I Santuarii
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I SANTUARII.
Et induxit eos in montem |
(Ps. 77). |
Infelice colui che ignobilmente
Mira natura e le bell’opre umane,
Ed allor più s’estima alto veggente
4Che più freddo e schernevol si rimane!
Quant’evvi di sublime e d’innocente
Gli par macchiato di bruttezze strane:
Per le spine la rosa gli par truce,
8E, perchè il Sole avvampa, odia la luce.
No, non è tal la verità, ma ad onta
Delle sue spine amabile è la rosa,
E l’alma luce immense gioie impronta,
12Benchè talor dardeggi anco dannosa;
E il passegger che faticando monta,
Pago sovra le balze indi si posa;
E benchè abbondin gli empi in sulla terra,
16Frode non è per ogni dove o guerra.
L’ipocrita, ahi! s’accosta anco all’altare,
Ma i non infinti quell’altar migliora:
Ogni spirito umano, alto o volgare,
20Pervertesi dal dì che più non òra;
Ed in ogni uso della Chiesa appare
Celeste senso che a virtute incuora.
Chi d’amor sante preci insania crede,
24Quai vuol foggiarle, e non quai son, le vede.
Voi pur, voi pur siete di scherno oggetto,
Famosi Santuarii, ove i credenti
Peregrinando anelan con diletto,
28Sebben plebee taluni abbian le menti.
Menti han plebee, ma candido l’affetto,
E l’esempio comun li fa più ardenti.
O Santuarii, abbiatevi il mio canto:
32Io ne’ delùbri di Varallo ho pianto!
Tutelare di Sesia Angiol gentile,
Come nobile e vaga è tua vallea!
Qual v’ha Meandro all’acque tue simìle?
36Qual altra auretta i cor tanto ricrea?
E come, fuor del consüeto stile,
Qui il villanel di belle arti si bea!
Qui leggiadri pittori ebbero cuna,
40E lor opre Varallo in copia aduna.
Ma più di tutti i Varallensi egregio
Di virtù per la forte orma stampata
Fu il buon Caïmo ch’or sull’are ha pregio,
44Ei che alla valle nova gloria ha data,
Ei che v’aggiunse così fregio a fregio,
Che da’ secoli andasse indi ammirata.
Umil cappuccio lo coprìa, ma ardente
48D’alti pensier gli rifulgea la mente.
Caïmo giovin mosse in Terra Santa,
Poi tornò pien di rimembranze il core,
Ed ambìa che sua terra tutta quanta
52Innalzasse le brame al Crëatore;
Ed era di color, cui non va infranta
La volontà da inciampi o da timore.
Ardüissima cosa immaginossi,
56La predicò, la volle, e gridò: « Puossi! »
» Puossi, gridò, glorificare Iddio,
» A questi lochi eccelso lustro dando.
» Ergasi un Santuario in un sì pio,
60» E sì per inclit’opere ammirando,
» Che inviti pure il miscredente e il rio,
» I quai vengan da pria maravigliando,
» Poscia vinti si sentan dall’incanto
64» Del Bel, del Ver, del sommamente Santo.
» Puossi! e tristo colui che m’opporrebbe
» Che opulenta non è questa convalle!
» Dal voler forte ognor la forza crebbe,
68» E le ben chieste grazie il Signor dàlle.
» Più costante di noi popol non v’ebbe,
» Zelo non fia ch’indi all’impresa falle:
» Dìam chi l’or, chi le braccia, e chi lo ingegno,
72» E di Dio monumento alzerem degno ».
In tal guisa ispirato predicava
Il reduce da’ liti Palestini,
E col robusto dir comunicava
76Negli altrui cor suoi palpiti divini.
Universale un plauso s’elevava
Primamente da’ borghi più vicini,
Poi rapido quel plauso si diffonde
80Pur tra fedeli di lontane sponde.
E quasi per prodigio ecco tant’oro,
E tanti chiari spirti, e tante braccia
Moltiplicarsi e gareggiar fra loro
84Sì che novo Sïonne ivi si faccia.
Non manca all’alta impresa alcun decoro;
L’aspra montagna trasmutato ha faccia;
Magnifico cammin fra ombrose piante
88Guida a esimii delùbri il vïandante.
Ascendendo quell’erta, evvi un mistero
Tal nel loco e nell’aer, che pria che giunga
A’ consecrati muri il passeggero,
92Forz’ è che preghi, ed ami, e si compunga.
Vista non v’ha che nol ritragga al vero,
Che dal mondo fallace nol disgiunga,
Tanto, dovunque ei volga la pupilla,
96Del Crëator la mäestà gli brilla.
Quanto più progredisci alla salita,
Tanto più ti stupiscon da ogni parte
Quel bosco là della vallea romita:
100Là le fumanti capannette sparte;
Là un torrente fra scogli che s’irrìta,
E mormorando e spumeggiando parte;
E colà un altro che sue rapid’onde
104Rotola verso il piano, e in lui s’infonde.
Qui il ciel sovente è limpido zaffiro,
E spande fulgidissima la luce,
Poscia improvvisa là sui gioghi io miro
108Nube che tuoni e fulmini conduce,
E ne’ rami degli alberi uno spiro
Freme di vento, or lusingante, or truce,
E in tutte quelle cose è un’armonìa
112Che scuote l’alma ed al Signor l’avvìa.
