I divoratori/Libro primo/XV
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XV.
Nella sua villa sul Lago Maggiore Clarissa si annoiava; e scrisse per invitare Nancy:
- «Ma charmante,
«Se vuoi scrivere il tuo capolavoro tra le bellezze e la pace della natura, vieni qui. L’esecrabile calma che spira dal lago e da mio marito ti gioveranno. Vieni, vieni, e sta almeno un mese. Ti darò una grande stanza chiara in cima alla casa, con un grande tavolo e un gigantesco calamaio; e davanti a te sarà la vista che ispirò Manzoni... o forse era un altro lago, quello? Non importa. Vieni a creare qui il tuo chef-d’œuvre».
Con la stessa posta mandò un biglietto a suo cognato:
- «Aldo, mon joli,
«Sei pregato di venire a trovarmi. Carlo è insopportabile. Brontola tutto il giorno e russa tutta la notte. Perchè mai l’ho sposato?
«Questa è la quarta volta che t’invito quest’anno, e non sei mai venuto. L’anno scorso non era così.
«Clarissa.»
«P.S. La piccola poetessa verrà a star quì un mese.»
Aldo arrivò l’indomani. Dopo aver salutato il fratello e la cognata domandò:
— Dov’è Saffo dai capelli di viola?
Clarissa gli spiegò che non era ancora arrivata. Allora egli fece il broncio e suonò il pianoforte tutta sera, mentre Carlo russava sul canapè.
Clarissa, volgendo gli occhi dall’uno all’altro, si domandava quale dei due la insultasse di più.
Nancy arrivò il giorno dopo. Aveva portato con sè tutte le sue carte, i suoi quaderni di appunti e anche un porta-penna d’avorio rotto, con cui scriveva sempre. Era già tutta presa dal capolavoro. Si sarebbe messa all’opera immediatamente. Durante il percorso, nella carrozzetta che Clarissa guidava, dallo sbarco alla villa Solitudine, Nancy raccontò i suoi progetti a Clarissa, che sorrideva e approvava, frustando la grassa e pigra cavallina.
Avrebbe scritto un libro. Il Libro! Una grande opera seria, con alti intenti; non un volumetto di brevi poesie scapigliate, effimere, che si leggono oggi e si dimenticano domani. E si era prefissa di non pensare ad altro che al Libro; di non vivere che per il Libro. Avrebbe sognato il Libro; passeggiato per il Libro; respirato, mangiato, dormito per il Libro. A Milano, con tanta gente intorno, gente che parlava e la distraeva, era impossibile lavorare; ma qui, nella grande camera tranquilla in cima alla casa... Com’era buona Clarissa, com’era cara di averci pensato! Nancy sentiva di non poterla mai abbastanza ringraziare...
Clarissa approvava col capo e sorrideva; e la carrozza svoltò nel viale di castagni della villa Solitudine. E Nancy, alzando gli occhi, vide, con suo stupore, Aldo scendere i gradini venendo ad incontrarle. Aldo, vestito di flanella bianca con una fascia rossa intorno alla cintura e la lucida testa nera scoperta al sole! Tre o quattro grandi cani gli balzavano intorno latrando.
— Guarda, — disse Clarissa, additandolo a Nancy. — Non ti rammenta Endimione desto al bacio di Diana? Narciso!... Adonais!... Gli Dei hanno riversato su di lui tutta la bellezza del mondo!
Siccome Nancy non rispondeva, Clarissa si volse a guardarla.
— Uh! che faccia scura, ma chérie! E sei tutta impallidita! Perchè? A che cosa pensi?
— Al Libro, — disse Nancy.
E le parve che il Libro fosse una sua creatura, condannata a morire prima di nascere.
— Lo scriverai, mon ange! Aldo non ti disturberà.
E gettate le redini a un piccolo groom rigido, Clarissa raccolse con mossa aggraziata le gonne e scese tra le braccia di Aldo.
Nancy aveva già posto il piede sul predellino, ma Aldo la prese per la vita, e lesto e leggiero la sollevò e la mise in terra. La bocca rossa e ridente del giovane era così vicino alla faccia di Nancy, che essa impallidì un poco.
Col suo cerimonioso saluto meridionale Aldo le baciò la mano.
— Schiavo suo, signora.
... Nancy andò nella sua camera — la grande camera vuota con la vista celeste del lago — e vi rimase tutto il pomeriggio. Riordinò i suoi appunti, spiegò davanti a sè i larghi fogli di carta bianca, e intinse nel grande calamaio la penna d’avorio.
Poi guardò dalla finestra. Udiva in giardino i festosi latrati dei cani e le risate trillanti di Clarissa. Sul dolce lago azzurro una vela piccola, che pareva un fazzoletto, s’alzava e s’abbassava, nicchiando, e allontanandosi con mille piccole riverenze sulle minuscole onde.
