I Nibelunghi (1889)/Avventura Trentunesima
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Avventura Trentunesima
In che modo andarono alla chiesa
Freddo mi fanno queste maglie, disse
Volkero, e credo che non lunga ancora
Duri la notte a noi. Da l’aria fresca
Io sento già che presto farà giorno.
5E quelli1 intanto su destâr parecchi
Che anche giaceano addormentati. Allora
Agli ospiti in la sala apparve luce
Di mattino, e a destar tutti i gagliardi
Hàgen attorno incominciò, se andarne
10Ei volessero a messa al monastero,
E già, qual di Cristiani è legge ed uso,
Forte a sonar campane incominciavano.
E si cantava per diverso modo,
Sì che chiaro apparìa che non concordi
15Eran pagani e gente a Cristo addetta.
Voleano intanto di Gunthero gli uomini
Andarne al monastero; essi levati
Erano tutti da’ lor letti. I prodi
Con vesti s’avanzâr pompose tanto,
20Che cavalieri mai d’alcun monarca
Non portâr ne la terra e vesti e arnesi
Più ricchi e belli, e ad Hàgene cotesto
Fu cagione di duol, sì ch’egli disse:
Portar v’è d’uopo, eroi, ben altre vesti,
25E assai davver di qui son conosciute
Anco a voi le novelle. Ora alle mani
Armi per rose sì portar v’è d’uopo
E buoni elmi e lucenti per cappelli
Di gemme ornati. Di Kriemhilde fiera
30Bene l’alma ci è nota. E noi dovremo
Oggi pugnar, ciò dir vi voglio, e tosto
Vi sarà d’uopo di vesti di seta
Portar in loco usberghi e per mantelli
Vasti pavesi e buoni, onde, se alcuno
35Con voi si cruccia, pronti alle difese
Voi qui siate davver. Deh! miei signori,
Molto diletti a me, deh! voi pur anco
Miei congiunti e famigli, al monastero
Con pronta voglia assai irne dovete
40E ridir sospirando a Dio possente
Vostre cure ed affanni. Or certamente
Sappiate voi che morte s’avvicina.
Nè v’è d’uopo scordar ciò che voi feste,
E v’è d’uopo dinanzi andare a Dio
45Con fervore d’assai. Di ciò vogl’io
Ammonirvi, gagliardi cavalieri.
Se Iddio dal ciel non toglie, un’altra messa
Voi non avrete più. — Così ne andavano
Al monastero i prenci e lor famigli.
50Hàgene accorto dentro dal sagrato
Tutti li fe’ restar silenzïosi,
Perchè nessun si separasse. Nulla,
Ei si dicea, ben so che avvenir debba
Oggi per gli Unni a noi. Posate, amici,
60Le targhe innanzi a’ piedi, e se qualcuno
V’offre tristo saluto, il compensate
Con profonda ferita che dia morte.
Questo è d’Hàgen consiglio, onde si trovi
Che assai con lode sì vi comportate.
65Andavan ambo, ed Hàgene e Volkero,
Dinanzi a quella vasta cattedrale,
E ciò si fea per essi e ciò voleano
Saper di certo se del re la donna
Sarìa sforzando presso a lor passata,
70E grave cruccio stava in lor. Venìa
Il signor della terra e venìa seco
La leggiadra sua donna, e la persona
D’ardimentosi cavalier che seco
Avanzar si vedean, tutta di ricche
75Vesti era adorna. Anche levarsi in alto
Fu veduta la polvere, da quello
Di Kriemhilde corteggio. Allor che sire
Ètzel possente così armati scorse
Re Gunthero e i famigli, oh! con qual forza
80Di baldanza gridò: Perchè vegg’io
Venir gli amici miei con loro elmetti?
Per la mia fè, ciò m’è dolor, se alcuno
Qualche offesa lor fe’! Ma vendicarli
Volentieri degg’io, perchè cotesto
85Buono lor sembri. Che se alcun gli offese
Dell’anima o del cor, che ciò ben grande
Mi fu dolore, asseverar vogl’io.
A tutto ch’ei vorranno, io qui son pronto.
