I divoratori/Libro secondo/XX
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XX.
L’inverno seguente, allorchè Nancy era a Praga da quasi un anno, il Professore disse:
— Il mese prossimo Anne-Marie darà un concerto orchestrale.
— Oh! Herr Professor! — esclamò Nancy.
— Cosa c’è? — disse il Professore.
— Cosa c’è? — disse Anne-Marie.
— Ma non ha che nove anni.
— E allora? — chiese il Professore.
— E allora? — chiese Anne-Marie.
Chi potrà mai descrivere la febbrile agitazione dei giorni che seguirono?
L’agitazione di Bemolle per la scelta del programma! L’agitazione di Fräulein per la scelta del vestito! L’agitazione di Nancy, che non chiudeva più occhio la notte, che si figurava Anne-Marie rifiutando all’ultimo momento di presentarsi al pubblico; o scoppiando in lagrime e smettendo in mezzo a un pezzo; o ammalandosi di spavento; o prendendo un raffreddore il giorno prima del concerto! Tutti erano in uno stato folle di esaltazione ed eccitamento, eccetto Anne-Marie stessa. Quanto a lei, pareva non preoccuparsene affatto.
Doveva suonare il Concerto di Max Bruch? Benissimo. E la Fantasia Appassionata di Vieuxtemps? All right! E le variazioni di Paganini sulla corda di sol? Ma sì — e adesso, poteva andar fuori con Schopenhauer? (Perchè anche Schopenhauer, ormai un lungo cane semplice ed inelegante, assai più affettuoso che decorativo, era venuto a Praga, e aveva stretto amicizia con tutti gli allegri cani boemi del quartiere).
— Usciamo pure, — disse Fräulein. — E andrò a vedere di questa veste rosa per il tuo concerto.
— Oh, non rosa, — disse Nancy. — Ci vuole un vestito bianco.
— Io voglio un vestito celeste, — disse Anne-Marie.
E il vestito fu celeste.
In una mattinata di vento e di neve Anne-Marie si recò alla sua prima prova d’orchestra. Nella immensa sala vuota del Rudolfinum, i cento maestri dell’orchestra aspettavano chiacchierando, quando le grandi porte di vetro laterali si aprirono, e Anne-Marie entrò, seguìta da Bemolle portando il violino, e da Nancy portando la musica, e da Fräulein portando Schopenhauer. Dietro a loro veniva il Professore, col cappello a larghe ali tirato giù sugli occhi; torceva tra le dita nervose un grande sigaro spento. Subito nell’orchestra fu un mormorìo di commozione e di sorpresa, e tutti applaudirono, picchiando con gli archi sui violini e i violoncelli.
Anne-Marie fu presentata al direttore d’orchestra, Jaroslav Kalas, tutto sorrisi sotto ai lunghi baffi rossi; e poi Fräulein e il Professore la issarono sul palco, e Bemolle le diede fra le mani violino ed arco.
Ed ora Jaroslav Kalas batte il suo leggìo e alza il braccio. Poi ricordandosi a un tratto di qualche cosa, si china verso Anne-Marie.
— Hai il «la»?
— Sì, grazie, — dice Anne-Marie, appressando all’orecchio il manico del violino, e con le dita della destra pizzicando leggermente le corde.
Poi, con gesto deciso e rapido lo appoggia alla spalla sinistra e si mette in posizione.
Di nuovo il direttore d’orchestra batte due colpi secchi sul leggìo, e alza il braccio.
Br-r-r-r-r-r, rullano i timpani.
«Re-do-si, re-do-si, re-e-e-e», sospirano in terze i clarinetti. — Una pausa. Anne-Marie alza lentamente il braccio destro e attacca il «sol» basso con arco deciso. La lunga nota freme, bassa e vibrante, con voce di violoncello. Ed ecco che Anne-Marie spicca la volata della cadenza ascendente, e si ferma sul pianissimo «re in alt», colla morbida sicurezza con cui una piccola volatrice di trapezio mette dopo un volteggio il piede fermo.
Bemolle, che stava in piedi, si siede improvvisamente. Il Professore che era seduto, si alza in piedi.
Ora Anne-Marie lancia come un razzo la seconda cadenza. Fräulein, solitaria e raggiante in una poltrona nel centro della platea vuota, muove la testa su e giù, continuamente e rapidamente come un giocattolo chinese. Nancy tiene il viso coperto colle mani.
Ma la ragazzina, col capo chino sopra il suo istrumento suona il Concerto e non vede nulla. D’improvviso trasale, udendo dietro a lei il subitaneo rombo metallico degli istrumenti d’ottone; senza smettere di suonare e volgendo un poco il capo, li sogguarda con occhio incerto. Poi li comprende, li dimentica, e si lancia nella musica perdendovisi come in un mare di delizie. Sirena alata, ella passa e scorre, ondeggiante e lieve pel variato Andante; si affonda, si sommerge nelle profondità cupe dell’Adagio; poi si scaglia con subitaneo volo, vivido e scintillante — con un brillìo d’acque cascanti, un luccichìo di stelle, un saettar di razzi — nella sfolgorante magnificenza dell’Allegro finale.
