Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA

Alba.

Giustino1 che dorme sopra d’un sasso, tenendo la meno sopra une vanga; poi Ergasto.

Giustino balza furiosamente dal sasso desiandosi, ingannato da un sogno.

Sì, sì, con questa spada... ah dove sono?

Con chi parlo? Che (o? Dov’è la spada
Che in pugno avea? Dove le schiere sono
Da me sconfitte? Ah! che sognai. Giustino
Son io, povero2 e vil fra boschi nato3.

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L’aratro vile, il vomere pesante

Son l’armi mie4; son mie sublimi imprese
Fender la terra e stimolar gli armenti.
Stelle! Mi sembra ancor veder d’armati
Ripieno il campo, rosseggiar la terra
Di sangue ostil, mille cadermi a’ piedi
Trucidati guerrieri5, e quinci e quindi
Ruotar il brando, e alteri duci6 oppressi
E monarchi trafitti al carro avvinti
Guidar meco fastoso... Ah che fu sogno!
Ma che! sogno non è questo che m’arde
Impetuoso desio di trattar l’armi.
Sì, sì, vattene7 pur, strumento vile,
Del mio sudor, della mia destra indegno.
(getta via la vanga8
E voi, selve natie9, voi da me colte,
Ubertose campagne, addio10; m’attende
La gloria altrove; a seminar le stragi11
M’invita altro destin. Mi rivedrete
In altr’aria tornar che di bifolco12.
Felici voi, che produceste al mondo
Chi eternerà di queste selve il nome.
Ergasto. Figlio, non vedi il sol, che omai13 ricopre
Co’ suoi raggi la terra? Egli t’invita
All’usato lavoro. I bovi stessi
Sembrano impazienti d’uscir14 fuori
All’aperta campagna. Io non comprendo
Come uniscansi in te15 due sì contrari16
Moti ed affetti. Se a predar t’accingi
Una selvaggia belva17, il veltro stesso

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Non ti passa nel corso; e s’io ti chiamo

Degli armenti18 a guidar la coppia19 umile,
Tardo ti movi20, e quasi a forza in glebe
La terra a ricompor spingi l’aratro.
Ah I t’inganni21, se a vil reputi l’uso
Di coltivar la terra. Uomini illustri
Pel valor, per virtù, per gradi eccelsi.
Non isdegnaro colle proprie mani
Le proprie terre22 fecondar. Di Roma
I consoli superbi avean per uso,
Le clamidi deposte e i consolari
Purpurei fregi23, ripigliar l’aratro.
Ciò appresi in Corte quando24 anch’io desioso
Di cangiar stato, cangiai cielo, e vidi
Che sol felice è chi di stato umile
Sa contentarsi.
Giustino.   Ah! padre25, io lo confesso,
Quest’uso vil di guidar bovi al campo
Soffrir non so. Tu lo dicesti: un arco,
Una belva, un cimento, un’asta, un ferro
Fa tutto il mio piacer.
Ergaasto.   Non sempre lice
Tutto ciò che diletta. AI quotidiano
Vitto26 dobbiam pensar. Se tu trascuri
Di coltivar questa che il Ciel ci diede
Poca parte di terra, il pane, il vino
D’onde avrem noi? Vecchio son io27, nè posso
Reggermi più, nè28più mi vale il braccio
A sollevar la diretana29 parte
Dell’aratro pesante. Anco la voce
Mancami a stimolar gli affaticati30

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Antichi troppo e troppo magri armenti.

T’amo, Giustin, lo sai; se biade avessi
Oltre al nostro bisogno, ad un bifolco
Io parte ne darei, per sollevarti
Da peso tal che ti molesta e spiace.
Sai la mia povertà, sai qual guadagno
Traggo dal custodir le antiche belve31
Di quel serraglio 32. Io ne ricavo appena
Tanto che basta a ricoprir di queste
Ruvide incolte lane i membri nostri.
Giustino. Dunque dovrem sagrificar la vita
In ufficio33 sì vil per così poco?
No, non fia ver. Padre, perdon ti chiedo
Se ti spiaccio, se men di quel ch’io devo,
Venero i cenni tuoi. Vo’34 gire in Corte;
Vo’ servir fra soldati; e un giorno forse
Cangierem stato.
Ergasto.   Ah! che dicesti? E speri
Trovar giusta mercede al tuo valore?
Figlio, t’inganni. Ai gradi alti e sublimi,
Chi merta no, ma chi ha fortuna, ascende;
E sai chi fa questa fortuna? Il cieco 35
Amor de’ grandi 36. Osserva un vivo esempio
Di ciò ch’io dico, e non pensar ch’io voglia
Come l’uso è de’ vecchi, esempio darti
D’antica storia; no, recente e nata 37
Su gli occhi 38 nostri. Muor Zenone, il nostro
Augusto imperator; prole non lascia
Dopo di sè 39. Lascia perciò ad Arianna
Che fu sposa di lui 40, l’arbitrio intero

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Di nominar il successore al trono.

