I Nibelunghi (1889)/Avventura Ventinovesima
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Avventura Ventinovesima
In che modo Hagen non si levò in piedi dinanzi alla regina
I due, degni di lode, cavalieri,
Hàgene di Tronèga, anche Dietrico,
Si separâr. Di sopra da le spalle
L’uom di Gunthero1 a un sozio riguardava
5Quale ei ratto acquistava. Appo Gislhero
Starsi Volkero ei vide. Il suonatore
Di giga esperto egli pregò con seco
Di venir tosto. L’anima sua fiera
Ei sì ne conosceva, e quello in tutte
10L’opre sue cavaliero ardito e buono
Era davver. Lasciavasi frattanto
Che andassero alla reggia i cavalieri;
Tolti solo que’ due, gli altri fûr visti,
Oltre la corte, andarne assai lontano
15Ad un vasto palazzo. Odio d’alcuno
I cavalieri, fior d’ogni più forte,
No, non temean. Dinanzi da la casa,
Alla sala di contro, usato ostello
Di Kriemhilde, ei sedean sovra uno scanno
20In basso, e risplendean su lor persone
Loro arnesi pomposi. Oh! volentieri
Avrìa saputo chi li riguardava,
Chi si fossero mai! Come a selvagge
Belve, mirava con aperta bocca
25Ogn’uom degli Unni ai prodi ardimentosi;
Anche li vide da una sua finestra
D’Ètzel la donna, e si turbò d’assai
La leggiadra Kriemhilde. Ella pensava
Al suo dolore e a pianger fea principio,
30E di cotesto meraviglia assai
D’Ètzel le genti avean, quale mai cosa
Le avea turbato il core a l’improvviso.
Ed ella disse: Hàgene fea cotesto,
O cavalieri ardimentosi e buoni.
35E a quella donna elli dicean: Cotesto
Come dunque accadea? mentre veduta
Or ora v’abbiam noi lieta e contenta.
Ma quel qualunque che vi fea tal cosa,
Dite a noi di punire. E sì davvero
40La sua vita n’andrà. — Sempre vorrei
Quello servir che l’alto mio dolore
Vendicherà. Per quanto egli vorrìa,
Pronta sarei dell’alma. Ond’io vi prego
A’ vostri piè, disse del re la donna,
45D’Hàgene voi, sì che vita egli perda,
Mi vendicate. — Prontimente allora
Sessanta s’accingeano ardimentosi.
Per voler di Kriemhilde elli voleano
Irne di là, voleano Hàgene uccidere,
50L’uomo ardito e superbo, e seco ancora
Il sonator di giga, e ciò per essi
In secreto consiglio s’apprestava.
Ma la regina che vedea sì breve
D’essi la compagnia, disse agli eroi
55Con un’alma crucciosa: Esto disegno
Che avete voi, abbandonar v’è d’uopo,
Chè non potete voi, sì pochi siete,
Contro Hàgene restar. Ma più d’assai,
Per quanto ardito e forte Hàgene sia,
60Quei di Tronèga, di gran lunga è forte
Quei che accanto gli siede, il sonatore,
Volkèr, di giga. Egli è malvagio, e voi,
Sì pochi siete, contro a questi prodi
Non potete restar. — Come cotesto
65Da lor s’intese, anche assai più si accinsero,
Quattrocento gagliardi cavalieri,
E la nobil regina assai di questo
Cura si avea per che dolor portasse
A que’ nemici suoi. Da ciò ben grande
70Apprestavasi doglia ai valorosi.2
Poi ch’ella vide bene armati assai
De’ suoi famigli, ai prodi ardimentosi
La regina parlò: Deh! per un poco
Or v’arrestate, e qui v’è d’uopo ancora
75Starvi in silenzio. A’ miei nemici innanzi
Io scender vo’ con la corona, e intanto
Rimprocci udrete voi per ciò che fatto
Hàgen m’ha di Tronèga, ei, di Gunthero
L’uom devoto. E lui so sì fiero e ardito,
80Che l’opra sua non mentirà. Ma poco
Anche mi preme se alcun che gli tocca.