Un profondo silenzio. L’orchestra non ha applaudito; Kalas si volta; con gesto lento incrocia le braccia, e guarda il Professore. Ma il Professore sta cercandosi in tasca il fazzoletto. Si soffia il naso, e non guarda nessuno.
Allora Kalas scende dal suo scanno, e prendendo solennemente una manina di Anne-Marie se la porta alle labbra e la bacia.
Poi risale lesto al suo posto, batte il leggìo per far silenzio, e dice:
— «Vieuxtemps, Fantaisie».
E i fogli di musica, fruscianti, si volgono.
Tutta Praga accorse al Rudolfinum, la sera del concerto; si affollò in platea, si stipò nelle gallerie, sedette, bisbigliando e tossendo, nelle poltrone e nei palchi.
Poi l’orchestra Boema prese i suoi posti. Jaroslav Kalas salì al suo scanno, e fu suonata una Ouverture.
Una breve pausa. Ed ecco, nel silenzio teso, intenso, apparire Anne-Marie col violino sotto al braccio.
...Ora, ritta al suo posto, la minuscola figuretta bionda spicca come una miniatura azzurra sui neri abiti dei professori d’orchestra. Porta una corta veste ondeggiante di raso celeste, le calze e le scarpette nere; e la bionda chioma è divisa da una parte e legata con un nastro celeste sulla tempia. Pare l’incarnazione della serena infanzia; pare la sorella di tutte le bambine che sono al mondo.
Un lungo mormorìo commosso passò nel pubblico; e nelle gremite gallerie fu un grande spingersi e sporgersi per poterla vedere.
Calma e serena, Anne-Marie volse i tranquilli occhi su quelle mille faccie rivolte a lei. Girò lo sguardo quieto per il largo cerchio delle gallerie; e non appena la luce del suo sguardo li colpiva, tutti quei visi intenti, come per incanto, si rischiaravano d’un sorriso. Anne-Marie con un piccolo gesto del capo per gettare all’indietro i leggieri capelli, avvicinò all’orecchio la voluta del violino, e pizzicando piano le corde, ne ascoltò il mormorato responso. Il direttore d’orchestra ritto al suo posto con la bacchetta in mano, la guardava, pallidissimo.
Anne-Marie gli fece con la testa un piccolo cenno, ed egli ribattè due colpi secchi sul leggìo. Br-r-r-r-r-r, rullarono i timpani...
⁂
Nella sala degli artisti alla fine del concerto la folla spingeva e si urtava per poter vedere e avvicinare Anne-Marie. Allora i direttori e gli inservienti ricacciarono indietro tutti, spinsero fuori tutti, e chiusero le porte.
Un agente di polizia, grande e grosso, con un feroce piumaccio verde sull’elmetto, fu appostato di guardia davanti all’uscio.
Il Professore che aveva ascoltato il concerto nascosto in un angolo remoto dell’ultima galleria, si fece strada come potè traverso la formidabile calca e, avendo dato alla guardia il suo nome, gli fu permesso di passare. La porta fu rapidamente richiusa dietro a lui.
Il Professore entrò nella sala degli artisti portando nelle mani la sua cassetta da violino, vecchia e nera. Sulla grande tavola, ingombra di fiori presentati e gettati ad Anne-Marie, egli, cacciando indietro le odoranti masse, adagiò con cura il prezioso istrumento che pareva una piccola cassa da morto in mezzo ai fiori. Poi il Professore si guardò d’intorno, cercando Anne-Marie.
Anne-Marie stava in fondo alla sala, vestendosi per andare a casa. Jaroslav Kalas le metteva il mantello, mentre Nancy, col viso smorto e gli occhi rossi, le stava legando al collo una sciarpa di seta bianca. Il Professore le fece segno di venire, e la bambina corse subito a lui.
— Le è piaciuto il mio concerto, Herr Professor? — chiese Anne-Marie.
Il Professore non rispose. Aprì la nera cassetta e ne tolse il magnifico istrumento biondo che da trent’anni era il suo conforto e orgoglio. Girò la caviglia del cantino e tolse la corda di «mi». Poi levò la corda di «la». Poi quella di «re». La sola corda d’argento del «sol» rimase a mantenere il ponticello. Il Professore contemplò il violino. Poi si volse solennemente alla bimba, che ritta e grave accanto a lui lo osservava.
— Questo è il mio Guarnerius del Gesù, — disse il Professore.
— Sì, — disse Anne-Marie.
— Lo dò a te.
— Sì, — disse Anne-Marie.
— Suonerai sempre su questo violino le Variazioni del Paganini per una corda sola. E l’Aria di Bach.
— Sì, — disse Anne-Marie.