Chi credi tu ch’ella abbia scelto all’alto
Grado d’imperator? Forse un de’ primi
Satrapi della Grecia? Eh pensa! Un ch’abbia
Regio sangue in le vene? No; stupisci 41.
Scelse Anastasio, un uom nato dal fango 42.
Che nulla oprò di grande, e che fors’anco
Odia la man benefattrice. E quale
Merto, dirai, trovò l’imperatrice
In cotesto che scelse a tant’onore?
D’Anastasio ecco il merto. Ei d’adulare 43
Tutta l’arte possiede, e le passioni
Sa secondar; e poi non falla il detto:
La donna al suo peggior sempre s’appiglia.
Giustino. Dunque Anastasio, uom della plebe e vile,
Occupa il soglio di Bisanzio, ed io
Di sollevarmi da sì abbietto 44 stato
Procurar non dovrò?
Ergasto.   Ma d’Anastasio
Quale il fine sarà? Vicin preveggo
Il precipizio suo. Di Vitaliano,
Che dell’Asia minor regge una parte
A’ Cesari rapita, Arianna il nodo
Superba ricusò45, per dar se stessa
E l’impero a costui. Vendetta chiede
Vitaliano con l’armi, e quelle sono
Che odi non lungi rimbombar dal colle.
Giustino. Padre, il vero mi narri? Oh! qual la sorte
M’offre incontr’46opportuno? Ah! padre, io sento
Che frenarmi non so. Deh! mi concedi47
Cangiar48 le marre in bellicoso acciaro49.
Chi sa che questo fianco avvezzo solo

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A riposar sul rusticale aratro,

Sovra carro trionfai non miri assiso? 50
Ergasto. Spirto di vanità non ti seduca;
Non t’inganni il desio... Ma qual rimiro
Donna correr ver noi?
Giustino.   Sembra piangente;
Sembra fuggir da chi la siegue 51.
Ergasto.   Aita
Senti che chiede.
Giustino.   Io recherolle 52 aita.
Questa rustica vanga in sua difesa
Adoprerò. (ripiglia la vanga
Ergasto.   Ferma, che fai? Deh! figlio53,
Contro tanti che far solo pretendi?54
Giustino. Ciò che m’ispira55 il mio coraggio.

SCENA II.

Eufemia 56 da cacciatrìce, inseguita da uomini mascherati, e detti.

Eufemia.   Aita,

Soccorso per pietà.
Giustino.   Perfidi, addietro57.
(s’avventa58, combatte colla vanga e li fa ritirare
Questa donna lasciate.
Ergasto.   Oh! ciel, proteggi 59
Di Giustino il valor.
Eufemia.   Donate, o Numi,
Al mio pietoso difensor vittoria.
Giustino. Perfidi, già cadeste; ecco s’invola
D’essi la più vil parte. Al suolo, al suolo,
(getta la vanga

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Arma indegna di me 60. D’altr’armi il braccio

Armerò, se i miei voti ascolta il Cielo.
Ergasto. Figlio, sei 61 illeso? O dei 62, grazie vi rendo.
A gran perìglio ti esponesti.
Giustino.   Ah! padre 63,
Quanto più lieve al genio mio rassembra
Pugnar con gente armata, anzi che in giro
Volger 64 l’adunco ferro e le mature
Spiche troncar dal biondeggiante stelo.
Eufemia. Valoroso garzon, la vita io deggio
Al braccio tuo che mi difese.
Giustino.   Io nulla
Feci più del dover. (si pone in disparte
Ergasto.   Dimmi: qual gente (ad Eufemia
T’inseguiva coll’armi? Avean desio
D’aver te nelle mani, o le tue spoglie?
Erano masnadieri o traditori?
Avean piacer d’averti viva o morta?
Eufemia. Questo non so. Non li conobbi; aveano
Con maschere65 coperto il volto infame.
Ergasto. Ma tu chi sei, gentil donzella?
Eufemia.   Eufemia,
D’Anastasio germana.
Ergasto.   E perchè sola
Tra codeste campagne?
Eufemia.   Io non fui sola,
Quando partiimi66 da Bisanzio. Avea
Servi meco e custodi. Io fui dagli empi67
Abbandonata. All’apparir 68 di questa
Perfidissima gente, i miei seguaci
Tutti fuggir, sola rimasi; e preda
De’ ladroni sarei, se in mio soccorso