E vide allora il sonator di giga,
Ardito sonator, dal regio ostello
Per una scala scendere colei,
85Nobil regina. Al suo compagno allora
L’avveduto Volkèr così parlava,
Come cotesto ei vide: Hàgene amico,
Ora mirate ove sen va colei
Che a questa terra fece invito a noi
90Senza fede leale. Unqua non vidi
Appo donna di re tanti gagliardi
Battaglieri venir, che tra le mani
Portin lor ferri. O forse voi sapete,
Hàgene amico, se di voi son elli
95Nemici avversi? E consigliar vogl’io
Questo a voi che però con maggior cura
Vostra persona e vostro onor guardiate;
E ciò buono mi sembra. E di riottosa
Anima ei sono inver, s’io bene intendo!
100Anche d’essi qualcun reca sì vasto
Petto, che qual difenderà sè stesso
In tempo ciò farà. Credo che sotto
Ei portino a le vesti usberghi fulgidi;
Ma ciò ch’ei vônno per cotesto, dire
105A nessuno io saprei. — Con iraconda
Anima disse allora Hàgene ardito:
Io ben conosco che per me si fece
Tutto cotesto, ond’ei l’armi lucenti
Si portino fra mano. Eppure, ancora,
110Dopo ciò, ben potrei tornarmi a quella
De’ Burgundi contrada in cavalcando.
Ora ditemi voi, Volkero amico,
Se al fianco mio starete ove la pugna
Voglian con meco di Kriemhilde gli uomini,
115Per quant’io vi son caro, e voi cotesto
Intendere mi fate, ed io più sempre
Appo voi resterò in fedel servigio.
Io fermamente porgerovvi aita,
Il suonator di giga rispondea.
120Anche se il re con tutti suoi gagliardi
Qui vedess’io venirne incontro, intanto
Che anche viver poss’io, non per timore
Dall’aita di voi ritrarrò il piede.
Ora dal cielo vi compensi Iddio,
125Molto nobil Volkero! E di qual cosa
Bisogno avrò, se voi pugnate meco?
Poi che aitar voi mi volete in quella
Guisa che intesi or or, vengano questi
Eroi così con tal vampo di guerra!
130Or da seder su vi levate, disse
Di giga il suonatore. Ed è costei
Una regina, e ch’ella innanzi vada
Lasciate voi. Facciamle onor, chè donna
Ella è nobile inver. Con ciò, di noi
135La persona si onori. — Oh, no! rispose
Hàgene allor, per l’amor mio! Cotesti
Eroi creder potrìan che per timore
Io fo cotesto e ch’io di qui tornarmi
Vo’ in Borgogna. Levarmi in niuna guisa
140Da seder vo’ per lei. Meglio davvero
S’addice ad ambedue che ciò si lasci.
A chi m’odia e perchè far io dovrei
Segno d’onor? Pel tempo in che avrò vita,
Io mai cotesto non farò. Nè assai
145Davver mi curo se odio anche mi porta
D’Ètzel prence la donna. — E il tracotante
Su le ginocchia sue un’arma pose
Assai lucente. Assai lucente diaspro,
Verde com’erba, su l’elsa splendea.
150Che di Sifrido era quell’arma, tosto
Riconobbe Kriemhilde, e sì le venne,
Come la spada riconobbe, fiero
Desìo di pianto. Ed era l’elsa in oro,
E il fodero a ricami in cremisino.
155Ricordò a lei cotesto il suo dolore,
Ed ella a pianger cominciò. Che appunto
Per ciò fece tal cosa Hàgene ardito,
Io mi penso davver. Ma presso al banco
Trasse Volkero ardimentoso un suo
160Arco da giga, lungo e grande, pari
Ad una spada, acuto assai ed ampio.3
Così stavan seduti i due guerrieri,
Incliti, ed imperterrito è l’aspetto.
Così mostraro i due ardimentosi
165Che dal seggio levarsi ei per temenza
Di nessuno volean. L’inclita donna
Venne frattanto innanzi da’ lor piedi
E nemico saluto ad ambi offerse.
Hàgene, ed ella disse, ora mi dite
170Chi mai qui vi mandò, perchè da voi
Cavalcar si osi in questa terra? Eppure,
Ciò che a me feste, conoscete ancora.
