I Nibelunghi (1889)/Avventura Diciassettesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Diciassettesima
Avventura Sedicesima Avventura Diciottesima

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Avventura Diciassettesima

In che modo Kriemhilde pianse il suo sposo e come egli fu sepolto


     Elli aspettâr fino alla notte e il Reno
Indi passâr. Non si potea da eroi
Di peggior guisa aver cacciato, e quella
Nobile fiera che atterrâr, fu pianta
5Da donne illustri poi. Scontar di tanto
Dovetter poscia molti eroi valenti
Dovuta pena. — D’un’audacia grande,
D’orribile opra di vendetta, voi
Udir dovete favellar. — Fe’ cenno
10Hàgene allora di portar l’estinto
Sifrido, nato in suol de’ Nibelunghi,

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Là da presso a le stanze ove Kriemhìlde
Rinvenir si potea. Secretamente
Ei fe’ appostarlo prossimo a la porta,
15Perchè là il ritrovasse ella nel tempo
Che per la messa mattutina uscìa,
Pria che spuntasse il dì, chè ciò di rado
Omettere solea donna Kriemhilde.
     Alto sonò, com’era consüeto,
20La squilla al monastero, e molte ancelle
Donna Kriemhilde, la leggiadra e vaga,
Destava intanto. Volle si recasse
Una lampada a lei con le sue vesti,
Quando un famiglio suo di là passava
25Dove Sifrido ei ritrovò. Di sangue
Tinto egli ’l vide, e n’eran molli tutte
Le vestimenta ancor, ned ei conobbe
Ch’era pur quello il suo signor. La lampa
Ei di sua man recava entro a le stanze,
30Quella, per cui donna Kriemhilde s’ebbe
Annunzio molto doloroso. Allora
Ch’ella volea con quelle ancelle sue
Andarne al monastero: Or v’arrestate,

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Disse il famiglio. Presso de la stanza
35Si giace un cavalier colpito a morte.
     Senza modo o ragion, pietosamente
Incominciava a piangere Kriemhilde.
     Prima che veramente ella cercasse
S’era quello il suo sposo, alla dimanda
40A pensar cominciò che Hàgen le fea,
Di qual mai foggia egli potea guardarlo
Da ogni periglio e questo fu primiero
Dolor che la toccò. Così da lei
Ogni gioia quaggiù si ripudiava
45Per la morte del prode. A terra cadde
E nulla disse, e là giacersi allora
Altri vedea la vaghissima donna
Senza conforto. Di Kriemhilde i lai
Fûr di là da misura alti e dolenti,
50Ch’ella in tal guisa, al tornar de la mente,
Gridò, che n’echeggiâr le stanze tutte.
     I famigli dicean: Che dunque, un ospite
S’egli è? — Ma il sangue da la bocca uscìa
A lei, del core per lo schianto, ed ella:
55Sifrido egli è, dicea, l’uom che m’è caro!

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Ciò consigliò Brünhilde e ciò compìa
Hàgen per lei! — Si fe’ condur la donna
Là dove il prode ritrovò. La bella
Testa ne sollevò con le sue mani
60Bianchissime, e di sangue anche se tinto,
Ella ratto il conobbe. Ecco, giacca
Miseramente assai l’eroe gagliardo
Del suol de’ Nibelunghi, e con gran doglia
Così gridava la regina, lei
65Di cuor sì dolce: Ahimè! pel mio dolore!
Ed è qui la sua targa e non di spada
Ell’è forata, e tu cadesti ucciso.
Deh! s’io saprò chi fe’ cotesto, sempre,
Sempre di lui starò ad ordir la morte!
     70E piangeano e gemean tutti i famigli
Con la lor donna cara; aspro dolore
D’essi era questo per il nobil sire
Che perduto elli avean. Forte davvero
Hàgen lo sdegno di Brünhilde avea
75Vendicato così. La dolorosa
Diceva intanto: Di qui andar dovete
Di Sifrido a destar subitamente