Hàgene rispondea: Nulla nessuno
90Anche ci fece. D’esti miei signori
Tale è costume ch’a ogni festa intorno
Vadano armati a tre giorni compiuti.
Che se alcun ci facesse alcuna offesa,
Ad Ètzel il diremmo. — Oh! come bene
95Ciò che Hàgene dicea, Kriemhilde intese,
Oh! come riguardò degli occhi suoi
Nimicamente a lui! Ma qual costume
Di sua terra si fosse, ella ridire
Allor non volle, e quanto da gran tempo
100Hàgene avesse appo i Burgundi visto.
Che se, per quanto a lui nemica fosse
Ferocemente, veritiera cosa
Ad Ètzel detta avesse alcuno, a quello
Che ivi poscia accadea, posto egli avrìa
105Valevole difesa. Or, per orgoglio
Forte di sè, nessuno a lui ciò disse.
Grande allora venìa con la regina
La folla, non però trarsi più lungi,
Quanto due braccia, voleano que’ due.2
110Ciò fu agli Unni rancura, e la regina,
Con tutti buoni cavalieri suoi,
Passar dovè sforzando. Oh! buona cosa
D’Ètzel ai paggi non sembrò cotesto,
E volentier di que’ gagliardi l’ira
115Destata avrìan, se innanzi al nobil sire
Tanto ardire si avean. Grande affollarsi
E spingere fu allor, nè più di tanto.
Poi che a Dio fu servito e già voleano
Indi partirsi, rapidi venièno
120A’ lor cavalli molti Unni guerrieri;
Molte leggiadre ancelle appo Kriemhilde
Stavano, e dietro a lei ben settemila
Cavalier cavalcavano. Sedea
Con sue dame Kriemhilde a una finestra
125Presso ad Ètzel possente, e dolce assai
Gli fu cotesto. I prodi eroi cortesi
Mostrar voleano a lui torneamenti.
Deh! quanti innanzi a lui stranieri prodi
Per quella corte cavalcâr! Venuto
130Anche era allora co’ famigli suoi
Dancwarto connestabile, avveduto,
Quale con sè de’ suoi signori avea
De’ Burgundi dal suol menati e addotti
E famigli e consorti. Or, già sellati
135Là si trovâr de’ Nibelunghi arditi
I palafreni. E come accanto ei vennero
A’ lor cavalli, principe e famigli,
Volkèr gagliardo incominciò cotesto
A consigliar, perchè giostrar dovessero
140Conforme ad uso di lor terra. Assai
Con pompa allor si cavalcò da quelli
Ardimentosi, chè, qual cosa il prode
Lor consigliasse, non spiacea davvero.
Ambo fûr grandi allor tumulto e strepito,
145E nella corte vasta assai discesero
Uomini molti, e al riguardar principio
Ètzel fece e Kriemhilde. Ecco, alla giostra
Venìan seicento eroi, i valorosi
Di Dietrico, di contro agli stranieri,
150E sì volean con que’ Burgundi alcuno
Aver sollazzo in armi; e se concesso
Avesse ciò Dietrico, ei volentieri
Fatto cotesto avrìan. Deh! quanti buoni
Cavalieri venìan con tal desire!
155E ciò fu detto a re Dietrico, ed ei
Di Gunthero con gli uomini vietava
Dell’armi il giuoco. Egli temea pe’ suoi,
Chè incolto sì gli avrìa rancura certa.
Poi che di là cotesti di Verona
160Andavano così, vennero innanzi
Da l’ostello regal que’ di Rüedgero
Da Bechelara, cinquecento, e sotto
A’ lor pavesi. Dolce cosa intanto
Era cotesta pel margravio, allora
165Che ciò evitato avessero, e con molta
Accortezza però tra le lor schiere
Ei si cacciò, gridò a’ gagliardi suoi
Per che consci di tanto elli restassero
Che corrucciati eran dell’alma assai
170Gli uomini di Gunthero. Or, se la giostra
Volean egli lasciar, di lui cotesto
Fatto sarìa qual per amore. Tosto
Che dilungâr que’ valorosi e buoni,
Vennero quelli, come a noi si disse,
175Di Turingia, ancor quei di Danimarca,
Attorno a mille, ardimentosi. Molti
Volar fûr visti, ai poderosi colpi,
Tronconi d’aste. E cavalcare in giostra
Irnefrido et Hawardo, e quei del Reno
180Sì gli attendean superbamente assai,
Indi colpi sferrâr molti a cotesti
De la turingia terra. Ecco! da punte
Fûr traforate molte ricche targhe.
