I Mille/Capitolo XLVI

Capitolo XLVI. Osteria della Bella Giovanna

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Capitolo XLVI. Osteria della Bella Giovanna
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CAPITOLO XLVI.

OSTERIA DELLA BELLA GIOVANNA.

L'ardue non temo e l'umili
Non sprezzo imprese.
(Tasso).


Osteria della bella Giovanna, sì! E perchè non potrei narrare anche delle osterie?

Alcuni diranno; ma potevi, stupido che sei, adornare il tuo lavoro con alcuno di quei titoli alto sonanti che di più solleticano gli oziosi e le oziose, giacchè confesserai, esser quella la sola gente che può leggerti, e non coloro che abbiano occupazioni. Per esempio: Grand Hôtel des princes, Grand Hôtel des empereurs! come si vede in tutti i canti della tua cara Nizza. — almeno Albergo non fosse altro: del Leon d’oro o del Tigre d’argento, titoli che soli bastano a riempire lo stomaco sino all’indigestione. Ma osteria! oibò! si vede bene che sei un ex-Dittatore, proletario sino alle ugne. — Eppure, malgrado le opinioni contrarie, io tornerò all’osteria della bella Giovanna che palpita d’amore [p. 262 modifica] per quel battuso di Bajaicò, uno dei più originali tipi dei Mille, e nello stesso tempo dei più valorosi, ed i nostri lettori vedranno se ambi i miei protagonisti sieno indegni di menzione.

Nel sotterraneo a volte, che avea servito forse a Masaniello per riunirvi ed arringare i suoi bravi pescatori, forse in tempi non lontani ai carbonari, per ordire la trama che nel 21 dovea rovesciare il borbonismo, in quel sotterraneo riunivansi abitualmente centinaia dei caporioni della camorra, e com’è naturale, ai tempi andati, ove si trattava nientemeno che di annientare gli scomunicati rompicolli, le adunanze camorriste erano eseguite spesso, ma nel più profondo segreto, e nessun profano sotto qualunque titolo poteva assistere alle importanti riunioni.

Ad un tavolo, nella parte più remota del sotterraneo, sedevano una dozzina dei più robusti avventori. Un potente doglio collocato nel centro d’un tavolo, e questo ben guernito di bicchieri pieni o da riempire, attestavano non voler gli astanti conversare a bocca asciutta.

I fumi del vino e l’atmosfera calda del locale, perchè poco aerato, facean gradito ai nerboruti interlocutori, lo starsene in maniche di camicia, e anche colle maniche rialzate sino all’ascella: licenze non vietate nel locale, veramente plebeo, e che servivano pure a facilitare una partita alla morra, ciocchè si eseguiva spesso, anche per nascondere alla moltitudine, sotto il manto del divertimento alcuna deliberazione importante. La [p. 263 modifica] terribile setta della camorra non ammetteva indugi. Potevasi, per esempio, giungere al banco della bella Giovanna, essendo profani, bevervi o mangiare qualche cosa seduti sulle panche e tavole esterne di cui già narrammo, ma per penetrare nella catacomba camorrista, nelle ore delle conferenze, dovevasi essere iniziati, o morire. E molte atrocità eransi commesse verso imprudenti che, contro il divieto delle sentinelle, volevano internarsi.

Conchiudiamo dunque: che camorristi erano i due fratelli di Giovanna e camorrista essa stessa (per poter vivere), dicevano, ma in sostanza trascinati in quella cloaca, dalla fatalità dei tempi, e massime, da pessimi governi, che sembrano scaturire apposta dall’inferno per la sventura d’una delle più belle regioni del mondo.

«Una volta eravamo tredici come gli apostoli» esclamò Tifone agli undici compagni, «e noi siamo stati ingannati da Cristo divenuto Giuda, poiché Talarico, il traditore, facea le funzioni di redentore tra di noi. Ed ora quel miserabile si è dato anima e corpo a questi eretici rompicolli. «Non te n’incaricare» rispondeva Agnello al capitano della camorra «un traditore, è meglio per noi si sia allontanato — la causa del re nostro e della Religione trionferà senza Talarico. «Manaccia!» ripigliava il focoso calabrese «avrei voluto almeno che quell’uomo non fosse della terra mia. — Eppure era valoroso come un demonio quel figlio d’Aspromonte. E non sono [p. 264 modifica] favole, tutti noi l’abbiamo veduto all’opera, quando si trattava di menar le mani davvero». Queste ultime parole furono dirette ad un nuovo venuto che con aria di famigliarità e comando erasi avvicinato al tavolo dei dodici.

