – rispose il secondo.

– Quante navi?

– Due, signore.

– Dove m’aspettano?

– Una l’ho scorta all’uscita della baia; si tiene nascosta dietro le rocce del capo Fetisci, pronta a piombarci addosso. L’altra deve bordeggiare al largo, poichè l’ho veduta scambiare dei segnali colla prima.

– Ah! Vogliono prenderci fra due fuochi! – esclamò Alvaez, con ironia. – Avete veduta la nave che ci aspetta dietro il promontorio?

– Sì, signore.

– Cos’è?

– Un grosso brigantino di milleseicento o milleottocento tonnellate.

– Pescherà adunque molto più di noi.

– Senza dubbio. [p. 47 modifica]

– Sta bene; lo faremo arenare sui banchi. Ah! Volete prenderci?... Vi preparerò io un bel tranello. Mastro Hurtado!...

– Eccomi, capitano – rispose il marinaio.

– Conosci la baia?...

– Come le mie tasche.

– Conosci il grande banco?...

– Perfettamente, capitano.

– Sai dove esiste il passo?...

– Sì, e lo troverei ad occhi chiusi.

– Ti metterai alla ribolla del timone. Quando la nave avversaria ci piomberà addosso per abbordarci, lancia la Guadiana lungo il grande banco, che attraverserai dinanzi al passo. Bada, che un colpo di barra mal dato, può mandarci tutti a danzare all’estremità dei pennoni, con una corda al collo.

– Ci tengo alla mia vecchia pelle, capitano.

– L’incrociatore ci seguirà, ma pescando più di noi si arenerà. Sono certo di non ingannarmi.

– Ma l’altro incrociatore? – chiese il dottore.

– All’altro penseremo poi.

– Bada, Alvaez, che io conosco tre navi che corrono quanto la tua.

– Le conosco, Esteban, ma io so che due di esse incrociano dinanzi alla Costa d’Oro.

– Ma il London può essere qui.

– Eh! Per mille negri!... Ho dei buoni cannoni, per quello!... Al tuo posto, Hurtado, e voi, signor Kardec, prendete il comando degli uomini di manovra: andate!...

La Guadiana, che scendeva colla bassa marea, era allora giunta a tre o quattrocento metri dalla foce del fiume e le sue vele cominciavano a gonfiarsi sotto le prime folate di vento, il quale soffiava liberamente, non essendo più imprigionato fra i grandi vegetali delle due sponde.

Tutto l’equipaggio era a posto di combattimento, pronto a rispondere alle prime cannonate dell’incrociatore: gli artiglieri ritti dietro ai loro pezzi, colla miccia accesa in mano; i tiragliatori dietro alle murate colle carabine montate, gli uomini della manovra ai bracci delle vele e sui pennoni colle corde di ricambio e col coltello fra i denti, i timonieri a poppa presso alla ribolla, che mastro Hurtado aveva impugnata con mano di ferro.

Tutti quegli uomini, quantunque fossero stati raccolti fra i bassifondi delle città marittime e chi più o chi meno avessero avuto da fare colle autorità dei loro paesi, in quel supremo momento [p. 48 modifica] conservavano una disciplina ammirabile ed un sangue freddo straordinario. Quella collezione di birbanti d’ogni nazionalità, avrebbe destato stupore nel vederla così calma, dinanzi al pericolo.

Alvaez, dopo aver fatto una rapida corsa nelle batterie e sulla coperta, per assicurarsi che ognuno era a posto, salì sulla coffa dell’albero di trinchetto accompagnato dal dottore, per cercare di scorgere la nave avversaria.

– Si vede? – chiese Esteban.

– Non ancora – rispose Alvaez, che aguzzava gli occhi verso il promontorio. – Queste dannate piante m’impediscono di scorgere l’alberatura, ma fra poco saremo nella baia.

– È tramontata la luna? Non la vedo più.

– Sì, per nostra fortuna. Giungeremo dinanzi al grande banco senza essere veduti.

