Gli amori di Alessandro Magno/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Luogo pubblico, o sia stanza ove i Persiani d’Arbela si radunano per affari o trattenimento.
Forte non è abbastanza
Per superar di Babilonia i muri.
Lisimaco. Policrate, t’inganni; egli a quest’ora
Forse li 3 superò. Gettati ha i ponti
Dell’Eufrate alle rive. I suoi guerrieri
Marciano in due colonne, e già la prima,
Giunta sarà di Babilonia in vista.
Policrate. D’onde a te derivaro
Sì precise contezze?
Lisimaco. E non ti è noto,
Che da quel dì che d’Alessandro il braccio
Mosse a Dario la guerra, io fui d’Arbela
Il solo cittadin, che d’ogni fatto
Ebbe certa contezza? In ogni parte
Dell’impero di Persia
Ho tali amici, e tai notizie aperte.
Che il medesimo re le avrà men certe.
Policrate. Eh mi sovvien, che mille volte e mille
Favole altrui vendesti
Per novità. Tu cresci a tuo talento
I guerrier d’Alessandro a cento a cento.
E mi sowien che un giorno
Tu facesti Alessandro in Persia entrato,
Ed era in Grecia ai sacrifizi andato.
Lisimaco. Quel fu l’unico abbaglio.
Policrate. E allora quando
Quest’eroe sovrumano (ironico
Troncò il nodo gordiano,
Dicesti pur che gl’intricati fili
Colla destra disfar trovò la strada,
E nol seppe discior che colla spada.
Lisimaco. È ver, ma in ogni modo
Sciolse di Gordio il nodo;
L’oracolo è avverato:
Colui che l’ha troncato,
Per arte o per valore.
Esser dee della Persia il successore.
Policrate. Ma perchè mai, Lisimaco,
Contro Dario il tuo re l’animo ostenti
Così avverso e nemico?
Ammiro le virtù. Non è soltanto
Il valor, la fortezza,
Che d’ogn’altro mortal lo fa maggiore;
Ma il saper, la virtude e il nobil core.
Sai pur che allora quando
I Tebani espugnò, l’albergo impose
Di Pindaro eccellente
Dalla strage comun serbare esente.
Policrate. Or la ragione intendo
Di tua parzialità. Credi Alessandro
Delle Muse invaghito, e tu che sei,
O d’essere presumi,
Nuovo Pindaro in Persia, in mezzo all’armi
Speri far la tua sorte al suon dei carmi?
Lisimaco. Da un re che ama le scienze,
Tutto si può sperar. Tu pur che sei
D’Esculapio seguace
Dovresti amarlo e rispettarlo in pace,
Policrate. Io l’odio e l’odierò; non che mi mova
L’ira contro di lui, ma il suo maestro,
Il superbo Aristotile
Tollerare non so. Par ch’egli solo
Vaglia i segreti penetrar oscuri
Della filosofìa. Dal precettore
Forse apprese Alessandro
La Persia a disprezzar. Vogliano i Dei,
Che Dario vincitore
Porti in sen della Grecia
Lo spavento, il terror; veggansi un giorno
Sotto il giogo Persian di Grecia i liti,
E i filosofi suoi spenti o avviliti.
Lisimaco. Sordo è il cielo ai tuoi voti. Udir già parmi
Del Macedone ai cenni
Babilonia tremar.
Del tuo folle desio. Ribelle a Dario
Trema del suo poter.
Lisimaco. Dario è sconfitto.
Policrate. Menti.
Lisimaco. A me una mentita! (s' alzano
Policrate. Non merta men la tua baldanza ardita.
Lisimaco. Saprò colla mia spada
Quell’orgoglio frenar. (pone mano alla sciabla4
SCENA II.
Niso e detti.
Lisimaco. Dove?
Niso. Dove richiede
Il bisogno più grande, ardire e fede
Policrate. Io non so di che parli.
Niso. Ambi vi trovo
Coll’acciaro alla destra; esser vi deve
Noto il comun periglio.
Lisimaco. In van ciò credi.
Solo armato son io
Per l’onor d’Alessandro e l’onor mio.
Policrate. Punir vo’ un temerario
Che offende Dario e le falangi sue.
Niso. Oh pazzi tutti due!
