Guerino detto il Meschino/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII

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Capitolo XXII Capitolo XXIV
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CAPITOLO XXIII.


Il Meschino seguita le sue vittorie, e viene contra Validoro,
dalla cui sorella Rampilla è amato.


A
ppena seguita la morte del superbo Artilaro furono soccorsi i due cavalieri; Artilafo con la spada ferì quel sacerdote che consigliava Artilaro che li facesse morire, e fecegli due parti del capo, e come l’ebbe ucciso dislegò messer Dionino. Allora giunse Guerino con l’elmo in testa per liberarli; quando li vide sciolti fu molto allegro, e armati montarono a cavallo. Quelli del campo che erano dalla parte di Artilafo tutti andarono sotto le sue bandiere, per modo che quelli ch’erano venuti dalla Morea con Artilaro, furono tutti messi a filo di spada, e tutto il loro avere fu rubato, ed ogni lor cosa andò in preda. Tutti i padiglioni di Artilaro, furono donati ad Artilafo, il corpo di Artilaro fu arso e di Almonido, e tutta la roba fu partita fra la gente, e deliberò di andar con la gente alle due città ch’erano sul lago detto fonte Solis, le quali per avanti erano state del padre di Artilafo detto Amone Maracca, e così andarono. Le quali città come sentirono la venuta d’Artilafo e la sua gente, e la morte de’ due fratelli, subito [p. T28 modifica]Il Meschino uccide Almonidos. [p. 213 modifica]si levarono a rumore, dicendo: Viva Artilafo! Come fu giunto, e fatto signor del lago e della città, prese i due castelli con grande allegrezza, e tutto il paese; poi presero tutte le montagne senza troppo battaglia, che di volontà ogn’uomo si rendeva, e prese la signoria della città e del monte Granus; e mandò ambasciatori ad una città la qual era sopra la riva del mare chiamata Moscia. Dissero quelli di quella città che volevano che egli pigliasse tutto il paese per vendetta d’Almonido e del fratello; onde a furore le posero campo, ed in cinque dì fu presa, e morti quanti eran dentro, arsa e disfatta sino alle fondamenta. Finito di conquistare questo paese, andarono nella Morea per le parti di Libia. Andarono al monte Aguna, Pino, Canfar, circa al quale erano stati anni dieci, poi presero Candelo, e molte provincie si rendettero sino al monte Agiama, dove era gran quantità di serpenti, e dove comincia il grande deserto di Libia, che va verso il mare di Rena, e tiene da Babilonia sino a Marocco di ponente, secondo il mare della Rena, cioè di Libia calda in Europa, e di là da queste parti verso ostro non si può abitare per i gran caldi. Ha duecento miglia, e perchè egli è il mare di Sabia, del quale non si sa la fine; a questo mare, dice il Meschino, volgemmo e tornammo indietro al mare Libico, e ponemmo campo ad una città più verso la terra chiamata Philofila, la quale si rendette senza battaglia; poi ponemmo campo a Contropoli.

Dopo posto il campo alla città di Contropoli, la quale era molto grande e piena di popolo, intesero che gente dalla parte di Affrica veniva, la quale dicevasi esser quattrocento mila. Per questo molto si contristò Artilafo, ed essendo con il Meschino a parlamento, disse: — Non so come potremo ripararci da tanta gente, imperocchè la nostra non è più di cinquantamila, e temo molto più la forza del loro re, che la moltitudine, il quale è il più franco uomo di tutta l’Affrica, ed è molto crudele». Rispose il Meschino: — L’uomo forte e fiero ha sapienza e prudenza; e per moltitudine non temete che non ci vinceranno; io mi ricordo aver lette l’istorie antiche; che Abramo con cento pastori vinse i Filistei, che erano otto mila; così fu vinto il re di Persia, e Cesare in Tessaglia vinse Pompeo. Ancora gli [p. 214 modifica]Affricani si debbono ricordare, che non è molto tempo, che il re Agolante di Affrica passò in Italia contro Carlo Magno con il suo figliuolo Almonte, il quale ruppe con sette mila cento mila Affricani, secondo che in Costantinopoli udii leggere. E io ancora ho veduto, con la grazia di Dio, tanti di costoro che con poche persone hanno vinto una infinità di gente». Disse ancora Guerino per confortare Artilafo: — Io mi vanto di combatter con duecento mila». Allora messer Dionino affermò il suo detto, e vantossi di combattere con cento mila. Allora rise Artilafo, e prese tanto conforto nella franchezza di costoro, ch’egli si accese tutto d’ardire, e rispose: — Io sono certo che la vittoria è nostra, e però voglio che Guerino abbia la fatica di tutto l’esercito», e gli diede il bastone del comando; allora Guerino chiese ad Artilafo come aveva nome il nemico, ed egli disse: — Validoro è, ed è signor di Tripoli, di Barbaria, e di Galis e di Salvier fino al monte Gordis, ond’esce il fiume detto Inosa. Appresso quel monte sono molte città, cioè Dispeta, Tarcomana, Arseri, Aerdagnu fino al lago di Mateb, dov’è la città di Cesips perfino nella deserta Affrica di Sardena».