«Lasciamo da parte le lamentazioni» sorgeva a dire quel tale da noi conosciuto, «e pensiamo al serio, pensiamo che fra pochi giorni il re nostro attaccherà ed annienterà questa masnada di malviventi, che perciò bisogna tenersi pronti, non solo, ma operare una diversione qui in Napoli, che obblighi il capo degli avventurieri a distrarre una parte delle sue forze, per facilitare l’impresa del nostro esercito».

Chi avea articolato tali assennati propositi, altro non era che il Monsignor Corvo, sotto le umili vesti d’un bazzaccone. Il gesuita era maestro nell’arte di mascherarsi, e vero proteo o camaleonte, le sue trasformazioni eran ben fatte, fatte a tempo ed a proposito, ed il Sanfedismo non avea certo un altro che fosse sì attivo, sì idoneo e di tanta capacità. I talenti di tal uomo, sarebbero stati un vero tesoro, se applicati alla causa della giustizia.

Comunque, tra i rozzi capi della camorra, l’eloquente ed energica osservazione del prete ottenne quell’ascendenza incontestabile che tanto lo avea distinto in ogni circostanza.

«Dice bene il nostro amico» riprese ardentemente Tifone, cui era preferibile un’azione immediata. «E manaccia! questa notte stessa [p. 265 modifica] bisogna operare qualche colpo a pro della religione santissima e del re nostro — io lo giuro!» E così gridando trasse fuori la daga, diè col pugno un fortissimo colpo sul tavolo, che fu seguito da una simile dimostrazione dei compagni, per cui doglio, bicchieri e quanto trovavasi sulla tavola, andarono rotolando sul sudicio selciato del sotterraneo.

La fervida manifestazione dei capi naturalmente mise in sussulto tutta la comitiva, ed in un momento, centinaia di daghe brillarono nel chiaro-scuro dello speco, accennando esser tutti pronti agli ordini dei capi.

Corvo contemplò con compiacenza la focosa risoluzione dei soldati della fede, e montando sopra una sedia, volto alla folla, fece intendere le seguenti parole: «Che Dio vi benedica, figliuoli! e che vi conduca per la mano allo sterminio de’ suoi nemici! bruciate, svenate, uccidete! annientate sino i neonati di quegli eretici perversi, che mettono la mano sacrilega su tutto ciò che vi è di più santo, che vogliono strappare ad uno ad uno i capelli santi del venerando Dio in terra che siede in Vaticano; che commettono le loro orgie nella chiesa della beatissima Maria, e che condiscono l’insalata coll’olio santissimo! a loro maledizione! maledizione! Amen» . E tutti in coro risposero: «Amen! amen! amen!» — Ecco il prete! Eccolo col suo ascendente sulle moltitudini ignoranti su cui le parole: Gloria di Dio! gloria del paradiso! che non comprendono [p. 266 modifica] e che non sanno esser votissime di senso, fanno un effetto magico! — Poi: bruciate, svenate, uccidete per la maggior gloria di Dio, e sarete ricompensati colla felicità eterna? Che morale! che scuola! E stupiremo di veder commettere ogni nefandezza, ai briganti, che altro non sono se non docili alunni dell’impostura!

Volto a Tifone, il gesuita disse finalmente:

«Amico mio, con uomini di tal fatta si può tentar qualunque impresa. Incaricatevi con questi vostri bravi della pro-dittatura, e particolarmente del capo; io vado subito ad avvisare i nostri che corrispondano degnamente alla grande opera».

Così dicendo, accomiatossi l’astuto, incamminandosi nell’interno ed uscendo per porta segreta. — Tifone, dopo d’aver accompagnato Corvo collo sguardo, dirigendosi a’ suoi disse:

«Ora a noi, compagni, non si dica che siam millantatori, ma uomini d’azione, e peran sotto le nostre daghe, come perì quel perverso di Gambardella, quanti scomunicati si trovano in Napoli e nel regno».

Egli poi diè ordini ai capi di riunire le loro sezioni, ed impartì ordini precisi da far invidia ad un generale d’armata.