Venìa meco Tancredi, ed ammutiti
Or contemplando questo, or quell’obbietto,
Più gioïvam perchè fra noi partiti
116Sensi cotanti d’intimo diletto
Scorger ne fean quanto da Dio forniti
D’unanime eravam mente ed affetto:
Tacean le lingue, ma l’alterno sguardo
120Il söave dicea sentir gagliardo.
Più oltre i passi producemmo, e alfine
I delùbri toccammo desïati:
Su, ciascun di essi vaghe ombre son chine
124D’olmi vetusti, sotto a cui posati
Già si son peregrini e peregrine,
Ora in polve dispersi ed ignorati.
Quanti, com’io, veduto han queste rive!
128Tutti son morti, e quella ombra sorvive!
Il pio silenzio di tai sedi appella
A veridici e gravi pensamenti.
Scende sul cor rimorso, e lo flagella,
132Ma speme santa mitiga i tormenti.
Scerne l’uom ch’ogni vita si scancella,
Quasi che gli anni suoi fosser momenti,
E invaso allor da salutar terrore,
136S’umilia, e invoca, e trova il Redentore.
Oh! chi d’uopo non ha di chi il redima?
Qual adulto vivente è immacolato?
Chi non desìa tornar ciò che fu prima,
140Quando non era ad empietà varcato?
E chi fia mai che irreverente imprima
In Santuario i piedi, ove adorato
Mirasi quanto, sceso in terra Iddio,
144Per redimerci tutti, oprò e patìo?
No, qui nulla è volgar, nulla è concetto
Di scempi ingegni! tutto è sapïenza!
Rider vorrìa l’incredulo intelletto,
148E falla qui a lui stesso la impudenza:
Qui riconoscer debbe ei con dispetto
Esservi un Bel che sforza a reverenza:
Istorïate scene del Vangelo
152Han qui una voce che rammenta il Cielo.
Di Varallo i sacelli adorni sono
Di cento effigie di gentil lavoro:
Ed una v’ha che par d’angioli un dono,
156Cotanto pinge di Maria il martoro!
Di Maria, che in orribile abbandono
Indicibil, divin serba decoro,
Di Maria che, abbracciando il morto Figlio,
160Frena le amare lagrime in sul ciglio!
Fra gli sparsi tempietti si divelle,
Qual tra la prole sua la genitrice,
Qual magnifica luna infra le stelle,
164Sommo Tempio che al loco appien s’addice.
Egli è sacro a Maria, che fra le belle
Schiere de’ cherubin sorge felice,
E dir sembra a’ mortali: — « Oh figli miei!
168» Meco voi tutti alzare in ciel vorrei! »
Non fulge dì, non fulge ora del giorno,
Che sul monte preganti alme non meni.
Sono pii villanelli del contorno
172Che invocan messi a’ patrii lor terreni;
Sono un padre sanato, e a lui d’intorno
I figli suoi di gratitudin pieni;
Son donne antiche e vergini montane
176Vestite a fogge in un leggiadre e strane.
E queste e quelli, a varii gruppi onesti,
Van ramingando qua e là pel monte.
Mormoran preci, e i rai tengon modesti,
180Ed in ogni sacel chinan la fronte,
E più si ferman dolcemente mesti
Dove San Carlo ha sue pedate impronte;
E sotto voce ai figli il genitore
184Le virtù narra di quel gran Pastore.
Poscia ciascun pur là s’arresta molto,
Dove il fulcro d’un letto anco si vede:
Il letto fu di Carlo! Ivi quel volto
188Dormì e vegliò quando a lodar la fede
De’ Varallensi a lor si fu rivolto
Dalla Lombarda glorïosa sede.
Oh reliquia onorata! oh quanti ispira
192Di pietà desiderii in chi la mira!
E colà presso, d’un più antico Santo
Venerevole avanzo è custodito:
Un teschio egli è! Chi di facondia incanto
196Effuse da quel teschio ora ammutito?
E chi da quelle or vote occhiaie ha pianto?
Chi cogli sguardi i cuori indi ha colpito?
Caïmo fu! quel forte che volea,
200Ed all’opre ardüissime impellea!
Adorator de’ secoli vetusti
No, non son io: so che barbarie assai
Contro a’ fiacchi porgeva arme agl’ingiusti,
204E alle vendette succedean più guai:
Ma sfavillar pur si vedean tai giusti,
Che d’obblio non saran preda giammai:
Del secol lor vinceano il genio tristo,
208L’alme träendo a caritate e a Cristo.
Onore a nostra età per fatti egregi,
Ma non per la calunnia e pel sogghigno,
Con che vorriansi vilipesi i pregi
212Di chi fra rozzi oprò saggio e benigno!
Ogni secolo ha menti onde si fregi;
Ogni secolo impulsi ha dal maligno:
Ah! in ogni età da’ cuori ingentiliti
216Abbiansi laude gli atti a Dio graditi!
A Dio graditi certo erano e sono
D’alta religïon que’ monumenti,
Ov’ansio d’impetrar pace e perdono
220Tutti elèva il mortal suoi sentimenti;
Ove chi più fu sotto i vizi prono,
Talor più sorge, e move a’ begli intenti;
Ove color che già inimici furo,
224Si rïabbraccian con fraterno giuro.
Ah! tutto ciò che alle passate sorti
De’ natii ne congiunge amati liti,
È quasi suon di glorïosi morti,
228Che di virtù civil ne drizza inviti;
E ben di patrio amor vincoli forti
Son quindi i Templi e i Santuarii avìti;
Ed ogni buon là grandi lumi scerne,
232Pregando ove pregàr l’alme paterne.