Guerino detto il Meschino/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

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CAPITOLO XXIV.


Come il Meschino andò dal Romito per sapere di suo padre, che disse come era in Italia la fata Alcina, la quale glielo direbbe.


SS
entendo Guerino che sul monte Zina era un indovino il quale aveva nome Calagabach, ei partì di Tunisi con certe guide, e andò a quel monte. Trovò questo vecchio, e gli domandò se gli saprebbe dire chi era suo padre e sua madre; rispose di no. Il Meschino gli domandò se in Affrica più verso ponente, troverebbe chi glielo sapesse dire. — Andando al monte Atlante, rispose, che no; perocchè i filosofi del monte Atlante, e gli altri, conoscono certi corsi della natura, secondo che i corsi dei cieli debbono alcuna volta produrre, ma che essi sappiano dire: Questo fu tuo padre, questa fu tua madre: non lo sanno; ma perchè voi mi parete gentile e dabbene, soggiunse: io vi metterò su la buona via. Noi trovammo per la scrittura che la incantatrice non è ancor morta, e non deve morire sino alla fine del mondo, e questa si trova in Italia nelle montagne Appennine, le quali sono in mezzo dell’Italia. E se voi andate da lei ve lo saprà dire del certo, perchè ella sa le cose presenti e passate, e se voi non andate da lei non saprei dove meglio potreste trovare o sapere». Il Meschino fu di questo allegro, e tornato a Tunisi prese licenza dal re, e montò sopra una nave che andava in Sicilia, e andarono su per [p. 221 modifica]l’isola alquanti giorni egli e Dionino, e giunti a Saragozza alloggiarono lì quella notte, e nella seguente mattina andarono al porto per trovare passaggio, e trovarono una nave carica di pellegrini per andar al Santo Sepolcro di Gerusalemme. Dionino ricordatosi del voto, domandò al padrone se lo voleva levare; il padrone rispose di sì, e che si voleva partire come avesse vento; e il giorno innanzi che voleva partire, il padrone disse a Dionino: — Domattina credo con la grazia di Dio di partire». Allora Dionino tornò all’osteria, e vendette il cavallo, e in questa forma parlò al Guerino lagrimando.

«Carissimo fratello, il qual amo più, che se nati fossimo d’un corpo di padre e di madre, prima per dritta ragione, avendo la vita per te, perchè non conoscendomi, mi campasti da morte, per mercè del nostro sommo Dio, che in quella parte ti mandò. Appresso per la fratellanza la quale tengo per maggiore, che se fossimo fratelli carnali, perchè la fede sopra tutte le altre cose debbo osservare. Però io non farei alcuna cosa senza il tuo sentimento; pertanto ti prego, che mi voglia dar licenza, ch’io adempia il mio voto e vada, dove per fede devo andare, in Gerusalemme al Santo Sepolcro di N. S. G. C.» E mentre che Dionino diceva queste parole, sempre piangeva dirottamente, e con caritatevole e fraterno amore il Meschino non si potè tenere, che non facesse un dirotto pianto con lui. Poi lo abbracciò e disse: — Carissimo fratello, se tu andassi per altra cagione che questa, non ti darei licenza tu andassi senza la mia persona: ma per la promessa che tu hai fatto a Dio, e il sacramento che tu ricevesti dal sacerdote quando gli promettesti per le anime de’ tuoi defunti, io ti dono licenza, e pregoti per carità, che tu preghi Dio per me, che mi dia grazia di trovare il padre mio». Non si potrebbe dire tutte le parole che l’uno diceva all’altro, spargendo insieme molte lagrime. Dissegli ancora Dionino: — Se tu capitassi mai in Inghilterra, alla mia città, chiamata Vorgales, dimanda di me, che ti farà onore, e voglio che la sia più tua che mia; e porta novella alla mia donna di me, ed a’ miei parenti». Allora si abbracciarono e baciaronsi, e andarono alla nave, dove Dionino fece il patto e pagò il padrone.