Che importa ai due monarchi,
Che per lor vi battete?
Quel che preme saper, voi non sapete.
Alessandro...
Lisimaco. Lo so, di Babilonia
Policrate. Forse Alessandro
Dalle mani di Dario ebbe la morte?
Niso. No, Alessando è vicino a queste porte.
Lisimaco. Si avvicina ad Arbela!
Niso. Inaspettato
Arrivò a queste mura,
E la perdita nostra è omai sicura.
Lisimaco. Lo secondin gli Dei.
Policrate. Ma tu, Lisimaco,
Che per tutta la Persia
Hai chi ti reca i più sinceri avvisi,
Come giungon tai fatti a te improvvisi?
Lisimaco. E chi seguir potrebbe
La traccia prodigiosa
Di un eroe vigilante,
Che promove e risolve in un istante?
Vinta avrà Babilonia....
Niso. No, vinta ancor non l’ha.
Lisimaco. Se non l’ha vinta ancor, la vincerà.
Lodo i consigli suoi. Sa che in Arbela
Son di Dario i tesori. In queste mura
Sa che le di lui figlie
Per comando del padre hanno il ricetto,
E in sua balìa di rimirarle aspetto.
Venga il trionfatore
Venga il conquistatore,
Pugni, vinca, trionfi, io vado intanto
Le sue vittorie a presagir col canto. (parte
SCENA IH.
Policrate e Niso.
Del re di Persia un suddito malnato.
Nè che Dario si offenda
Del suo gracchiar, nè che Alessandro il voglia
Premiare un dì, se arriva
Vincitore d’Arbela infra le mura.
I monarchi di ciò non prendon cura.
Policrate. Niso, che mai sarà?
Niso. Nol so. Lontano
Dario è da noi. Sospetta
È la fede di Besso,
Ch’egli lasciò in custodia
Delle figlie e di noi. Senza difesa
Questo reo capitano
Par che arrendersi voglia. I cittadini
Chiedono in van di esporsi
Pel comune riparo.
Policrate. Oh Dei! già parmi
Sentir strepito d’armi.
Niso. Ah! l’inimico
Avvicinarsi io sento:
È compiuto di Besso il tradimento. (parte
Policrate. Io comincio a tremar. Se i miei nemici
Mi accusano al nemico, a qual destino
Sarò io riserbato?
Ah! la filosofia m’ha abbandonato.
No Chirone, Esculapio, Apollo istesso
Hanno col lor valore
Medicina opportuna al mio timore. (parte
SCENA IV.
Appartamenti reali.
Statira e Barsina.
Ahi! mi palpita il core.
Non ti avvilire ancor. Se altro la sorte
Non ci lascia del padre, il suo coraggio
Conserviamoci almeno; e il suo nemico
In mezzo al popol folto,
No, non ci vegga impallidire in volto.
Barsina. Il nome d’Alessandro
Solo mi fa tremare.
Statira. Ah! quante volte
La prevenzione istessa
Ingrandisce gli oggetti. Io l’ho veduto
Quest’eroe sì feroce
Allor che per suo padre
Venuto è in Persia a provocare il nostro;
Fin d’allora conobbi,
Ch’ei chiudeva nel seno un’alma altera;
Ma non credo ch’ei nutra un cor di fiera.
Barsina. Ahi! chi viene?
Statira. Ogni cosa
Ti fa timor. Nol vedi?
Quegli è il perfido Besso. A lui dobbiamo
L’infelice destin che ci sovrasta:
Egli è nato fra Sciti, e tanto basta.
Barsina. Perchè mai ci tradì?
Statira. Per l’empia sete
Di ricchezza e dominio. Ei spera forse
Premio tal d’Alessandro,
Che nol sa meritar. Vanne, Barsina,
Non aspettar ch’ei venga
D’adulazion perversa
Le prove a ritentar. Debole troppo
È il tuo cor innocente
Per rilevar della menzogna il fine.
Va, ritirati, e aspetta
Ch’io sola in queste porte
Barsina. Se qua giunge il nemico,
Vorrei, se si potesse,
Non veduta mirarlo.
Statira. E da che nasce
Tanta curiosità?
Barsina. Dal costume, dal sesso e dall’età. (parte
SCENA V.