– Risparmieremo delle palle.

– Ne riceveremo, Esteban, sta’ certo.

– Compiango quei poveri negri.

– Tireranno in coperta per non guastarli. Sanno che siamo carichi e procureranno di non massacrarli... Ah!...

– Cos’hai?...

– Eccola!...

– Dove?

– Vedo i suoi alberi spuntare dietro le rocce del promontorio. Ha la prua verso l’uscita della baia... Che abbia intenzione di fermarmi con un colpo di sperone?... Bah!... Arriverai troppo tardi, mia cara, e saranno le rocce del grande banco che sventreranno la tua carena. Scendiamo, Esteban: qui fra poco fischieranno le palle.

La Guadiana era allora giunta alla foce del Nazareth. Superò la barra e s’inoltrò con precauzione nell’ampia baia di Lopez, che le lunghe ondate dell’Oceano Atlantico percorrevano, frangendosi con lunghi muggiti sulle sponde e sui numerosi banchi di sabbia.

La baia era deserta. Le spie di Bango, che ormai dovevano aver scorto l’incrociatore, si erano affrettate a tirare in secco le loro canoe ed a salvarsi nei fitti boschi della costa, per paura di venire prese a colpi di fucile e di cannone. Anche il baracon era stato abbandonato, poichè nell’interno non si vedeva brillare alcun lume.

La Guadiana, che un fresco vento spingeva verso l’Atlantico con notevole velocità, si cacciò senza esitare in mezzo ai banchi della baia, guizzando agevolmente attraverso ai canali, procurando [p. 49 modifica]Il suo sperone d’acciaio si sprofonda nel fianco del legno nemico... (Pag. 58). [p. 51 modifica] però di mantenersi nascosta dietro agli ultimi alberi, che si spingevano sul promontorio di Fetisci. Voleva sbucare improvvisamente in mare per risparmiare delle bordate a palla od a mitraglia, che non avrebbe mancato d’inviarle l’incrociatore, prima di piombarle addosso e di lanciare i suoi uomini all’abbordaggio.

Già non distava che quattrocento passi dal grande banco che si estende, per lungo tratto, dinanzi alla baia, quando un grido d’allarmi ruppe il profondo silenzio che regnava su quella distesa d’acqua.

– La nave! – aveva gridato una voce, che pareva partisse dalla sommità del promontorio.

Poi si udirono alcuni squilli di tromba e le acute note del fischietto del mastro d’equipaggio.

– Ci siamo – disse Alvaez, che aveva preso posto sul ponte di comando.

Poi con voce tuonante gridò:

– Barra all’orza, Hurtado!... Tutti a posto di combattimento!...

La Guadiana, obbedendo prontamente al timone e all’azione delle vele, che erano state rapidamente bracciate, virò di bordo seguendo il grande banco, facendo credere alla nave nemica di voler fuggire lungo la costa africana. Quell’astuzia riuscì perfettamente, poichè si vide l’incrociatore abbandonare l’agguato, doppiare rapidamente il promontorio e lanciarsi a vele spiegate sulle tracce della Guadiana, per costringerla a volgere la prua verso il grand’oceano.

Era un bel brigantino, dalla carena stretta, coll’alberatura immensa, un vero legno da corsa. Spuntato il capo, si mise a veleggiare lungo il banco, di cui forse non sospettava la pericolosa presenza.

– Benone! – esclamò Alvaez, stropicciandosi le mani. – Non correrai molto, mio caro.

Ad un tratto un lampo balenò sulla prua della nave da guerra e si udì in aria un acuto fischio che rapidamente cresceva, poi una fragorosa detonazione. L’estremità di babordo del pennone di trinchetto, smussato da una palla, saltò in mare.

– Ah! – esclamò Alvaez. – Non si crede necessario intimarmi la resa con un colpo in bianco! Mi conoscete adunque?... Tanto peggio per voi!... Olà, cannonieri di poppa, rispondete al saluto!...