Gli scorridori del mare/17. Nei mari della Cina
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Capitolo XVII.
NEI MARI DELLA CINA
Tre giorni dopo l’incontro del rottame, la Garonna giungeva in vista dell’isolotto e rientrava nella baia sana e salva. La guarnigione del forte andò incontro ai camerati colle imbarcazioni, ed apprese con grande contentezza la fine miseranda della fregata.
Nel forte non era accaduto nulla di nuovo, non essendo comparsa alcuna nave nelle acque dell’isolotto.
Le mercanzie furono lasciate a bordo della Garonna, ma il milione in oro fu trasportato nel forte e rinchiuso nella cassa del capitano.
La sera stessa, dopo un banchetto succulento il capitano Parry, fatti riunire tutti i suoi uomini, disse:
— Come voi sapete abbiamo già tante merci da poter ricavare parecchie centinaia di migliaia di dollari. Nei magazzini del forte possono guastarsi, quindi io vi proporrei di ricavare oro.
— Sì, sì, oro! — dissero i marinai.
— È quindi necessario recarci in qualche porto e cercare di venderle al migliore offerente.
— E dove andremo? — chiese il secondo.
— A Canton, in Cina.
— A Canton! — esclamarono i marinai, meravigliati dell’audacia del capitano.
— Vi sorprende? — chiese Parry tranquillamente.
— È pericoloso, comandante, andarsi ad ancorare in un porto così frequentato da navi di tutte le nazioni, — osservò il secondo.
— È vero, ma chi ci conosce? Non andremo certamente colla bandiera dei pirati spiegata sul corno. Noi venderemo le nostre merci come buoni trafficanti europei, senza dire nè da dove giungiamo, nè chi siamo.
— Evviva il capitano! Andiamo a Canton! — gridarono i pirati entusiasmati.
— Sarà cosa prudente raddoppiare l’equipaggio, capitano, — disse il secondo.
— Essendo la spedizione pericolosa, non lasceremo al forte che sei uomini onde veglino sulle imbarcazioni e sulle nostre ricchezze, ma guai a loro, — disse Parry con voce minacciosa, — guai a loro se osassero toccarvi una sola moneta d’oro.
— Morte ai ladri! — urlarono in coro i marinai.
Due giorni dopo la Garonna carica di merci e montata da centoquindici uomini, usciva dalla baia, dirigendosi verso il nord-ovest. I sei uomini lasciati nel forte, scelti fra l’antico equipaggio della Garonna, avevano salutata la partenza con una scarica di fucili.
Il vento del sud-est, gonfiando le vele della nave, la facevano filare con bastante rapidità. L’equipaggio, bracciati i pennoni si era sparso per la tolda fumando e ciarlando continuamente.
Il capitano, accompagnato dall’inseparabile secondo, camminavano sul ponte, discutendo sui pericoli che potevano derivare dalla vendita delle merci.
— La nostra spedizione è arrischiata, lo confesso, — diceva Parry, — ma come vedete un giorno o l’altro bisognava decidersi a sbarazzarci di tante merci.
— Questo è vero; ma ditemi, capitano, quando saremo a Canton, a chi le venderete?
— A qualche negoziante cinese. Offrendole con un certo ribasso, sarà cosa facile esitarle.
— Spero che ci fermeremo poco a Canton.
— Il meno possibile.
— Sapete a cosa pensavo in questo momento?
— No, — rispose Parry.
— Al brigantino che abbiamo assalito e saccheggiato. Se giungesse improvvisamente a Canton?
— Cercheremo di trarci d’impaccio meglio che sarà possibile.
— E come?
— Non lo so, d’altronde vi sono ben poche probabilità d’incontrarlo, — disse Parry.
— Eppure ho dei cattivi presentimenti, capitano, — disse il secondo.
— Evvia! Non chiamate disgrazie prima del tempo.
— Quale via terrete per giungere più presto a Canton?
— Saliremo direttamente a nord, passando per lo stretto della Sonda fra Giava e Sumatra, poi veleggeremo verso Billiton e...