Eran circa le 10 pomeridiane, quando il sotterraneo della bella Giovanna presentava l’aspetto d’un campo militare, pronto a muoversi per dar battaglia al nemico. — Era uno spettacolo imponente: quelle centinaia di figli del popolo pronti [p. 267 modifica] ad assaltare e sterminare, se possibile, i loro fratelli non solo, ma coloro che per il popolo davano volenterosi la vita, coloro che venuti da lontano, avean superato le insidie della tirannide, e mille disagi e pericoli sui campi di battaglia. Che importa! i preti han detto loro che i Mille erano eretici, nemici del re, della religione e scomunicati dal Santo Padre, e quindi la gloria del paradiso era assicurata a chi li sgozzava, li bruciava, li sterminava.

Eran tutte fisonomie abbronzate, robuste, quei popolani, lavoratori d’ogni professione, uomini che educati convenientemente e stimolati dall’amor di patria, della nostra patria, non di quella vana e bugiarda dei negromanti, avrebbero potuto servir eroicamente l’Italia contro lo straniero insolente e sottrarla dal fango e dall’abbrutimento ove la tengono i preti ed i reggitori.

Oggi eran camorra la più sudicia, la più indecente delle società umane, pronta a tuffarsi nel sangue e nei più orribili delitti, colla coscienza d’esser perdonati non solo, ma ricompensati colla felicità eterna! «Pronti!» risposero tutti all’interpellanza del capo; e già la massa degli armati di daga movevasi verso l’interno della catacomba. Un rumore però che si fece all’entrata d’uno dei corridoi, fermò la marcia ed eccitò da quella parte l’attenzione della comitiva. — Ed eccone la ragione.

Bajaicò, che già conosciamo come amante della [p. 268 modifica] bella Giovanna, era un bravo giovane e valorosissimo — non apparteneva però alla società di temperanza, o se vi apparteneva n’era sovente un trasgressore; — ed in quella sera essendosi fermato più del solito presso al banco della sua Giovanna, vi aveva alzato il gomito oltremodo.

Padrone del cuore della padrona, il nostro Bajaicò si credè nel diritto di passeggiare il locale tutto, e ad onta delle ammonizioni e preghiere della Giovanna che cercava con varii pretesti di allontanarlo dal proposito d’internarsi, il focoso discendente di Balilla avventurossi nell’andito del corridoio di destra, ove fu fermato dalla sentinella. Peggio, allora, giacchè se aveva poca voglia di andare avanti, senza opposizione, ora glie ne nacque moltissima, impedito materialmente e bruscamente dalla sentinella nel suo disegno.

L’atto primo di Bajaicò, trattenuto con poco garbo da un individuo qualunque, senza distintivi, fu di mandarlo gambe all’aria con un pugno, ciocchè egli eseguì con facilità essendo svelto, nerboruto ed audace; — ma in un momento egli venne attorniato da molti e condotto in presenza di Tifone. — Il suo processo fu presto finito e la sua sorte decisa. — Un’occhiata del capo bastò per condannarlo, legato colle mani addietro, e condurlo nell’interno per esservi immediatamente sacrificato.

In questo il giudizio di Tifone somigliava a quello d’un vecchio romano che, consultato sul [p. 269 modifica] da farsi con molti prigionieri nemici che ingombravano il campo, mentre questo stava per essere attaccato, rispose: «Ammazzateli!»

È cotesto anche uno dei tanti spedienti che i monarchi ed i loro satelliti adoperano in quel bel loro passatempo di stragi che si chiama guerra. Tali furono i procedimenti degli Hainau, dei Villata, dei Bazaine che, senza trovarsi spinti dall’eccidio, da terribile necessità d’una posizione arrischiata, massacrarono i Bresciani, i volontari a Fantina, ed il signor Bazaine, il nostro generale Ghilardi, prode difensore di Roma, al Messico mentre era ferito. Ed Ugo Bassi dai preti austriaci! E Ciceruacchio con due figli e sei compagni da un principe di casa d’Austria! E le migliaia di vittime d’un popolo generoso, immolate alla paura di quel saltimbanco politico, mascherato da repubblicano, che il giornalismo salariato chiama salvatore della Francia! — E perchè trovan strano allora che pochi briganti si sbarazzino d’un individuo che, lasciato libero, avrebbe certamente svelato il loro ricovero? — Orribile misura di quella giostra fatale che si chiama guerra — orribilissima quando eseguita in dettaglio, ma che quando, per esempio, si tratta d’un’ecatombe di milioni, allora diventa gloriosa, fruttando alla prosperità, all’onor nazionale, e sopratutto all’onor delle aquile o delle bandiere!