Udita il Meschino la gran signoria di Validoro, molto si maravigliò, e disse: — Se questa gente non fossero bestie, sarebbe d’avere paura di loro. Benedetta sia la fama di Pompeo, che disse: Combattiamo con le bestie di Affrica, e come bestie li tratteremo!» Fece chiamare una spia che aveva portata la nuova, e dimandò di Validoro, e come la sua gente era ubbidiente al suo signore, e se fama nessuna era tra loro di Artilafo. Ed a Guerino risose: — Vi viene con lui una sorella chiamata Rampilla, la quale viene solamente per la fama che ha udito del Meschino, che si dice tra loro, che egli ha uccisi due sì arditi e valenti fratelli Almonido ed Artilaro. La gente sua non ha alcun ordine, essi non sanno che cosa sia obbedienza, ma si fidano nella moltitudine; fama è tra loro che Artilafo con ragione combatte contra i Mori che a torto gli avevano tolto la sua signoria, e la maggior parte viene mal volentieri, e molti dicono che Guerino taglia gli uomini per mezzo, e che a’ suoi colpi non è riparo, e la maggiore parte hanno paura». Allora si fece gran parlamento, nel quale si diede a Guerino il vanto [p. 215 modifica]che si aveva dato prima di combattere, e così messer Dionino aspramente minacciò Validoro di morte, e confortò tutto l’oste che non temesse. Ogn’uomo prese coraggio, e mandò di notte spie, che l’una non sapeva dell’altra, con ordine che facessero vista di essere fuggiti, ed andassero dicendo per il campo del re Validoro del vanto che Guerino si dava, e ch’egli era stato agli Alberi del Sole in India, e in Persia a quelli di Maometto ed in Soria, e come egli combatterebbe con gli dèi, e così andò questa fama per tutto il campo di Validoro. Essi pieni di paura dicevano che li aveva minacciati di morte, ed eran fuggiti da Artilafo, e Rampilla mandò per loro ad uno ad uno, domandare di Guerino, e tutti dicevano a un modo che Guerino era tutto delle donne, ed ella per amore di Guerino cominciò a sospirare, e dire: — Per Maometto! se Guerino mi volesse amare come io amo lui, io lo farei signore di tutta la Morea, Validoro non farebbe tutto quel che si pensa». Lo spione disse: — O madonna, che dite voi?» ed ella pensò quel che aveva detto. — Male ho fatto», e temendo che il fratello non lo sapesse, subito fece ammazzare quello spione. Poi chiamò un suo secretario e dissegli: — Se tu farai il mio comandamento, io ti farò il più ricco che sia in Affrica». Disse il segretario: — Comandate madonna, s’io fossi certo di morire farò il vostro comandamento. — Beato te! disse Rampilla, tu te ne andrai questa notte nel campo dei nemici, e da mia parte favella con Guerino, e digli che s’egli mi vuol pigliare per moglie, ucciderò Validoro mio fratello, poi lo farò signore di tutta la Morea e dell’Affrica sino al gran fiume Tison e tutta Barbaria, e sarà il maggior signore di tutta l’Affrica». Il famiglio per l’avarizia dell’oro e della signoria che ella gli prometteva, promise di fare tutto il suo volere, e si partì, e andò al campo di Artilafo secretamente.