— E perirete! — esclamò una voce furiosa, a pochi passi da loro.
Entrambi si volsero con la rabbia negli occhi.
Banes era fermo a due passi da loro, immobile, cupo e minaccioso.
Il capitano ed il secondo avevano appoggiate le mani sui calci delle pistole.
— Voi qui, Banes! — esclamò il capitano, guardandolo con occhi torvi e minacciosi.
— Sì, io, — disse il brasiliano con voce irata.
— E voi avete detto che...
— Che vi perirete.
— E voi ardite fare a me delle osservazioni ed ascoltare i nostri discorsi?
— Ardisco ascoltarvi e anche dirvi che sono stanco di rimanere fra questa masnada di pirati e che non voglio più rendermi complice dei vostri esecrabili delitti.
— Banes! — gridò Parry, armando la sua pistola. — Ricordatevi che ho già troppo pazientato con voi: non spingetemi agli estremi.
Il brasiliano, invece di indietreggiare dinanzi a quella minaccia, parve attingere maggior audacia e fece un passo innanzi, quasi volesse avventarsi sul pirata.
— Guardatevi, Banes! — disse quest’ultimo, prendendolo di mira.
Il brasiliano fece un altro passo e già stava per slanciarsi innanzi, quando apparve Bonga.
Il negro vide il pericolo a cui si esponeva l’amico ed afferrandolo per le braccia lo trascinò via, mormorandogli all’orecchio:
— Imprudente! Volete farvi uccidere senza vendicare il capitano Solilach?
Il capitano, visto che Banes si lasciava trascinare dal negro, rimise la pistola nella cintura, mormorando:
— È la seconda volta che gli salva la vita; alla terza morrà, — e riprese la passeggiata assieme al secondo.
La Garonna, secondata dal buon vento, correva sempre verso il nord. Il 12 giugno il bark passava il canale della Sonda e poche ore dopo entrava nel mare dello stesso nome. Alla sera l’isola di Billiton apparve colle sue coste fiancheggiate da enormi scogliere, coi suoi folti boschi e le sue verdeggianti colline.
All’indomani, presso l’isola di Singhin furono veduti tre bastimenti che veleggiavano verso Sumatra a meno di sei miglia sottovento.
Il capitano della Garonna avrebbe voluto dar loro la caccia, ma il secondo lo sconsigliò, facendogli osservare che l’impresa era troppo arrischiata, potendo aiutarsi vicendevolmente, poi perchè si trovavano in un mare troppo frequentato.
Il 16 giugno la Garonna, dopo esser passata nelle vicinanze delle isole Natuna, entrò a vele spiegate nel mar Cinese meridionale.
Il 18, il mare si gonfiò e la nave rollando fortemente dovette fuggire dinanzi ad un tifone che minacciava di travolgerla e di trascinarla verso le coste cinesi.
Dopo sei giorni di penosa navigazione, la Garonna giungeva finalmente nelle vicinanze di Canton. Presso l’isola di Macoa, importante colonia portoghese, essa fece l’incontro per la prima volta di una giunca cinese, veliero assai singolare, pesante, malagevole, eppure preferito dai marinai cinesi.
La sua prora era alta assai e molta larga, ricca però d’intarsi e di dorature. La poppa era al pari altissima e reggeva una specie di piattaforma irta di banderuole con un grand’albero sostenente una grande vela latina di vimini intrecciati. Nel mezzo della giunca vi era un secondo albero, ed a poppa un largo timone sormontato da una testa di drago.
— Maledetti mari frequentati! — esclamò il capitano guardando avidamente il pesante veliero. — Con poche cannonate potrei impadronirmene.
— Evvia, ci rifaremo un’altra volta, — disse il secondo, ridendo.
— Attenzione, ecco che entriamo nel famoso fiume di Tschou-Kiang1 — disse il capitano.
La Garonna passava allora a poca distanza dall’isolotto di Bocatigris, roccia colossale circondata di forti armati di vecchi cannoni, che dovrebbero difendere l’entrata del fiume.