Il Professore ripose l’istrumento nella cassetta e la richiuse. Poi si volse con solennità alla bambina.
— Io ti ho insegnato ciò che potevo, — disse. — La vita ti insegnerà il resto.
— Sì, — disse Anne-Marie, e prese subito in braccio la cassetta del violino.
Il Professore la guardò a lungo. Poi disse:
— Guarda di mettere dei guanti caldi per uscire; nevica.
Poi si volse rapidamente e lasciò la stanza.
Nancy mise le braccia intorno alla sua bambina.
— Ma, amor mio! Hai dimenticato di ringraziarlo!
Anne-Marie tenendo stretto nelle due braccia la cassetta, levò verso sua madre gli occhi innocenti:
— Come si può ringraziarlo? A che cosa serve ringraziarlo? — disse.
E Nancy sentì che aveva ragione.
— Dove sono i miei guanti? Lui mi ha detto di metterli, — disse Anne-Marie, guardandosi intorno. — E dov’è Fräulein?
Fräulein non c’era. Fräulein aveva il cuore debole. Le era venuto male dopo il secondo pezzo, e si era dovuto mandarla a casa in carrozza.
— E Bemolle?
Bemolle — che aveva ascoltato i pezzi stringendosi convulsamente la fronte tra le mani, e che, per reazione, aveva pianto copiosamente ad ogni intervallo — si avvicinò col naso gonfio e i baffi spioventi; portava in mano l’altra cassetta col violino di Anne-Marie.
— Perchè fate così? — disse Anne-Marie, guardandolo con leggiero disprezzo. — Perchè fate quelle faccie?
Bemolle non potè risponderle.
Ecco, erano pronte. Nancy voleva dare la mano ad Anne-Marie, ma la piccina portava il Guarnerius e i fiori, e non potè. Gli inservienti in uniforme salutarono, e spalancarono le porte.
Anne-Marie che aveva già fatto un passo innanzi, si fermò di botto. Davanti a lei il vasto corridoio era stipato, gremito d’una folla immensa e silenziosa, divisa in due lunghe file accalcate, che lasciavano appena uno stretto passaggio libero in mezzo. E lontano, in fondo al vestibolo presso le porte, si vedeva ancora la gente ondeggiare e sospingersi come marosi battuti dal vento.
Anne-Marie si volse a sua madre.
— Mamma! che cosa aspetta tutta questa gente?
Nancy, scossa e convulsa dall’emozione, non potè rispondere. Sorrise colle labbra tremanti:
— Andiamo, cara, — disse.
— Ma no! ma no! — disse Anne-Marie, — non voglio andare. Tutti aspettano per vedere qualche cosa. E voglio aspettare anch’io, per vedere cosa c’è!
Ma la folla l’aveva intravveduta e già si spingeva rumoreggiante e formidabile verso di lei; allora la grande guardia col piumaccio si chinò, la afferrò, e sollevandola come fosse una piuma, se la posò sulla spalla. Poi si spinse avanti facendosi largo attraverso il tumulto.
Anne-Marie, dopo il primo istante di sbigottimento, rideva serrando tra le braccia i fiori e la cassetta del violino; questa sbatteva sull’elmo della guardia ad ogni passo che egli faceva. Nancy, nella calca, li seguiva ridendo e singhiozzando, sentendo mille mani afferrare le sue, mille voci commosse benedirla e felicitarla.
— Mamma fortunata! Mamma benedetta!
Essa non sapeva come rispondere. Rideva e piangeva, dicendo:
— Grazie! Oh, grazie! grazie!
Ed ecco, finalmente! — erano in carrozza tutt’e due, strette l’una all’altra, tenendosi abbracciate. Lo sportello fu chiuso, e cento visi ridenti si affacciarono intorno ai vetri.
— Salutali, — disse Nancy, — Salutali colla mano.
E Anne-Marie li salutò colla mano, e coi fiori, e con tutte e due le mani, ridendo e battendo le dita contro i vetri.
Le grida d’evviva della folla spaventarono i cavalli che si rizzarono scalpitando, e partirono al galoppo per le notturne strade.
Ecco, erano sole. Nancy aveva messo il braccio intorno alla sua bambina e la testina bionda le posava sul petto. Il Guarnerius era ai loro piedi, e tutti i fiori erano caduti dalle mani di Anne-Marie sulla cassetta nera che pareva una piccola cassa da morto.
Così s’allontanarono dal fragore e dalle luci, e traversarono le buie strade silenziose tenendosi strette, senza parlare.
Dopo un gran pezzo Anne-Marie disse:
— Ti è piaciuto il mio concerto, Liebstes?
Aveva imparato da Fräulein il tenero appellativo tedesco.
— Sì, — sussurrò Nancy.
— Ho suonato bene?
— Sì, piccola cara! piccola mia!
Un lungo silenzio.
— Sei felice, Liebstes?
— Sì, sì, sì! Sono felice, — disse Nancy.