Rampilla, la quale era grande di persona, bene formata, e negra quanto un carbone, il capo ricciuto, chiome innanellate, bocca grande, e i denti bianchi, gli occhi rossi che parevano di fuoco, aveva pur detto al messo: — Dirai a Guerino ch’io gli salvo la mia verginità!» Giunto il messo in campo, per avventura incontrò Artilafo con molta gente, e gli dimandò se egli era [p. 216 modifica]Guerino. Artilafo gli disse: — E perchè mi domandi tu?» Ed egli disse: — Io voglio parlare a lui». Artilafo tirandolo da parte, gli disse: — Chi ti manda?» Il messo rispose: — Mi manda Rampilla». Artilafo fecesi dire il tutto, e quando ogni cosa intese, s’immaginò che se lo dicesse al Meschino, niuna cosa sarebbe fatta, perchè egli non acconsentirebbe al tradimento ed omicidio proposto della donna, ma disse al messo: — Torna a lei, e dille che s’ella uccide il fratello, io le darò il Meschino per marito, il quale è tanto nobile cavaliere, che se ella il sapesse, molto più sarebbe del suo amor accesa; ma se il Meschino sapesse questo, la sua gentilezza non acconsentirebbe; s’ella lo farà, tanto è la tenerezza dell’amore che egli le porterà, che la farà contenta per avere la signoria; io ti prometto, che s’ella il fa, tu sarai più amato da me che uomo che sia in Affrica, e beato te, ch’io sono Artilafo; e sappi, che io sono il maggiore del campo», e donogli un bel gioiello d’oro, e poi gli disse: «Non dire niente a persona, e perchè tu creda ch’io dica il vero, io voglio che tu veda il Meschino, ma non dire niente, che tu guasteresti i fatti della tua signora». E menollo al padiglione, ed era ora di mangiare. Artilafo molte volte abbracciò il Meschino, dicendo: — Meriteresti la signoria che tiene Validoro». Il famiglio lo guardò da capo a piedi, e diceva fra sè: «O gentil madonna mia, se voi vedeste Guerino come lo vedo io, morta ne saresti innamorata!» e parevagli mille anni che la notte venisse per tornare a fare l’ambasciata. La sera ei parlò ad Artilafo, ed egli l’ammaestrò che la confortasse alla faccenda, promettendo a lei Guerino e al messo ricchezze, e da capo gli donò oro ed argento assai. Venuta la notte fu accompagnato in parte sicura. Tornato il messo alla donna secretamente, gli disse ogni cosa per ordine, com’ei aveva veduto Guerino, e che la fama era niente rispetto al vederlo. Ella più s’infiammò di crudeltà contra il fratello, e donò al messo oro ed argento, e dissegli che lo farebbe gran signore; poi cominciò a pensare come potesse far morire il fratello. Lo invitò seco a desinare al suo padiglione, Validoro accettò per l’altro giorno, onde la sera domandò alcuni amici della setta di Artilafo, e parlò a loro secretamente, dicendo come aveva bisogno di loro, ma [p. T29 modifica]In questo mentre il Meschino ritornò a sè. [p. 217 modifica]che a persona alcuna non parlassero, e ch’ella si libererebbe d’ogni impaccio; quindi mise in ordine il desinare. Essendo l’altro giorno Validoro venuto a desinare con lei e molti altri baroni, durò la festa tutto il giorno. La sera si cenò al fuoco, e bevettero allegramente, che quasi tutti erano pieni di vino a tanto, che Validoro era molto vinto dal vino, che richiedette la sorella di far male. Ella fece vista di adirarsi, e fecesi indietro, e Validoro per digerire il vino, si gittò sul letto della sorella, e cominciò a dormire come la fortuna lo portò. Come la sorella il vide dormire, mandò via tutti i baroni, che niuno avrebbe pensata tanta crudeltà, e mandò via alcuni serventi, sicchè alcuno non ebbe sospetto ch’ella volesse usare con suo fratello tanta iniquità. Ma quando fu la prima ora della notte chiamò a sè que’ tre co’ quali aveva trattato il suo secreto, ed essi quando loro parve il tempo gli tagliarono la testa, e quando l’ebbero decapitato fuggirono nel campo de’ nemici, ed ella chiamò il famiglio, e diedegli la testa del fratello in un sacco e mandolla ad Artilafo.