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Gli uomini tutti. A Sigemundo ancora
Il dolor mio direte voi, s’ei pure
80Vuol darmi aita a piangere del prode
Suo Sifrido la morte. — Andava il messo
Rapido là 've gli uomini rinvenne
Giacersi, di Sifrido i valorosi,
Del suol de’ Nibelunghi. Egli lor gioia
85Così togliea col tristissimo annunzio,
E quelli non volean, fin che s’udiro
Pianti e lamenti, dargli fede. Ancora
Andava il messo concitato al loco
Ove il sire giacea. Non anche il sonno
90Principe Sigemundo aveasi preso,
Ch’io credo che il suo cor gli predicesse
Ciò che gli accadde. Ei non dovea più mai
Vivo mirar quel figlio suo diletto.
     Su, vi destate, prence Sigemundo!
95Volle Kriemhilde donna mia ch’io tosto
Qui venissi per voi. Le è dato affanno
Quale a voi pur, dinanzi ad ogni doglia,
Al core scenderà. Ciò v’è ben d’uopo
Aitar altri a piangere, chè voi

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100Tocca vicino assai. — Rizzossi allora
Sigmundo e disse: Che son mai gli affanni
Di Kriemhilde leggiadra, onde tu meco
Parola festi? — E il messaggier rispose
Col pianto: Oh! non poss’io questo celarvi!
105Certo che ucciso è il re di Niderlande,
Sifrido ardimentoso! — Oh! lascia, lascia
Questo gioco, dicea prence Sigmundo;
Lascia pel cenno mio queste novelle
Triste cotanto, per che voi diciate
110Ad alcun ch’egli è ucciso. Io penso e credo
Che cessar non potrei, fino alla morte,
Di piangerlo. — Se a me, per quel che a dire
M’udite qui, voi creder non volete,
V’è d’uopo udir, voi stessi, di Sifrido
115Pianger la morte Kriemhilde e con lei
I famigliari tutti. — Alto sgomento
Sigemundo n’avea. Di ciò il toccava
Alta rancura, e tosto dal suo letto
Egli balzò con cento de’ suoi fidi.
120Questi in man si togliean le lunghe e acute
Armi rapidamente e dietro a’ pianti

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Correan con molta doglia. Anche venièno
Mille guerrieri, gli uomini fidati
Del pro’ Sifrido. Alcuni allor, che piangere
125Udîr le donne di sì fiera guisa,
Pensâr ch’elli dovean pigliar le vesti,
Ma non potean, per l’improvvisa doglia,
Lor mente governar. Grave d’assai
Era discesa in core a lor l’ambascia.
     130Re Sigemundo là ne andava intanto
Ove Kriemhilde ritrovò. Dicea:
     Ahimè! per tal vïaggio in questa terra!
E chi mai di tal guisa orrida e fera,
Presso d’amici buoni tanto, voi
135Orbar potè del vostro dolce sposo
E me del figlio mio? — Deh! s’io potessi
Conoscerlo, dicea l’inclita donna,
Nè di persona, nè di cor più mai
Benigna gli sarei! Tale un affanno
140Io gli ordirei, che piangerne per sempre
Dovrìan gli amici suoi per mia cagione!
     Re Sigemundo in braccio si togliea
L’estinto prence, e così grande allora

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Fu degli amici suoi la doglia acerba,
145Che al fiero lamentar stanza e palagio
E di Worms la città pure a l’intorno
Di quel pianto echeggiava. Oh! ma nessuno
Consolar di Sifrido la dolente
Sposa potea! Fuor da le vesti intanto
150Altri del sire la bella persona
Poi ch’ebbe tolta, ne lavò le piaghe
E l’adagiò sovra un ferètro; e quello
Di gran pianto fu doglia alle sue genti.
     Dissero allora que’ gagliardi suoi
155Del suol de’ Nibelunghi: Ecco, lui sempre
Vendicherà con ferma volontate
La nostra mano. Chi ciò fea, si cela
In questo borgo. — E correvano a l’armi
Gli uomini tutti di Sifrido. Vennero
160I prodi eletti con pavesi, ed erano
E mille e cento eroi. Prence Sigmundo
Aveano a capo di lor schiera, ed ei
Volea di gran desìo punir la morte
Del figlio suo; di ciò debito vero
165Forte il toccava. Ma di quelli alcuno