Era bell’e spacciato il nostro Bajaicò, ed i Mille perdevano uno dei migliori militi; ma la provvidenza — non so se fosse la stessa provvidenza [p. 270 modifica] invocata da Guglielmo di Prussia quando col compagno Bonaparte mandavano al macello Tedeschi e Francesi — oppure la provvidenza del papa-re quando facea decapitare i liberali e cercava di vendere l’Italia anche al diavolo se la pagava meglio degli altri — la provvidenza nol volle.

Comunque, solo la provvidenza potea salvare il nostro bellicoso ligure dalle unghie della camorra, e tale provvidenza si presentò sotto le forme dell’avvenente Giovanna. — Giovanna poco o nulla immischiavasi nelle faccende interne del suo stabilimento; non ostante essa non ignorava tutti gli orribili misteri di quell’antro, e bisogna confessare ad onor suo e dei fratelli che l’informavano d’ogni cosa, ch’essi tutti avean ribrezzo delle atrocità che si commettevano sì vicino a loro, e che cercavano in ogni modo di allontanarsi da quel nido di demoni.

Non era però così facile. Essi avean bensì acquistato qualche cosa col loro negozio, ma quel qualche cosa sovente abbisognava alla tirannica e scellerata associazione, dimodochè la maggior parte delle loro economie trovavasi sempre in potere dei camorristi, che rendevano così ben difficile l’allontanamento di Giovanna e dei fratelli. Tali procedimenti da parte della camorra entravan forse nella di lei politica per non lasciar liberi e sciolti da ogni impegno con loro individui che potevano nuocerla.

Sinora era dunque stato affare d’interesse per Giovanna di mantenersi inoffensiva a cotesta [p. 271 modifica] società di masnadieri, ma oggi trattavasi d’affare del cuore, ben altro affare, e qui tutto il brio della donna concentrossi in quell’anima meridionale. E «pera il mondo» essa disse «ma si salvi il mio Bajaicò!»

Inutile essa ben sapeva la propria intercessione, presso i selvaggi frequentatori del sotterraneo, e sapeva pure che poco tempo passerebbe tra l’arresto ed il sacrificio. Quindi, battendo dei piedi sulla banchina che le serviva di marciapiede, Giovanna lanciossi come una furia fuori della porta sulla via coll’intenzione di gridare al soccorso alla folla dei transitanti. — La fortuna favorì la pia oltre le sue speranze. Il Prodittatore di Napoli avea avuto sentore delle trame borbonico-clericali, giacchè in quei giorni i reazionari, quasi sicuri della vittoria promessa dal re e dal cielo, millantavano in pubblico le loro gesta future con molta boria, e pattuglie dei nostri comandate da ufficiali di fiducia percorrevano i punti della capitale ove maggiore si manifestava il pericolo. La nostra Giovanna ebbe dunque la sorte di trovare subito una pattuglia dei Mille che passava per la contrada, comandata dal prode Vigo Pelizzari, uno dei più distinti ufficiali della prima spedizione e conosciuto dalla Giovanna.

«Per amor di Dio! comandante, venite presto per salvar uno dei nostri!»

Vi era tanta eloquenza in quelle brevi parole e nell’occhio corvino della bella figlia di Partenope, che Vigo gettò la mano sull’elsa, sfoderò [p. 272 modifica] la sciabola e precipitossi sulle tracce dell’interessante donna, seguíto dai suoi militi di Marsala, svelti come caprioli.

Entrare, percorrere la prima stanza e gettarsi pei corridoi, fu un attimo. E n’era tempo; — e al chiarore d’una lampada che illuminava un angolo del sotterraneo, scorgevansi tre uomini nerboruti che colle daghe nella destra, e sollevate sul loro capo, stavan per lasciarle cadere sul collo d’un inginocchiato, colle mani legate dietro il dorso ed assicurato con corde ad una colonna di legno che sembrava collocata apposta per tale ufficio e che veramente dai camorristi era chiamata colonna d’Abramo. — Un frate avea l’aria d’assistere il condannato, e la vita di Bajaicò fu veramente dovuta a cotesto servo di Dio, che per la prima volta in sua vita commise una buona azione, senza volerlo però. Comunque, le solite raccomandazioni cattoliche ai moribondi questa volta salvarono la vita d’un prode. Rotando la formidabile scimitarra, Vigo si aprì un varco verso la scena di morte, e come un’onda incalzante seguivanlo i fieri militi di Melazzo e di Reggio, rovesciando a destra e a sinistra i soldati del sanfedismo, a furia di baionettate e colpi di calci di fucili. — Tardi però sarebbe giunto il soccorso senza la risoluzione impavida del nostro superbo ligure.