Statira, poi Besso.
Fiero qual si decanta; egli talvolta
Incanta ed innamora,
Ed il mio cor se ne ricorda ancora.
Besso. Ah! principessa, in vano
Si resiste alla forza
Protetta dagli Dei. Già l’inimico,
Avido di conquiste
Le mura penetrò. Qui nol conduce
Di possedere Arbela
L’inutile desio, ma dei tesori
L’ingorda avidità. Deh! ti consiglio,
Salva il decoro tuo. Di Dario il sangue
Prigioniero la Persia andar non veda.
Fuggi, e ogni altro tesor gli lascia in preda.
Statira. Perfido, ti conosco. A te non basta
La città che vilmente
Rendesti a lui. De’ miei tesori a parte
Seco speri venir. Non gli abbandono
Indifesi così. Le regie insegne,
Il sigillo real, i preziosi
Monumenti del regno
Difenderò con quel coraggio invitto,
Riparar la città.
Besso. Che far poteva...
Statira. Taci.
Besso. Che far poteva
Contro i nemici audaci
Senza gente, senz’armi...?
Statira. O parti, o taci.
Besso. L’uno e l’altro farò. Segui in tal guisa
A favellar, se hai core,
Col guerriero ch’or vien dal vincitore.
(accennando chi viene e parte
SCENA VI.
Statira, poi Leonato con Soldati.
Di oltraggiare il mio grado.
Leonato. O tu che al volto
Sembri donna regal, del mio sovrano
Lascia ch’io possa i cenni
Francamente eseguir.
Statira. Che far pretendi?
Leonato. Penetrar quelle stanze.
Statira. Ed a qual fine?
Leonato. Per conseguir della vittoria i frutti.
L’oro che là si asconde, alle milizie
Per ordin d’Alessandro
Deesi distribuir.
Statira. Merita in vero (ironica
Il tuo re generoso
Lode per tal bontà. Che bella gloria!
Che sublime virtù! Rapir l’altrui
Per premiar le sue genti! È sì meschino
Che per spargere i doni ai suoi soldati,
Ha bisogno di dar gli ori usurpati?
Leonato. Chi sei tu, che sì ardita
Osi di favellare?
Statira. In me rispetta
Statira, primogenita
Del monarca di Persia.
Leonato. Assai mi parve
Rispettare il tuo grado, allor ch’io chiesi
A te ancor sconosciuta
Di poter obbedire al mio sovrano.
Statira. Oltre passar tu ti lusinghi in vano.
Leonato. Non cimentar, Statira,
Il dover di un vassallo.
Statira. Olà! si ardisce
Una figlia reale
Con minaccie tentare? In Macedonia
Le sublimi donzelle
Si rispettan così? L’eroe famoso,
Sotto cui militate, a voi guerrieri
Tai precetti dettò? Non si risente
La natura, l’onor, le leggi, il dritto
Delle genti e dei re? Su via, seguite
Questa nobile impresa. Il fin dell’opra
Senza tremare attendo.
Sono miei quei tesori; io li difendo.
SCENA VII.
Alessandro, Efestione, Soldati e detti.
Leonato. Invitto sire,
Del mondo domator, mira una donna,
Al tuo regio voler.
Statira.7 Prode Alessandro,
La virtù dove annida
Merita le sue lodi. In me tu vedi
Una figlia di Dario. Io in te ravviso
L’oppressor della Persia; ambi la sorte
Vuol che siamo nemici. Io del nemico
Odio il poter, ma la virtù rispetto.
E tu, se odii il mio sangue,
Devi in me rispettare il sesso, il grado,
Il coraggio, il valor. Se i miei tesori
Venisti ad usurpar, tu a me li chiedi;
Ti aprirò quelle soglie,
Sazierò il tuo desio, ma non ardisca
L’inospite messaggio (accennando Leonato
A una figlia regal recare oltraggio.
Alessandro. No, principessa, in vano
Avido tu mi credi: e se tal sono,
Non è l’argento e l’oro,
Ma la gloria soltanto è il mio tesoro.
Tu al militar costume
Di Leonato l’ardir perdona, o bella.
Restino in tuo potere
I tesori che vanti; e tu, Leonato,
Frena del cor la cupidigia avara,
E a rispettar le regie donne impara.