E dalle aperte finestre della sala si udiva Aldo che suonava una «Valse triste».
Nancy intinse di nuovo la penna nel calamaio, e guardò la vista.
Ora udiva la musica vagare e smarrirsi in soavi modulazioni semitonali che si risolvettero nel carezzevole accompagnamento del «Musikant» di Hugo Wolff.
Wenn wir zwei zusammen wären |
Essa udiva la dolce voce tenorile e le pareva che le note, unite l’una all’altra, le si legassero intorno al cuore attirandola a lui.
Si alzò a chiudere la finestra, poi tornò a sedere davanti al tavolo.
Intinse la penna e scrisse in cima al primo foglio: «Villa Solitudine», e la data; sotto — non avendo ancora pensato al titolo — tracciò in grandi lettere:
«IL LIBRO»
Poi balzò in piedi e corse giù.
Nell’ora del tramonto uscirono in barca. Clarissa sedeva al timone e Aldo in atteggiamento di grazia indolente, governava la vela. Il fiammeggiante occaso gli irradiava il puro viso giovine, e il vento di tramontana sollevava lene i neri capelli che gli ondeggiavano sulla fronte. Egli taceva, soddisfatto di sapere che le due donne lo vedevano, e che il cielo sfolgorante serviva di sfondo al suo profilo.
Clarissa chiacchierava, rideva, cinguettava; ma Aldo taceva; ed era il suo silenzio che rapiva Nancy.
Ed io che intesi ciò che non dicevi |
La semplice dolcezza di quei due versi dello Stecchetti le cantavano con senso nuovo nella mente, e in tutti quei giorni le tornarono sempre al pensiero.
Aldo sapeva poche cose, ma sapeva il valore del silenzio. Conosceva l’attiranza, la malìa dell’«hortus conclusus», del Giardino Chiuso in cui non si è penetrati ancora. Nancy, trepida innanzi al cancello, ne sognava le non vedute rose, le fontane di luce, e i viali d’ombra e i laghi di mistero. L’anima di Aldo era per lei un giardino chiuso.
Aldo conosceva anche il valore dei suoi occhi, grandi occhi tenebrosi le cui palpebre, diceva Clarissa, parevano annerite col turacciolo bruciato. Quando egli li alzava all’improvviso e guardava fisso Nancy, essa sentiva un tuffo nel sangue che le toglieva il respiro. A poco a poco, giorno per giorno, quegli occhi attirarono verso le loro profondità lo spirito di Nancy; la sua anima interrogante, china sovr’essi come sopra un abisso, si perse, si sommerse...
E così, guardando negli occhi di lui, Nancy credeva di leggervi la bontà, l’ingegno, la purezza; e non sapeva che era la sua anima stessa che ella vedeva riflessa in quelle splendide pupille.
Il Libro ogni tanto clamava in lei; ma essa ne soffocava la voce sussurrando: «Aspetta!»
E il Libro aspettava.
Un giorno, in giardino, Clarissa si dondolava nell’amaca fingendo di leggere, quando Aldo si avvicinò e le sedette accanto.
— Clarissa, ho venticinque anni.
— Vlan! ça y est. — disse lei; e il libro le cadde dalle mani. Sentì un dolore sordo nel cuore; le sue narici impallidirono mentre solo le sovrapposte rose delle guancie continuavano a fiorire inconscie d’ogni emozione.
— Sono senza un soldo, — proseguì Aldo, cogliendo un filo d’erba e masticandolo, — e Carlo m’ha fatto capire che, se ci si provasse bene, potrebbe anche vivere senza di me.
— Ah! — scattò Clarissa, — quando l’ha detto? Come lo ha detto? Credi che abbia... credi... che pensi qualche cosa?
Aldo scosse la bella testa.
— Carlo non pensa mai niente. Ma il fatto sta che, o devo tornare al rancio del Texas, o devo prender moglie.
Il rancio del Texas era una invenzione romantica di Clarissa, fondata semplicemente su una gita di un mese fatta da Aldo a New York.
Clarissa si morse le sottili labbra scarlatte.
— Già, — disse, e tacque.
Durante la lunga pausa che seguì, Aldo colse un altro filo d’erba e lo masticò.
— M’immagino, — disse infine Clarissa, sogguardandolo traverso le lunghe palpebre semichiuse, — m’immagino che sposerai qualche vecchiaccia affettuosa con molti quattrini.
— No, no, — disse Aldo. — Le conosco, quelle lì. Quelle esigono l’affetto, e i quattrini se li tengono.
E dopo una breve pausa in cui sentiva gli occhi caldi e irosi di Clarissa pesare su di lui, soggiunse:
— Sposerò la piccola Saffo.
Clarissa diede in una forte e aspra risata.
— Già. Questo lo farai semplicemente per tuo piacere. Farceur, va!