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Anche non conoscea contro chi mai
Dovea starsi pugnando e se cotesto
Ei far dovean contro Gunthero e contro
Gli uomini suoi, chè principe Sifrido
170Con essi a caccia cavalcò. Li vide
Kriemhilde in armi, e ciò le fu dolore
Grave d’assai. Ben che fiera la doglia
E grave fosse la rancura, forte
Ella temea de’ Nibelunghi suoi,
175Del fratel suo per gli uomini, la morte,
E in mezzo venne ad impedir. Con dolci
Parole gli ammonìa sì come fanno
I dolci amici ai loro amici. Disse
La donna ricca di sventure: O mio
180Signore Sigemundo, a qual mai cosa
Volete voi per mano? E non è il vero
A voi ben noto. Principe Gunthero
Ha molti prodi valorosi, e tutti
Vi perderete voi se con cotesti
185Gagliardi e fieri contrastar bramate.
     Era in essi desìo della battaglia,
Mentre alzavan gli scudi. Oh! ma pregava

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La nobile regina, anche ingiugnea
Che dovesser cotesto i valorosi
190Prodi evitar; perchè lasciar l’impresa
Ei non volean, ciò fu dolor per lei
Vero, ch’ella dicea: Prence Sigmundo,
Tal disegno lasciate in fin che meglio
Ciò convengasi a noi. Soltanto allora
195Vendicherò con voi lo sposo mio,
Per sempre. E se di tanto io sarò certa,
A chi a me lo rapì, d’alta rovina
Io cagione sarò. Qui, presso al Reno,
Molto v’ha di spavaldo, e non vogl’io
200Consigliarvi per ciò scontri e battaglie.
Contro un solo di noi trenta gagliardi
Hanno costoro. Faccia Iddio che tale,
Quale mertâr, tocchino il fine! Intanto
Voi restar qui dovete e qui con meco
205Quest’angoscia portar. Tosto che aggiorni,
Voi, cortesi campioni, il mio diletto
Sposo a por m’aitate in sepoltura. —
Ciò sarà fatto, rispondean gli eroi.
     Non potrìa dirvi alcuno interamente

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210Meraviglia di ciò, di qual mai guisa
Udîrsi allora cavalieri e donne
Piangere e lagrimar, sì che la gente
Ebbe sentor di lamenti e di lai
Anche per la città. Venìan correndo
215I cittadini illustri. Ei con gli estrani
Piangean, chè forte era di lor l’angoscia,
E niuno intanto lor dicea ragioni
Di Sifrido, perchè perder sua vita
Dovesse il nobil prence. Anche il piangeano
220De’ buoni cittadini insiem le spose
Con quelle ancelle di Kriemhilde. Intanto
A’ fabbri s’indicea d’accorrer tosto,
D’oro e d’argento, molto forte e grande,
Un’arca ad apprestar. Forti cerniere
225D’acciaio ch’era buono, anche s’indissero,
E l’alma intanto de le accolte genti
Era di tanto dolorosa e mesta.
     Passata era la notte e si dicea
Che fra poco aggiornava. Al monastero
230La nobil donna di recar fe’ cenno
Prence Sifrido, l’uom diletto assai.

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Deh! che fûr visti accorrere piangenti
Quanti amici egli avea! Come portato
L’ebbero al monastero, ecco che assai
235Sonâr campane, e d’ogni parte udîrsi
Molti preti cantar. Venne pur anco
Co’ suoi gagliardi re Gunthero, ancora
Hàgen feroce a tanto affanno corse.
     Disse Gunthero: Dolce mia sorella,
240Oh! qual dolore il tuo, perchè noi tutti
Evitar non potemmo il grave danno!
Sempre, deh! sempre piangeremo noi
Di Sifrido la vita! — E ciò voi fate
Senza ragion, dicea la dolorosa.
245Che s’era in voi dolor di tanto, tanto
Accader non potea. Voi m’oblïaste
(Questo affermar degg’io), quand’io per sempre
Fui separata dal mio dolce sposo.
Dio volesse (Kriemhilde soggiungea)
250Che ciò a me fosse fatto! — E lor menzogna
Forte quei sostenean. Kriemhilde allora
Incominciò: Quale di voi si estima

