Gli assempri/Ai lettori/Nota (C)
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Nota (C).
Il seguente documento è autografo, e si trova alla pag. della Miscelll: Documenti di Lecceto Cod. B. IX. 19. della P. Libreria. Da questo emana l’autorità, che ci fe’ riconoscere per sue scritture, quelle che ci restano di lui.
Al Nome di Dio. Amen.
Sia manifesto a chi leggiarà questa scritta, che io frate Filippo di Leonardo di Cola, de’ frati romitani di Santo Augustino da Siena, priore del convento di Selva di Lago del detto Ordine, vedendo che Niccolò di Leonardo di Cola mio fratel carnale era vecchio e poco sano, e che la vita sua non poteva essere longa; sì ’l pregai che egli acconciasse sì e’ miei fatti, che io non avesse mai quistione con persona; et allora egli mi disse che io gli menasse un notaio, e che mi farebbe una donagione inter vivo di trecento fiorini d’oro. Io gli risposi che questa donagione io non la volevo sopra di me, con ciò sia cosa che io so’ Priore del convento, cioè di Selva di Lago, e viviamo a comune nell’osservanza de la regola, e nullo religioso può aver proprio, sicchè questa donagione ti prego che tu la faccia al detto convento di Selva di Lago per l’amor di Dio; e così el sopradetto Niccolò rimase contento, et io allora gli menai il notaio, ciò fu Ser Galgano di Cerbono. Allora el sopradetto Niccolò fece al convento di Selva di Lago sopra detto, una donagione di trecento fiorini d’oro inter vivo, e che ’l convento di Selva di Lago sopra detto non gli potesse adimandare, nè altri per lo convento, mentre che ’l sopra detto Niccolò vivesse. A tutte queste cose sopra dette io Frate Filippo sopra detto non dissi nè contradissi al sopradetto Niccolò di Leonardo, altrimenti che sia scritto di sopra, e così el lassai fare ciò che egli volse; e la cagione fu questa, cioè che l’anno che io mi feci frate, ciò fu nell’anno mille trecento cinquanta e tre, el dì di Santo Salvestro, essendo novizio nel convento di Selva di Lago, nostra madre venne a me più volte per sapere se ella me ne potesse trarre; e vedendo che io era pur fermo di stare, sì mi pregò molto strettamente che io acconciasse sì e’ miei fatti, che l’Ordine non adimandasse al sopra detto Niccolò mio fratello la parte che mi toccava de la redità di nostro padre. Io allora n’ebbi conseglio da frate Niccolò Tini priore del convento, antico e molto venerabile uomo, e da frate Michele Cecchi, el quale mi misse all’Ordine, e anco da altri frati che v’erano sanesi, e tutti mi risposero a un modo dicendo: non temere di cotesto, con ciò sia cosa che ’l convento di Siena ha per usanza di non addimandar mai nessuna eredità, senza licenza e volontà del frate medesimo a cui ella tocca, e massimamente a’ frategli e figliuogli e suoro e figliuogli de’ frategli, sícchè sta sicuro, che nessuna tua eredità sarà mai adimandata più che tu ti voglia; e così mi credetti e tennilo per costante. E doppo questo, io ebbi Niccolò mio fratello sopra detto, el quale poteva avere allora da diece agli undici anni, e şì gli dissi el fatto de la parte de la mia eredità come la cosa stava, e che l’Ordine mai non gli li adimandarebbe nè a lui nè a’ suoi figliuoli o maschi o femine che fussero, oltre a la mia volontà. Sicchè io voglio far con teco questo patto, cioè che tu t’abbi liberamente tutta la eredità di nostro padre, e non ne voglio se non solamente la mia necessità, e ogn’altra cosa t’abbi. Si vero che, se tu muori innanzi a me senza figliuoli, voglio che tu facci a me quello che io fo a te, che tu mi lassi la mia parte liberamente, e tutto o la maggior parte del tuo, e così rimanemo insieme in piena concordia ne la presenzia di Dio solamente. E poi mentre che ’l sopra detto Niccolò visse, così m’attenne come mi promisse, ed anco più pienamente assai che non m’aveva promesso. E poi in più e in più infermità ch’egli ebbe so’ certo ch’egli mi lassava ciò che egli aveva nel mondo, e acciò che io ne potesse fare ciò che io volesse, senza ’npaccio di persona. Andò da Mantova a Venezia per lo Conseglio, e fu consegliato che egli mi lassasse, che io ne facesse quello che egli m’aveva detto in penetenzia, e questo faceva acciò che io fusse più libero a farne ciò che io volesse. E di queste cose sopra dette so’ certo che egli mi disse ’l vero puramente, però che in fin da piccolino non m’avidi mai che gli uscisse una bugia di bocca.
Io frate Filippo di Lonardo di Cola sopra detto, priore di Selva di Lago dell’Ordine de’ frati romitani di Santo Augustino da Siena, ho fatta questa sopra detta scritta di mia mano per escarico de la mia conscenzia, con ciò sia cosa che Niccolò sopradetto mio fratello attenne a me pienamente come mi promisse. Sì che io frate Filippo sopra detto voglio in quanto m’è possibile attenere a Niccolò mio fratello sopradetto quello che io impromissi a lui, cioè che a Checca sua figliuola e mia nipote carnale, non voglio che le sia adimandato ne chiesto, nè litigato, nè molestata dall’Ordine di Santo Augustino nè da altri per loro, nè da nessuna altra persona; anco voglio che liberamente sia suo, ogni e ciascuna cosa che mi potesse venire o toccare de la redità di nostro padre o de la dote di nostra madre. E questa scritta io frate Filippo sopra detto ho fatta di mia mano a dì primo luglio nell’anno mille quattrocento quattordici.