Con tremila de’ suoi re Bloedelino
185Venìa frattanto, ed Ètzel e Kriemhilde
Bene assai il vedean, chè innanzi ad ambo
Là si fea l’armeggiar de’ cavalieri,
E la regina di giocondo core,
De’ Burgundi pel duol, mirò a cotesto.
190Or Scrutano e Gibèche entro la giostra
Cavalcando venìan, Ramungo e Hornbòge,
Qual degli Unni è costume. E tenean fermo
Contro agli eroi della burgundia terra,
E volavano schegge alte più assai
195Delle pareti del reale albergo.
Ma, per qual cosa altri facesse, nulla
Era fuor che fragor. S’udìan per quelli
Uomini di Gunthero alto d’assai
Sale e palagio risuonar di colpi
200Dati agli scudi, e que’ consorti suoi
Grande, con lode, ebbero onor. Sì grande
E si fiero il giostrar, che in bianche spume
Scorrea sudor da le gualdrappe fuori
De’ palafreni buoni e valorosi
205Che gli eroi cavalcavano. Con fiero
E superbo costume ei comportârsi
Dinanzi agli Unni. Disse allor Volkero,
Il menestrello sonator di giga:
Credo che opporsi a noi non oseranno
210Cotesti prodi. Ma poichè già intesi
Questo ridir che nosco ei son crucciati,
Miglior di questo non potrìasi mai
Altro istinto incontrar. — Nostri destrieri,
Volkero aggiunse, adducansi agli alberghi,
215Chè di là poi cavalcheremo a sera,
Come tempo sarà. Forse che lode
A’ Burgundi darà la regal donna?
Ma con tal pompa ei videro cotale
Cavalcando venir, quale nessuno
220Mai fra gli Unni spiegò. Forse del core
Avea costui la donna amante assisa
Del castel su la loggia, onde venìa
Ben vestito così, come la sposa
D’un cavalier. Volkero disse allora:
225Come lasciar potrei cotesto? Un colpo
Abbiasi intanto il vagheggin di donne!
Niuno evitar potrà tal cosa, e intanto
Va la sua vita, ed io già non mi curo
S’anche s’adira d’Ètzel re la donna.
230No, no, per l’amor mio! disse Gunthero.
Se primi assaltiam noi, di ciò le genti
Faranno a noi rampogna! E voi lasciate
Che dìan gli Unni principio, e ciò fia meglio.
Anche si stava presso la regina
235Ètzel prence seduto. Ora l’assalto
Accrescere vogl’io, Hàgene disse.
Veggan le donne e veggano i gagliardi
Di qual mai foggia cavalcar sappiamo;
Questo a buon fine si farà. Davvero!
240Che di prence Gunthero a nessun prode
Encomio qui si dà! — Volkero ardito
Ritornò allora nella mischia, e grande
Di molte donne poi fu doglia e affanno,
Ch’egli a l’Unno pomposo trapassava
245L’asta per la persona, e furon viste
Donne e fanciulle lagrimar di tanto.
Con impeto d’assai Hàgene allora
E quegli uomini suoi, con suoi guerrieri
Sessanta, accanto al suonator di giga
250Cavalcando venian, là ’ve accadea
Il fero gioco. Ed Ètzel e Kriemhilde
Vedean cotesto chiaramente. Or quelli
Re di Borgogna senza aita il loro
Di giga suonator presso a’ nemici
255Non vollero si stesse, e là da mille
Gagliardi e prodi con destrezza assai
Si cavalcò. Ciò ch’ei volean, con molto
Fiero costume fecero que’ prodi.