Che se buon senso aveste voi, lasciare
Più giustamente dovevate voi
175Questo vïaggio. — Ed Hàgene rispose:
Niuno mandò per me. Tre cavalieri
Altri invitava a questa terra, ed elli
Signori miei si chiamano, e son io
De’ lor famigli, e dietro a lor rimaso
180In vïaggi di corte io non son mai.
Ditemi anche di più, disse colei,
Perchè mai feste cosa, onde mertato
Avete voi ch’io tanto v’odii? Morto
M’avete voi lo sposo mio diletto,
185Sifrido, e però sempre a lagrimare
Molto astretta son io fino alla morte.
Ed egli disse: E che più mai? Vi basti
Questa parola, ch’io son qui davvero
Quell’Hàgene che uccise un dì Sifrido,
190L’eroe, con le sue mani. Oh! quanto forte
Donna Kriemhilde ciò che disse a quella
Vaga Brünhilde in un alterco, espiava!
Senza menzogna, o nobile regina,
Dirvi poss’io che di tal danno grave
195Tutta ho la colpa. Or vendichi cotesto
Chi più lo vuole, od uomo o donna. Intanto,
Nulla niegar vogl’io; grave rancura
Davver! ch’io v’ho recata! — Ed ella disse:
Or, cavalieri, udite voi che nulla
200De’ miei dolori egli mi niega? Quale
Cosa ne avvenga poi, d’Ètzel gagliardi,
Poco davver mi preme. — E si guardaro
L’un l’altro allor gli eroi superbi e fieri.
Ma, per chiunque cominciasse allora
205L’assalto, sì accadere anche dovea
Che ad ambo que’ compagni4 alto doveasi
Rendere onor, chè molte volte assai
Bene oprato egli avean ne le battaglie,
E per temenza cosa che pensavano,
210Questi5 dovean lasciar. Così diceva
Un de’ gagliardi: A che mi riguardate?
Ciò che promisi in pria, sì vi ricuso,
Nè per doni d’alcun vogl’io la vita
Perdere. Sì davver! che alla rovina
215Tutti vuol trarci d’Ètzel re la donna!
E un altro disse dopo quello: Uguale
Consiglio è il mio. Mi doni altri castelli
D’oro fulgido e buono, e non per tanto
Di fronte a questo vo’ restar, di giga
220Suonator, per gli sguardi inver tremendi
Che in lui scoversi. Hàgene ancor conosco
Dai giovani suoi dì, sì che ben poco6
Anche dirmi potrìa di tal guerriero
Qualcuno qui. Già visto in venti pugne
225E in due pur anco io l’ho, dove rancura
Grave di cor si fea per donne assai.
Egli e quello di Spagna7 in molti entraro
Assalti insieme, là ’ve molte pugne,
Ad Ètzel presso, ei combattean per quello
230Onor del sire. Assai fïate accadde
Inver cotesto, e però vuolsi onore
Ad Hàgen tributar per giusto dritto.
Ed era allor cotesto cavaliere
Un fanciullo degli anni. Oh! come grigi
235Son fatti omai quei ch’erano garzoni
A quel tempo! A vigor di mente intègra
Ora egli è giunto ed uomo egli è superbo.
Anche Balmunga8 egli si porta, quale
Male assai s’acquistò. — Di cotal guisa
240Ei separârsi allor, che niuno assalto
S’ingaggiò. Fu cotesto aspro dolore
Che scese al cor della regina; e intanto
Gli eroi di là redìan; temean la morte
Dal sonator di giga, e la rovina
245Era per essi certa. Ecco! veduto,
Disse di giga il sonator, cotesto
Bene abbiam noi che qui nemici abbiamo,
Sì come già narrarci udimmo in pria.
E però dobbiam noi starci appo quelli
250Re nostri in corte, perchè niuno ardisca
A que’ nostri signori in guerra scendere.
Deh! quante volte per timor lasciava
L’uom varie imprese, tosto che si stette
Presso gli amici suoi, come alleato,
255Un fido amico! E s’egli ha fior di senno,
Di ciò non far non ha pensier. Difesa
Di molti al danno è veramente il senno.