Il bark era già entrato nel fiume in quel luogo largo oltre due miglia. Fra l’isolotto di Bocatigris e Canton corre una distanza di quindici miglia, e questo tratto di fiume era solcato da innumerevoli giunche cinesi e giapponesi e da bastimenti di ogni bandiera. La Garonna continuò a salire spinta da un debole vento, e alle due gettava l’ancora in mezzo a una vera rete di bastimenti e giunche.
Canton, chiamata dai cinesi Sang-Chieu è situata sulla riva settentrionale del fiume. Essa è cinta da una muraglia rettangolare, interrotta da forti cadenti, e si suddivide in due parti: la città cinese e la città tartara. Vista nell’insieme, essa presenta un assembramento bizzarro e fantastico, un miscuglio di tetti di porcellana azzurri e bianchi, adorni di grifi giganteschi e di punte armate di mostruose teste. Sulla cima di esse sventolavano migliaia di banderuole dipinte a vivaci colori e ornate da maschere impossibili a descriversi. I templi cinesi, i palazzi del generale mongolo, del vicerè e dei principali dignitari della città erano ornati di statue ed abbelliti da cupole irte di punte dorate e di fregi di porcellana, che brillavano come fossero d’oro, sotto gli ardenti raggi del sole.
Il porto di Canton, pieno di navi e di giunche da guerra offriva uno spettacolo grandioso, specialmente per gli innumerevoli battelli ancorati sul fiume, dove abitano migliaia di famiglie e formano la così detta città galleggiante, una delle maggiori singolarità del globo. In mezzo a quelle innumerevoli barche, sorgevano pure degli alberghi galleggianti, adorni di bandiere e di fregi.
Il capitano Parry, dopo aver gettato un avido sguardo sulla regina delle città cinesi, fece mettere una lancia in acqua e assieme al secondo si fece portare a terra, percorrendo le non larghe e mal selciate vie di Canton.
Il capitano essendo stato altre volte in città, conosceva abbastanza bene le vie, e guidava il secondo in mezzo alla folla assordante degli indigeni, dalle facce grottesche, dagli occhi obliqui e dalle lunghe code. Giapponesi, cinesi e tartari si affollavano nelle vie, gridando, vendendo e discorrendo vivamente. Alcuni di essi portavano ombrelli di bambù a vivaci colori e di dimensioni monumentali, altri portavano occhiali senza lenti, o cappelli di paglia di smisurata grandezza.
A destra ed a sinistra delle vie, si vedevano numerosi barbieri pubblici i quali radevano i loro clienti all’aperto; dei negromanti che predicavano la buona fortuna coi loro tavoli ripieni di oggetti cabalistici, dei venditori di cani e di gatti, e qualche ciarlatano che spiegava al popolo attonito le eccellenti virtù di qualche radice miracolosa o qualche aristocratico dall’incedere lento e grave, vestito di seta azzurra, con le unghie delle sue mani lunghe parecchi pollici.
I due pirati, l’uno a braccio dell’altro, camminavano aprendosi il passo a colpi di gomito, a cui i cinesi rispondevano con un energico fan-konaio (stranieri demòni) e con gesti minacciosi.
Dopo aver camminato per mezz’ora, quei due degni galantuomini si fermarono dinanzi a un ampio negozio pieno di porcellane, di seterie, di cotoni, di zuccheri, di caffè, di oppio e di mille altri oggetti. Pareva un magazzino ove si vendevano all’ingrosso tutte le merci possibili.
— Qui credo che faremo qualche cosa di buono, — disse il capitano entrando.
Sei o sette cinesi gli andarono incontro, domandandogli in cattivo inglese ciò che chiedevano.
— Il padrone, — disse Parry.
Alcuni minuti dopo si trovarono in presenza di un cinese piuttosto piccolo, tozzo, vestito di seta azzurra ricamata in oro che salutò gentilmente i due stranieri.