Ratto che di tal foggia fu colpito
260L’Unno pomposo a morte, i suoi congiunti
Piangere e lagrimar s’inteser tutti,
E dimandava ogni famiglio: Oh! dunque
Chi fe’ cotesto? — Il fe’ Volkero ardito,
Il menestrello, suonator di giga.
265Alle spade, agli scudi alto gridavano
Dell’ucciso margravio i consanguinei,
Là, in la terra degli Unni. Ei sì voleano
Volkèr battere a morte, e cominciava
Da sua finestra l’ospite signore
270A togliersi con duol. Da tutte parti
Clamor levossi di contrarie genti,
E là scendea, dinanzi da la sala,
Co’ suoi consorti il re.3 Lor palafreni
Gli uomini di Borgogna a dietro spinsero,
275Ed Ètzel re sorvenne. Incominciava
Il nobil sire la contesa a sciôrre.
Egli fra gli Unni ad un congiunto suo,
Quale accanto gli stava, di man tolse
Un’arma forte assai. Tutti a l’indietro
280Cacciò con quella, che ben grande in lui
Era lo sdegno. Oh! come dunque, disse
Ètzel, tal merto ch’ebbi in miei servigi
Appo cotesti eroi, perder dovrei?
Male fatto sarà, se a me daccanto
285Il menestrello trucidate! Assai
Bene vid’io com’ei si cavalcava,
Quando l’Unno colpì. Senza sua colpa
Accadde, a l’inciampar del palafreno.
Or sì v’è d’uopo questi ospiti miei
290Lasciar tranquilli. — Ed ei fu guida agli ospiti,
E lor destrieri a le stalle adduceva
Altri intanto, e vi avean molti famigli,
Che a lor servigi si apprestâr con cura.
L’ospite sire con gli amici suoi
295Andavano al palagio. Ei non volea
Che maggior si facesse ira d’alcuno,
E fûr poste le mense e fu recata
L’acqua alle mani. Ma nemici forti,
Forti d’assai, quelli del Reno aveano.
300Lungo indugio fu allor, pria che seduti
Fossero i prenci, e di Kriemhilde intanto
Forte la cura lei crucciava. Disse:
O signor di Verona, il tuo consiglio
Ora chiegg’io, cerco favore e aita.
305L’animo mio si sta in angoscia! — A lei
Hildebrando rispose, un cavaliero
Degno di lode: Ove qualcuno uccida
I Nibelunghi di regal tesoro
Per alcuno desìo, farà cotesto
310Senz’aita di me. Male toccargli
Potrìa davver! Non vinti anche si stanno
I buoni cavalieri ardimentosi.
Conforme al suo sentir, così parlava
Prence Dietrico: La preghiera vostra
315Lasciate omai, possente mia regina.
Nulla di male esti congiunti tuoi
Feano a me, perch’io voglia incontro ai prodi
Starmi in battaglia. E poco assai ti onora,
Donna di prence nobile d’assai,
320La tua preghiera, perchè tu alla vita
De’ tuoi congiunti ordisca insidie. Ei vennero
Con tutta fede in questa terra. Intanto,
Mai non avrà per mano di Dietrico
Sifrido tuo la sua vendetta. — Allora
325Ch’ella così nel sire di Verona
Fede nessuna rinvenìa, promise
Ratto, a l’istante, in man di Bloedelino
L’ampia contrada che Nudungo un giorno
Ebbe in possesso. Ma poichè l’uccise
330Dancwarto, ei scordò poi l’offerto dono.
Ella intanto dicea: Bloedelin sire,
Or tu m’aita. E sono in questa casa
Li miei nemici, quei che morto un giorno
M’hanno Sifrido, sposo mio diletto.
335A chi m’aita a vendicarlo, sempre
Devota mi terrò. — Sappiate, o donna,
Bloedelin rispondea, questo sappiate,
Ch’io già non oso innanzi ad Ètzel sire
Male ad alcuno ordir per odio, ch’ei
340Volentieri d’assai li tuoi congiunti
Vede contenti. E s’io facessi alcuna
Offensïone a lor, d’essa non mai
Perdono avrei dal mio signore. — Disse:
No, no, Bloedelin sire! Io tutto il tempo
345Devota a te sarò. Darò in compenso
Argento ed oro ed una sposa ancora,
Vaga, la donna di Nudungo. Quella
Persona sua piena d’amor potrai
Accarezzar di molta voglia. Ancora,
350Oltre a’ castelli, tutta la contrada
Io ti darò. Così, con molta gioia,
Nobile cavalier, sempre potrai
Menar tua vita, quando la contrada
T’acquisti ove Nudungo abitò un giorno.