Or io vi seguirò, Hàgen dicea. —
Andavano però là ’ve gl’illustri
260Principi ritrovâr starsi alla corte
In tutta pompa d’apparati. Allora,
Ardito assai, Volkero a’ suoi signori
Ad alta voce a dire incominciava:
E fino a quando qui starete, intanto
265Che vi lasciate da la folla opprimere?
Ir v’è d’uopo alla corte e intender quale
Intenzïon del prence sia. — Fûr visti
Accompagnarsi allora, arditi e buoni,
I cavalieri; e di Verona il prence
270Per mano si prendea Gunthèr possente
Della burgundia terra, ed Irnefrido
Prendea Gernòt, ardimentoso assai,
E fu visto Rüedgèr salire a corte
Con Giselhèr. Ma, di qual foggia mai
275Andassero accoppiati i cavalieri
A corte nel salire, in fino al tempo
Di lor morte, se togli un solo assalto,
Unqua non separârsi Hàgen, Volkero,
Indi nobili donne avean più tardi
280A piangere d’assai. Vedeansi intanto
Andare in corte co’ monarchi mille
Uomini arditi di lor scorta illustre,
E sessanta lor duci; essi con quelli
Eran venuti. Nella terra sua
285Questi prendea con sè Hàgene ardito.
Ed Hawardo ed Iringo, ambo trascelti
Prodi, vedeansi amicamente andare
Appo lor prenci, e Dancwarto con essi
E Wolfharto, guerrier nobile e grande,
290Quali fûr visti poi dinanzi agli altri
Bene adoprar lor pregi e lor virtudi.
Come venne al palagio il sir del Reno,
Ètzel possente non restò seduto
Lung’ora assai. Balzò dal seggio suo,
295Come il vide avanzar. Si bel saluto
Non mai da re si fece: Il benvenuto
Siate, o prence Gunthero, e benvenuto
Siate anche voi, sire Gernòt, e il vostro
Fratel Gislhero. Con ben ferma fede
300Il mio servigio a Worms, di là dal Reno,
Profferir vi fec’io. Ma benvenuti
Esser qui dènno ancor tutti cotesti
Vostri consorti. E benvenuti assai,
Voi due guerrieri, siete a noi, Volkero
305Assai prudente e sire Hàgen con lui,
A me, alla donna mia, in questa terra.
Ella sul Reno a voi mandò suoi messi.
Hàgene disse di Tronèga allora:
Io bene udii cotesto; e se venuto
310Qui non foss’io per que’ signori miei
Appo gli Unni, da solo in questa terra
Cavalcato sarei per farvi onore.
Il nobil sere i cari ospiti suoi
Prendea per mano e sì adduceali a quello
315Sedile in che sedea. Vino, idromèle,
E vin di more agli ospiti mesceasi
(E ciò si fea con cura) in ampie coppe
Splendenti d’oro, e si gridâr gli estrani
Benvenuti d’assai. Questo vogl’io,
320Re Ètzel disse allor, bene affermare
Che toccar non potea cosa più dolce
A me, pur anco a voi, prodi guerrieri,
In questa terra mai, di questo vostro
Venire a me. Gran duol però fu tolto
325Alla regina. E sì gran meraviglia
Prendemi ancora che mai vi fec’io,
Perchè cotanti ch’io già m’acquistava
Ospiti illustri, unqua pensier non ebbero
Di scender qui nella mia terra. Intanto,
330Perch’io v’ho visti, ciò è di me gran gioia.
E Rüedegero, cavalier magnanimo,
Così rispose: Volentier vederli
V’è d’uopo inver. Buona è lor fede ancora,
Quale i congiunti de la donna mia9
335Osservar ponno bellamente. Ed essi
Recanvi in casa molti eroi gagliardi.
A un solstizio, di sera, a quel palagio
D’Ètzel possente vennero i signori,
E raro assai di accoglienze sì grandi
340Ridir s’intese, come questi eroi
Ètzel accolse. Ed era tempo omai
Del mangiare, ed a mensa andava il sire.
Appo gli ospiti suoi più bellamente
Mai non si assise chi gli accolse. Dato
345Fu a quelli in copia di bevande e cibi,
Ivi apprestato era d’assai di tutto
Ch’elli volean. Si dissero di quelli
Eroi possenti meraviglie assai.