Leonato. Il rimprovero acerbo
Non credea meritarmi. Ai tuoi soldati
So che partir si suole
Dei nemici le spoglie.
Alessandro. I miei guerrieri,
Cui l’acquisto d’Arbela
Non costò sangue, nè sudor, qual premio
Aspettare si denno? Essere io soglio
Dalla mia man la sua mercede attende,
Ma non merta mercè chi la pretende.
Statira. Or la cagion comprendo
Perchè a pro d’Alessandro
Preser gli Dei l’impegno.
Leonato. Per te il mondo, signor, è un picciol regno. (parte
SCENA VIII.
Alessandro, Efestione, Statira e Soldati.
Non è nuovo il tuo volto.
Statira. È ver, ti vidi,
E me vedesti un giorno
Dell’Eufrate alle rive.
Alessandro. (Hai tu memoria,
Efestion, di costei?)
Efestione. (Sì, quella è appunto,
Di cui tu mi parlasti. Al primo istante
Piacqueti il bel sembiante. Ella è Statira.
Ella è di Dario la real donzella).
Alessandro. (È ver, ma agli occhi miei sembra or più bella).
Statira. (Guardami, e col guerriero
Bassamente ragiona. Io non dispero
Di acquistar il suo cor).
Alessandro. Deh! rasserena,
Principessa, il bel ciglio. Io qua non venni
Per usurpar il trono
Del re tuo genitor. Mi offese, è vero,
Sprezzando il mio poter, d’ingiurie e scherni
Caricando il mio nome, a’ piedi suoi
Desiando vedermi
Supplice, prigionier. Giurai vendetta,
La procuro coll’armi. Egli mi renda
E congiunga due re pronubo amore.
Statira. (Fortunata Statira, ecco il momento
Di mia felicità).
Efestione. (Che fai, signore?
Non rammenti la fede,
Che a Rossane giurasti?) (piano ad Alessandro
Alessandro. (Ah! tu m’uccidi.
(piano ad Efestione
Più vezzosa beltà di lei non vidi).
Statira. Signor, prendo l’impegno
Di spedir, se il permetti,
Amica gente a rintracciar mio padre.
Se un’amistà sincera
Si potesse sperar...
Alessandro.6 Dubiti in vano,
Se discorde dal labbro
Temi il cor d’Alessandro.
Statira. Il Ciel secondi
I tuoi voti ed i miei. No, non intendo
Adularti, signor, nè un debil core
Farti credere in me. Non sono accesa
Dal poter de’ tuoi lumi; in un istante
Io non dirò che mi rendesti amante.
Amo in te la tua gloria. I pregi tuoi
Mi son noti e li ammiro. Al sangue mio,
Sangue del tuo più degno
Desiar non potrei; ma tutto questo
Non mi sprona al gran passo. Il padre afflitto,
La mia patria languente, i cari amici,
I sudditi fedeli, il sangue sparso,
1 perigli futuri, e l’incertezza
Del comune destin mi dice: al core
Cerca la pace, e la procuri5 amore.
Sa ferir degli eroi, tempri lo strale
Nel bel seno di pace. Aimè! perdona,
Troppo una regal figlia
Troppo eccede, lo so, perdona al zelo,
Perdona alla pietà; quel ch’io non dico,
Quel che un giusto dover cela nel core,
Te lo additi, Alessandro, il mio rossore. (parte
SCENA IX.
Alessandro ed Efestione e Soldati.
Dover perdere il cor.
Efestione. Ma quante volte
L’hai perduto, signor?
Alessandro. So che vuoi dirmi.
Lo so che di Rossane
Mi rinfacci l’amor; ma non fu amore
Che piegommi per essa; in un convito
La vidi, la bramai; non so qual foco
M’accendesse per lei. Suddita nacque,
Io son re sulla terra. Ah! la più forte
Ragion che dal mio cor Rossane esclude,
Di Statira negli occhi amor rinchiude. (parte
Efestione. Ah! non v’è fra mortali
Virtù senza difetti. Il grande, il prode,
Il monarca maggior ch’al mondo impera,
Quel che pari alla mente ha grande il core,
Si fa schiavo sovente al dio d’amore. (parte
Fine dell’Atto Primo.