Aldo inarcò con noncuranza le perfette sopracciglia e non rispose.
— Lo sai pure che non ha un soldo, non il becco d’un quattrino.
— Oh, avrà pure qualche cosa, — disse Aldo affettando di sbadigliare. — E poi è un genio, e guadagnerà quello che vuole.
— Tu sei un perfetto porco, — disse Clarissa, risdraiandosi nell’amaca e chiudendo gli occhi.
Il perfetto porco si alzò con aria sdegnosa e la lasciò.
Entrò in casa, prese il cappello e il bastone, e uscì, passando dal giardino all’arsa strada maestra. Andò all’imbarcadero, dove trovò un battello che partiva per Laveno. Egli vi salì, e a Laveno prese il treno per Milano.
Pranzò al Savini, con eccellente appetito.
— Intanto quelle lì si roderanno, — pensò. — Meglio. ... Così impareranno!
Passeggiò un’ora in Galleria, poi andò a casa e dormì bene.
Intanto, nella villa Solitudine, «quelle lì» si rodevano. ... E imparavano.
Nancy imparò che il giardino chiuso in cui aveva appena gettato uno sguardo era l’unico giardino nel mondo in cui ella desiderasse di entrare. Imparò che le parole che Aldo non aveva dette erano le uniche parole che ella desiderasse di udire. Imparò a credere che certo, dietro la portentosa bellezza di lui, stavano, mute, forti, inamovibili, anche la perfetta bontà e l’austera rettitudine, come leoni di marmo al cancello di un palazzo.
E Clarissa imparò che bisogna adattarsi al destino e accettare l’inevitabile; che è meglio aver mezza michetta che restar senza pane; e che infine un Aldo ammogliato era sempre meglio che nessun Aldo. Allora si diede a guardare più attentamente Nancy dicendosi che, dopo tutto, Nancy era una creaturina di cui un uomo si stancherebbe presto, nonostante — o appunto per — la sua intellettualità. Aldo, per Clarissa, non era un giardino chiuso. Ella ben conosceva i magri fiori delle sue aiuole.
Una settimana monotona e afosa si trascinò sui loro cuori senza notizie di Aldo. Infine Clarissa gli telegrafò a Milano. Disse di aver parlato a Carlo del suo desiderio di sposar Nancy; Carlo approvava. Che Aldo dunque tornasse. Tornasse presto. Tornasse subito.
Va bene. Aldo era disposto a tornare. Aspettò ancora un giorno o due e poi, verso la chiusa di un caldo pomeriggio, entrò nel giardino della villa come ne era uscito; traversò placido e disinvolto il sonnacchioso prato vibrante del ronzìo delle api, e si fermò sulla soglia del piccolo padiglione dove Nancy era seduta a leggere una lettera. Aldo vide che era una lettera lunga. Due dei foglietti azzurri, già letti, erano caduti in terra.
Sul tavolo di sasso davanti a lei era il calamaio, e la penna d’avorio, e il Libro. Quando l’ombra di Aldo oscurò il limitare, Nancy alzò gli occhi.
Vedendolo, ella trasalì e il suo viso si fece di un pallore latteo; quella subitanea opaca chiarità, quasi di svenimento, scosse i nervi di Aldo.
Egli si chinò sulla piccola mano ch’ella gli stendeva, e disse ancora una volta:
— Sono lo schiavo suo, signora.
Ma allorchè egli alzò gli occhi, essa comprese di aver udito male. Certo egli le aveva detto:
«Sono il tuo padrone, Nancy!»
— Chi le scrive? — domandò il giovane, accennando alla lettera.
Nancy chinò docili ciglia e il colore le corse nelle guancie.
— È Mr Kingsley, — disse. — Ricorda? Quel buon inglese, tanto caro.
— Perchè le scrive? Cosa vuole? — disse Aldo; e con aria di padronanza afferrò la mano che teneva la lettera, e la strinse nella sua destra.
Nancy sorrise e la fossetta apparve, concava e rosata come l’interno d’un petalo di rosaspina.
— Vuole ch’io sia buona, — disse, — e ch’io scriva...
Aldo portò alle labbra il piccolo pugno che ancora serrava la lettera azzurra sgualcita.
— Ebbene, eccolo servito, — disse, — scriva, scriva subito.
E prese la penna d’avorio, l’intinse nell’inchiostro, e gliela diede in mano. Poi prendendo il foglio di carta bianca che doveva essere la prima pagina del Libro, dettò:
— «Caro Inglese. Sposo Aldo Della Rocca, che mi adora».
Nancy, tanto china sul foglio che i morbidi capelli sfioravano la carta, scrisse:
«Caro Inglese. Sposo Aldo Della Rocca, ch’io adoro».
Così fu compiuta la missione di Mr Kingsley, al quale quella lettera non fu mai mandata. Tanto, non era scritta per lui.