355Io questo, che oggi ti prometto, assai
Con fede osserverò. — Come quel premio
Intese prence Bloedelino, intanto
Che sì gli piacque in sua beltà colei,
Per assalti credè prestar servigio
360Alla donna amorosa. E per cotesto
Perder la vita il cavalier dovea.
Alla regina ei disse: Or vi rendete
Alla sala. Assai pria ch’altri s’avveda,
Una contesa desterò. La pena
365Di ciò che fece, Hàgene porti. Lui,
L’uom di prence Gunthero, a vostre mani
Legato affiderò. — Ma voi frattanto,
Uomini miei, soggiunse Bloedelino,
V’armate! A’ loro ostelli esti nemici
370Assaliremo. D’Ètzel re la donna
Questo a me non condona, e tutti noi
Come gagliardi espor dobbiam la vita.
E la regina, come in questa voglia
Bloedelino lasciò d’assalti e pugne,
375Con Ètzel sire e con gli uomini suoi
Venne alla mensa. Agli ospiti ella ordìa
Tradimento crudel. Poi che l’assalto
Non potea d’altra guisa incominciarsi
(A Kriemhilde nel cor l’antico duolo
380Era sepolto), ella indicea che fosse
D’Ètzel il figlio a quella mensa addotto. —
Come potea di più orribile guisa
Donna operar per sua vendetta? — Allora
Uomini quattro d’Ètzel re venièno.
385Recavan elli Ortlieb, il giovin prence,
Alla mensa del re, là ’ve assidea
Hàgen pur anco. D’Hàgen per mortale
Odio dovè perir l’infante regio.
Ma poichè il figlio suo quel re possente
390Così vedea, con un dolce atto a’ suoi
Cognati disse: Ora vedete, amici!
L’unico figlio mio gli è questo; ancora
Egli è il figliuol di vostra suora. Tutti
Siate voi lieti per cotesto. E un giorno,
395Se alla sua stirpe ei crescerà conforme,
Uom prode si farà, nobile assai,
Possente e forte ed aitante. A lui
Dodici terre anche darò s’io viva;
Così, d’Ortlieb garzone un dì vi possa
400Servir la mano. Ond’io vi prego, amici
Miei, di gran core, perchè allor che a dietro
Vi tornerete al Reno in vostra terra,
Di vostra suora piacciavi il figliuolo
Con voi menare; anche potrete voi
405Assai favore a questo garzoncello
Addimostrar. Fin ch’egli un uom si faccia,
L’allevate ad onor. Che se qualcuno
Qualche offesa vi fe’ in vostre contrade,
A vendicarla egli v’aiti, allora
410Che sua persona sia cresciuta. — Questa
Parola udìa Kriemhilde ancor, la donna
D’Ètzel monarca. Ed Hàgene rispose:
E questi eroi confideranno in lui,
Com’egli cresca ed uomo sia. Ma il giovane
415Prence alla morte è destinato. Assai
Poche volte davver vedrammi alcuno
Andare in corte a prence Ortlieb. — Un guardo
Volse ad Hàgene il re, chè di dolore
Cagion gli fu di quello il motto; e ancora
420Che il nobil prence per cotesto nulla
Dicesse, il cor di lui ne fu turbato
E l’alma sua ne andò crucciosa. Male
A quella festa s’addicea la trista
D’Hàgene volontà. Così fe’ a tutti
425I prenci doglia, a lor sire pur anco,
Questo che Hàgen dicea del garzoncello
Tristo presagio, e fastidiosa cosa
Era per loro il sopportar. Nessuno
Le novelle sapea di ciò che poi
430Appo que’ forti cavalieri accadde.