Non fu prima giunto il famiglio nel campo de’ nemici, che fu presentata la testa di Validoro ad Artilafo che stava sempre attento ad aspettarlo. E subito che vide la testa del nemico Validoro, gridò all’arme a furore, e fece armar tutto il campo, e ficcare la testa sopra una lancia, e mentre si armarono, due parti del campo assalirono i nemici, portando la testa del loro signore innanzi, e sentendo che era morto Validoro, tutta l’oste cominciò a fuggire, ed altra difesa non fecero, e perdettero il campo, e molto più di quelli morirono di paura che di ferro, ed in quel giorno ne morì più di cento mila. Quando Guerino e Dionino seppero da Artilafo come la cosa era passata, Guerino si turbò e disse:

— S’io avessi saputo tal cosa, piuttosto sarei morto che consentire a questo». Continuando la vittoria arrivarono al padiglione di Validoro, e qui si fece radunare la gente. E quando Guerino smontò da cavallo entrò nel padiglione, dove cavatosi l’elmo di testa, certi lo mostrarono a Rampilla. Ella andò dinanzi a lui, e in quello giunse Artilafo, e quando ella si gettò a’ piedi di Guerino, gli disse: — Bene sia venuto il [p. 218 modifica]mio signore e consorte, il quale amo più che il mio fratello Validoro!» Disse Guerino: — Per la mia fede s’io non guardassi alla viltà di uccidere una femmina, io ti leverei il capo con questa mia spada, malvagio demonio! Levati dinanzi, iniqua femmina, ch’io temo che la terra s’apra e t’inghiottisca, con chi più appresso ti sta: va a stare nel numero di Malerzia, la quale s’innamorò di Minos re di Grecia, e per suo amore uccise Maulinos suo proprio padre; vanne nella compagnia della crudele omicida Medea; va, trova l’iniqua e crudele Tullia, che mandò il carro sopra il morto padre per far signore il superbo Tarquinio». Quando Rampilla si sentì così cacciare, uscì dal padiglione, e trovò una spada, e pose il pomo in terra, e per mezzo il cuore si mise la punta, e gridò forte e disse: — O Artilafo traditore, Maometto ti faccia con me seguire tal morte!» e abbandonò il petto sopra la spada e cadde morta, e furono abbruciati tutti e due, com’era loro usanza. E l’altra mattina levarono il campo, e si appressarono alla città, la quale avevano assediata, che si rendè il giorno seguente, e partendo per la puzza della gente morta andarono verso l’alpi, dove l’oste sostenne gran disagi per il cammino: e in capo a dieci giorni giunsero ad una città detta Brisna, ch’è in sul lago chiamato Glaonido, la quale subito si rendette; in fine a trenta dì dal giorno che si partirono dal monte detto Argita, ad una città detta Tarondi, la quale si tenne due giorni, poi si rendette, nella quale riposarono venti dì. In questo mezzo gli venne novella che il re di Barbaria gli veniva incontro con molta gente. Per questo uscì fuori della città, e si fecero contro di loro al fiume Zille. Il re di Barbaria gli mandò a dire per un ambasciatore che animo era il suo, e se voleva con arme passare il fiume; che se non passasse il fiume lo voleva per amico. Artilafo disse come ei non era venuto per fare guerra di là del fiume, ma per vendetta di suo padre contro il lignaggio di Artilaro. Per queste parole si fece la pace, e questo re fu molto allegro della morte di Validoro, e diede per moglie ad Artilafo una sua sorella, poi prese commiato e verso Tunisi ritornò. Guerino domandò licenza; e così fece Dionino. Alla partita Artilafo lagrimò e abbracciolli, e [p. 219 modifica]voleva loro dare molto tesoro; ma essi tolsero solo tanti denari per le spese, e secretamente lo pregò Guerino che non si dimenticasse la fede cristiana. Videro molte città, come Eritma, Simalete e Relemambech. Questa Relemambec è sul mare. Giunse a Tunisi, dove stava il re, e qui vi stettero alquanti giorni per piacere di lui; e domandò Guerino se in quel paese era niuno indovino, e fugli detto che vi era un incantatone vecchio che stava in una montagna detta monte Zina, dove Guerino deliberò dì andare.