Egli s’era creduto spacciato, quando s’accorse che nessuno degli astanti poteva essergli amico, ma siccome l’ultima dea, la Speranza, lusinga [p. 273 modifica] sino all’ultimo sospiro, Bajaicò avea allungata la preghiera prescrittagli dal frate, non so se il pater noster, quanto avea potuto, e ne borbottava le ultime parole, quando il rumore della imminente tempesta ferì il suo orecchio, e Dio sa se piacevolmente. Presentendo soccorso dagli amici, valoroso sempre, egli fece uno sforzo supremo, che valse parte ad infrangere e parte a sciogliere i legami con cui lo avevano avvinto. Inerme come era, abbrancossi ai suoi carnefici, che armati cercavano di trafiggerlo in ogni senso. — Il suo sangue correva a ruscelli senza scemare il coraggio della difesa. — Egli pugnava, lottava disperatamente; si sa però, qual poteva essere il risultato del conflitto tra un solo inerme e tanti armati. — Il più robusto dei carnefici avea alzata la daga sulla testa dell’eroico ed infelice Bajaicò — se il ferro cadeva, era finita, ma un manrovescio di sciabola del prode ufficiale di Calatafimi recise il braccio del camorrista e salvò la vita al compagno.

Il parapiglia che successe in quel sotterraneo lo lascio immaginare al lettore. Colpi di daga da una parte e baionettate dall’altra fulminavano in quel poco decente recinto, ma presto la bravura dei figli della libertà ebbe posto in fuga i masnadieri.

L’inconveniente però era nell’andito per cui dovevano uscire i perseguiti, che si trovava angusto ed affollato da’ più codardi che avean procurato di preceder i compagni, cosicchè molti [p. 274 modifica] furono i morti dei camorristi, molti i feriti e i prigionieri da porsi in mano della giustizia.

Giovanna, nella sua vita non avea mai sognato di possedere tanto coraggio quanto ne dimostrò in quella sera. Essa dopo d’aver avvisato Vigo del pericolo del suo Bajaicò, non lo lasciò più d’un passo, ed il martire di Mentana1 sotto la di lei guida, potè giungere sul luogo del supplizio colla celerità indispensabile. — Bajaicò, ferito come era e grondante sangue, fece strage dei camorristi, e l’amante gentile andava superba di aver salvata la vita all’uomo del suo cuore.

Il rovescio toccato alla camorra e quindi ai borboni clericali nell’osteria della bella Giovanna, sventò la grande congiura della parte a noi avversa in Napoli e salvò forse la causa d’Italia, già compromessa in alcuni piccoli insuccessi da parte nostra, e dalla sorda guerra e sleale che non cessavano di farci gli aspiranti ai favori della monarchia sabauda.

Invano erasi adoperato monsignor Corvo in tutti i conventi e chiese per mantenere il fuoco sacro, come diceva lui, e per tentare nuove prove. — Invano!...

La gloria del paradiso predicata alle carogne da preti e frati solleticava poco i grassi prebendari. Trovandosi essi al pericolo della pancia, [p. 275 modifica] accresciuto dal fatto della bella Giovanna, si rannicchiavano i polputi, e molti pubblicamente millantavano liberalismo, anche repubblicanismo e socialismo, se si voleva.

«Ma io non m’immischio di politica» dicevano i meno birbanti «così ci ammonisce Madre Chiesa. — Poi, date a Cesare ciò che è di Cesare, ed i sacerdoti del Signore, lo sapete, devono predicare fratellanza tra gli uomini, non attizzarli, stimolarli alla distruzione».

Alcuni di questi neri semi di Dio accusarono di camorrismo certi uomini onesti con cui avean gare personali.

«La sorte vuol proprio favorire questi rompicolli indemoniati» diceva tra sè Corvo mentre ìncamminavasi fuori di Napoli ad altre imprese, nulla più sperando sulla camorra sconquassata e sui grassi apostoli della cuccagna.





Note

  1. Il maggiore Vigo Pelizzari, uno dei più brillanti ufficiali dei Mille, morto a Mentana nel 1867, giovane ancora, pugnando i mercenari di Bonaparte.