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272 | i mille |
la sciabola e precipitossi sulle tracce dell’interessante donna, seguíto dai suoi militi di Marsala, svelti come caprioli.
Entrare, percorrere la prima stanza e gettarsi pei corridoi, fu un attimo. E n’era tempo; — e al chiarore d’una lampada che illuminava un angolo del sotterraneo, scorgevansi tre uomini nerboruti che colle daghe nella destra, e sollevate sul loro capo, stavan per lasciarle cadere sul collo d’un inginocchiato, colle mani legate dietro il dorso ed assicurato con corde ad una colonna di legno che sembrava collocata apposta per tale ufficio e che veramente dai camorristi era chiamata colonna d’Abramo. — Un frate avea l’aria d’assistere il condannato, e la vita di Bajaicò fu veramente dovuta a cotesto servo di Dio, che per la prima volta in sua vita commise una buona azione, senza volerlo però. Comunque, le solite raccomandazioni cattoliche ai moribondi questa volta salvarono la vita d’un prode. Rotando la formidabile scimitarra, Vigo si aprì un varco verso la scena di morte, e come un’onda incalzante seguivanlo i fieri militi di Melazzo e di Reggio, rovesciando a destra e a sinistra i soldati del sanfedismo, a furia di baionettate e colpi di calci di fucili. — Tardi però sarebbe giunto il soccorso senza la risoluzione impavida del nostro superbo ligure.
Egli s’era creduto spacciato, quando s’accorse che nessuno degli astanti poteva essergli amico, ma siccome l’ultima dea, la Speranza, lusinga