Il capitano gli espose le sue intenzioni, cioè di vendere le sue merci, e dopo aver parlato per un’ora, metà inglese e metà cinese, concluse l’affare con un modico ribasso.
Terminata la vendita i due pirati tornarono a bordo e fecero i preparativi per ricevere il ricco cinese, il quale doveva venire l’indomani a ricevere la merce.
Infatti al mattino il negoziante si recò a bordo della Garonna in una piccola barca, guidata da quattro giovani tankà (battellieri).
Il capitano lo ricevette cordialmente e fu tosto cominciato lo scarico sotto gli occhi del compratore, il quale con un paio di occhiali senza lenti, esaminava scrupolosamente la merce, scuotendo il capo e borbottando parole incomprensibili.
Tutta la giornata lo scarico continuò, ma venne la sera ed ancora la metà era a bordo.
Il cinese fu invitato a dormire nella nave, ma sia che non si fidasse di quegli stranieri o per altro motivo, declinò l’invito e tornò a terra.
L’indomani, ultimata la consegna, il capitano riceveva duecentoventimila dollari in oro, essendo state rifiutate le tratte dapprima offerte.
Sbarazzata la Garonna del suo carico, non mancava altro che fare un’ampia provvista di viveri e di munizioni, ma il capitano volendo dare un po’ di riposo al suo equipaggio, decise che il carico di viveri si facesse due giorni dopo.
La mattina seguente trenta marinai, scelti fra i suoi più fidi, furono incaricati di comperare dei viveri. Prima però che s’imbarcassero li avvertì che al primo colpo di cannone ritornassero immediatamente a bordo, perchè doveva essere il segnale di pericolo. I trenta marinai, appena imbarcati, remarono rapidamente e in meno di cinque minuti sbarcarono in città. Prender terra dopo tanti anni di navigazione è la più grande felicità che può godere un marinaio, potete quindi immaginarvi se i pirati non si preparavano ad approfittare del permesso concesso. Appena scesi si slanciarono in mezzo alla folla che ingombrava la gettata facendo un baccano infernale.
Essendo quasi tutti marinai dell’antico equipaggio della Garonna e quindi amici del capitano Parry, si posero subito d’accordo per fare un bel regalo al loro comandante a spese però dei cinesi. Essi volevano nientemeno che assaltare un bazar e portare via tutto ciò che vi si poteva trovare di buono.
Uniti in un crocchio, gridando e schiamazzando, dando pugni e spinte ai poveri figli del celeste Impero che sbarravano loro il passo, si diressero verso Fai-Tsung, che è una delle vie principali e dove si trovano i negozi più belli e più vasti di Canton. I marinai guardavano entro tutti i negozi gettando sguardi stupiti sulle mostruose insegne bianche, nere e rosse ornate di draghi giganteschi che sbarravano buona parte delle vie. Dopo aver visitato almeno venti negozi, giunsero dinanzi ad uno vastissimo ripieno di porcellane, di bambù lavorati, di pacchi di the e di sete, di ninnoli d’avorio d’ogni specie e di oggetti di bronzo dorato.
I marinai compresero che vi era qualche cosa di buono per loro, e senza far cerimonie entrarono in massa, facendo un baccano infernale. Afferrarono un piccolo cinese che pareva esser un commesso di negozio, lo imbavagliarono e poi si diedero a far man bassa su tutto ciò che vi era di buono.
Erano pochi minuti che rubavano, gettando tutto sottosopra e spezzando porcellane e vetri, quando una mezza dozzina di cinesi, entrati per una porticina nascosta da un paravento, si precipitarono nel negozio, e visti i predatori, si slanciarono su un enorme tamburo di rame, battendolo vigorosamente.
Al suono formidabile del tam-tam, un gran numero di cinesi accorse a sbarrare il passo ai pirati stupiti. Questi, dopo il primo istante di sorpresa, senza aspettar altro, si armarono di bambù e uscirono precipitosamente per aprirsi la via, ma ben presto si videro circondati da un nuvolo di altri cinesi i quali gesticolando vivamente, minacciavano i pirati coi loro lunghi bastoni.