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Scevro di colpa, ciò veder ne faccia.
Egli innanzi a la gente e presso all’arca
255Vada, perchè ciascun per via spedita
Intenda ratto il vero. — Un gran prodigio
È questo, e ben sovente accade ancora
Che ove qualcuno appo l’estinto vegga
L’omicida, fan sangue le ferite.
260Anche allora ciò avvenne, e però vista
Fu in Hàgene la colpa. Assai di sangue
Mandâr le piaghe più che in pria non fêro,
E più grande fu il duol di chi piangea
Sì forte in pria. Ma re Gunthero disse:
     265Io vo’ che questo voi sappiate. Lui
Hanno ucciso ladroni, e ciò non fece
Hàgene mai. — Ben noti, ella dicea,
Sono a me que’ ladroni. Oh! voglia Iddio
Ciò vendicar, ciò vendichi la destra
270De’ suoi amici. O Hàgene e Gunthero,
Questo faceste voi! — Fiero un desìo
Avean di pugna i forti di Sifrido,
Ma Kriemhilde dicea: Di ciò con meco
Avete voi necessità. — Sen vennero

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275Là ’ve trovar l’estinto, ambo cotesti,
Gernòt, fratello di Kriemhilde, e ancora
Giselhèr giovinetto. Ei veramente
Piangean con gli altri il prode, elli nell’intimo
Piangean l’uom di Kriemhilde. Ora la messa
280Dovea cantarsi, e d’ogni parte intorno
Corsero al monastero e donne e infanti
Ed uomini con essi; anche chi poco
Avea danno in cotesto, il pro’ Sifrido
Allor piangeva, e Gernòt e Gislhero
285Così dicean: Sorella mia, se questo
Esser debbo così, dopo la morte
Di lui ti racconsola, e noi di tanto
Vendicarti vogliam per tutto il tempo
Che vivrem noi. — Ma niuno il suo conforto,
290In tutto il mondo, render le potea.
     A mezzodì fu l’arca preparata,
E tosto da la bara ove giacea,
Egli fu tolto. E non volea la donna
Lasciarlo seppellir, sì che gran doglia
295Di tanto aver dovean le genti tutte.
Ma, poscia, avvolto in ricchissimo drappo

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Fu il prence estinto. Credo che nessuno
Là si trovò che non piangesse. Ancora
Ute piangea di cuore, inclita donna,
300E tutti insieme i famigliari suoi
Piangean con lei quella persona bella.
Come si udì che là, dal monastero,
Cantavasi e che il prode iva rinchiuso
Entro quell’arca, un affollar di genti
305Si fece tosto. Oh! quante, per suffragio
Dell’alma sua, portârsi offerte! Egli ebbe,
Oltre a’ nemici, buoni amici assai.
     E Kriemhilde tapina a le sue ancelle
Così dicea: Quei che a lo sposo mio
310Aveano amore e sono a me benigni,
Dènno rancura sopportar per questo
Amor di me. Per l’alma di Sifrido,
L’oro di lui dividasi frattanto!
     Se v’era alcun fanciullo, anche piccino,
315Che intendimento aver potea, venirne
Eragli d’uopo a far l’offerta. Oh! prima
Che fosse il prode in sepoltura, assai
Più che cento cantavansi in quel giorno

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Messe per lui. Assembramento grande
320D’amici v’era di Sifrido. Allora
Che fu cantato, si levò la gente
Di là d’un tratto, e così disse donna
Kriemhilde: In questa notte, oh! non lasciatemi
Da sola qui vegliar quest’uomo eletto
325E valoroso. È posta ogni mia gioia
Nella persona sua. Vogl’io ch’ei resti
Qui tre notti e tre giorni, ond’io mi sazi
Di contemplar lo sposo mio diletto
A me cotanto. E vorrà Iddio che morte
330Me ancor si prenda, e finirà ogni doglia
Di me Kriemhilde poveretti allora!
     La gente di città si ritornava
Alle sue case, ma volea colei
Che sacerdoti e monaci restassero
335Co’ famigliari suoi, perch’ella intanto
Cura si avesse dell’eroe. Ben trista
Ebber la notte e fastidioso assai
Il dì con essa, chè a quel loco molti,
Senza mangiare e senza ber, si stettero.

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340Eppure, altri fe’ noto a chi volea
Prendersi cibo, che in gran copia dato
Altri gli avrìa, che questa di Sigmundo
Era la cura. Gran travaglio intanto
Ai Nibelunghi si fe’ noto allora.
     345Per quello spazio di tre dì, cotesto
Così udimmo narrar, quanti sapeano
Canti da chiesa, molte a sopportare
Avean fatiche; oh! quante a lor si diêro
Copiose offerte! E ricco divenìa
350In bastante misura ognun che assai
Era meschino, e quanti si rinvennero
Poverelli a l’intorno, essi che nullo
Avean possesso, altri chiamò al divino
Sacrifizio con l’or che si ritrasse
355Del morto sire dal tesoro. Vivere
Di più non gli è concesso, e però intorno
Molti fûr dati per l’anima sua
Marchi a migliaia. Ancora, in quella terra,
Di campi concedea la nobil donna
360I proventi e spartìa là ’v’eran genti
Povere e monasteri. Anche danari

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E di vesti gran copia a’ poverelli
Data fu in dono. Ella così mostrava,
Chiaro mostrava che al diletto sposo
365Fido pensier serbò. Ma nel mattino
Che fu terzo, e nel tempo che si cantano
Messe, dinanzi al monaster, di genti
Di quella terra che piangeano assai,
L’ampio sacrato si fe’ pieno. A lui
370Così servìan, dopo la morte sua,
Come suol farsi per diletti amici.
     Ne’ quattro giorni, così allor fu detto,
A’ poverelli, per l’alma di lui,
Marchi fûr dati, e forse più d’assai,
375A trentamila, e la sua gran beltade
E la persona là giaceasi in terra
Qual spregevole cosa. Allor che a Dio
Fu servito e compiessi ogni cantare,
Con immenso dolor là s’affollava
380Molto popolo intorno; e si fe’ cenno
Di portar ne la fossa il prence estinto
Fuori del monastero, e chi da lui
Non volentier si separava, a piangere

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E a lamentar fu visto. Alto gemendo
385Il popolo n’andava appo l’estinto,
E niuno inver, non uom, non donna, allegro
Là si mostrò. Fu letto e fu cantato
Pria che quel forte in sepoltura andasse;
Oh! quanti a quell’avello erano intorno
390Buoni cherci affollati! Or, pria che giungere
Di Sifrido la donna a quella tomba
Così potesse, con sì gran dolore
Ebbe a lottar quel corpo suo fedele,
Che del fonte più volte a lei sul viso
395Furon l’acque spruzzate. Era ben forte,
Grande soverchio, quell’angoscia sua,
E alto prodigio fu davver che i sensi
Potesse ricovrar. Molte là presso
Erano ancelle sue, piangenti e triste,
400E la regina così disse: Voi,
Uomini di Sifrido, a me dovete
Sola una grazia per la fede vostra!
Deh! concedete che piccola gioia
Dopo il mio duol mi tocchi, ond’io quel suo
405Leggiadro capo anche una volta miri!

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     Sì lungamente ella pregò con forte
Sentimento di duol, che la pomposa
Arca infranger fu d’uopo, e là fu addotta
Ove giacente il ritrovò costei,
410Sua sposa, che levò fra le bianchissime
Mani quel capo sì leggiadro. Un bacio
Ella diè ancora al nobil cavaliero,
Morto così. Que’ fulgid’occhi suoi
Piansero per dolor stille di sangue.
     415Ma doloroso il separarsi avvenne.
Altri di là via la condusse, ed ella
Camminar non potea; priva di sensi
L’inclita donna fu veduta, e a morte
Parea ceder dovesse in tant’angoscia
420Quell’avvenente sua persona. Ratto
Che fu sepolto il nobil sire, chiaro
Si vide allora immenso duol menarne
Quanti de’ Nibelunghi eran venuti
Dalla terra con lui. Ma Sigemundo
425Raro davver fu scorto andar gioioso;
Anche fra quelli, per tre lunghi giorni,
Alcuni, per la doglia acerba e grave,

[p. 329 modifica]

Non bevvero o cibâr. Di questa guisa
Scordar del corpo non potean la cura
430Sempre, e nutrîrsi poi di qualche cibo
Con nuovo amor, come sovente accade.