L’equipaggio della Garonna non esitò più e impegnò una disperata lotta.
I celestiali, armati di leggere ma solide canne, si difendevano abilmente, schivando i colpi dei nemici con una rara abilità, comune però agli schermidori indigeni.
I pirati, stretti in un vero cerchio, non sapevano più come fare a ripararsi da quella tempesta di colpi, che li batteva ben bene.
Quando si decisero a por mano ai coltelli, erano già giunti i bombardieri cinesi. Questi cominciarono a fulminare i pirati con fuochi d’artifizio, con bombe che non facevano nessun male, ma che tuttavia scoppiando minacciavano di acciecare gli avversari.
Già i bianchi si sentivano stanchi ed impotenti a far fronte a quell’attacco di nuovo genere.
Indarno essi si erano avventati tutti uniti sugli assalitori, che gridavano e ridevano dell’imbarazzo degli europei, che erano sempre respinti dai fuochi d’artifizio sparati sotto le loro faccie e dai colpi di bambù.
Temendo di peggio, legarono i loro coltelli sulle cime dei loro bastoni e tentarono aprirsi un passaggio a colpi di lancia, ma gli schermidori cinesi respinsero facilmente anche quell’assalto. Già cominciavano a temere seriamente di finirla male, quando udirono un grande schiamazzo risuonare all’estremità della via, poi videro i cinesi darsi precipitosamente alla fuga.
Pochi secondi dopo cinquanta soldati del celeste impero, armati di lunghe lance, si precipitarono in mezzo a quella gente, percuotendola colle estremità delle aste. I marinai visto che la via era libera, senza aspettar altro si diedero alla fuga. Correvano da pochi minuti, quando udirono un colpo di cannone risuonare dalla parte del porto.
— Il cannone della Garonna, — gridarono alcuni fermandosi di botto.
— Siamo stati traditi! — esclamarono gli altri.
— Avanti! — gridarono tutti uniti, riprendendo la corsa.
In breve giunsero alla riva e tutti insieme si precipitarono nelle due lancie, remando disperatamente verso la Garonna.
Quando giunsero sottobordo, videro i loro camerati rimasti a bordo occupati a spiegare frettolosamente le vele, mentre altri levavano le àncore e caricavano i cannoni.
I trenta marinai, arrivati presso la scala, si precipitarono sul ponte, domandando cosa fosse accaduto.
— Guardate! — rispose il secondo.
I marinai volsero gli sguardi verso il fiume e rabbrividirono.
Un brigantino entrava nel porto a vele spiegate! Quel legno era stato subito riconosciuto. Era quello che avevano predato presso la costa d’Australia, ed il capitano Parry, temendo di venire scoperto, aveva tosto dato ordine di spiegare vele e caricare i cannoni, per essere pronto a darsi alla fuga ed a difendersi.
Il brasiliano Banes aveva pure riconosciuto il brigantino. Sperando che la Garonna, se veniva scoperta, venisse presa, senza aspettare altro corse nel quadrato di poppa, afferrò la bandiera nera e la fece sventolare fuori d'un sabordo. Parve che quella bandiera fosse notata dai marinai del brigantino, poichè si udirono le grida terribili di:
— Il pirata! Il pirata!
Banes tornò subito sul ponte. La Garonna carica di vele, spinta dalla corrente e dal vento, discendeva precipitosamente il fiume.
— Il pirata fugge! — gridarono gl’inglesi, mentre numerose lancie ripiene di marinai armati, si staccavano dai fianchi delle navi, pronte a mettersi in caccia.
Il brigantino cercava di tagliare il passo alla Garonna, ma il capitano Parry con un’abile manovra sfuggì all’abbordaggio. La nave corsara passò rapidamente in mezzo a tutte quelle navi che le tiravano dietro colpi di cannone, spuntò l’isolotto di Bocatigris, girò l’isola di Macao e si slanciò sulle acque giallastre del mar cinese.
Note
- ↑ Riviera delle perle.