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Non giugnea69 quel garzon70.

Ergasto.   Perchè quest’armi?
In sì tenera età, perchè sì ardita?
Eufemia. L’unica è del mio cor delizia e cura
L’arco trattar 71, ed inseguir le belve.
Giustino. (O donna valorosa!)
Ergasto.   Ed or la belva
Inseguita tu fosti.
Eufemia. Ah! ch’io72 pavento
D’Amanzio crudo una vendetta. Ei m’ama73;
Io lo disprezzo. Mi giurò più volte
Che pentita m’avrei d’essergli ingrata.
Tesa l’empio m’avrà l’insidia indegna
Per vendicarsi del disprezzo74 e forse
Colla mia morte.
Ergasto.   Amanzio io ben conosco;
So quant’egli è superbo e quanto è crudo.
Non ti pensar però ch’ei la tua morte
Bramasse 75; altro da te, figlia, volea76
Quel disonesto... Orsù77, ringrazia il Cielo
Che salva or sei.
Eufemia.   Ma quel che mi diè vita,
Buon padre, è figlio tuo?
Ergasto.   Sì, egli è 78 mio figlio.
Strano ti sembra?
Eufemia.   Il nome suo?
Ergasto.   Giustino.
Eufemia. Ha cotal aria quel garzone in viso,
Che pastor non rassembra.
Ergasto.   È ancor più bello
Del suo volto il suo cor. Ma non isperi
Donna d’innamorarlo. Egli aborrisce79

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Ciò che la gioventù de’ giorni nostri

Ama solo e desia. Se a caso incontra
Qualche ninfa per via, guai che a mirarla
Alzasse il ciglio! ei sol di gloria è vago.
Volesse il Ciel ch’io secondar potessi
Il genio suo. Ma povertà mi opprime.
Giustino. (Che vezzosa maestà! Che vago misto
Di bellezza e valor!)
Ergasto.   Vedi com’egli
Fissa 80 in te gli occhi? Non è già il tuo volto,
Che attragga 81 i sguardi suoi. Sono quest’armi
L’incanto de’ suoi lumi.
Eufemia.   Oimè, che vedo I
Ecco Amanzio co’ suoi. Misera, io 82 temo
Qualche nuovo periglio.
Ergasto.   Alla germana
Del suo monarca ei porterà83 rispetto.
Eufemia. Troppo è superbo, ed ha dell’armi in mano
Il supremo comando.
Giustino.   A me s’aspetta (ad Eufemia
Questa seconda impresa. Il brando tuo
Cedimi, e non temer.
Ergasto.   Fermati. Amanzio (a Guatino
Dell’armi è il primo duce: offende Augusto
Chi colui non rispetta. Io ti consiglio (ad Eufemia
Celarti anzi che giunga a discoprirti 84.
Vedi là quel boschetto? Ivi t’ascondi,
E non temer. Guidala tu; ma tosto (a Giustino
Ritorna poi (non vo’ 85 che di soverchio
Colla donna sen stia. Chi sa? Siam fatti
D’una86 fragile pasta).
Eufemia.   Al tuo consiglio
Di già pronta m’adatto87.

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Giustino.   Andiam; son teco,

Non paventar. (Giustino ed Eufemia si ritirano nel bosco

SCENA III.

Ergasto, poi Amanzio, soldati e guastatori 88 con mannaje.

Ergasto.   Chi può negar che il sangue

Riconosca 89 se stesso? lo dalle fasce
Trassi Giustino a pascolar il gregge,
Nè altro d’esser ei sa che vil pastore.
E pur la pastoral vita disprezza,
E aspira a ciò che di lui fora degno 90,
Se qual nacque, ei vivesse. Oh! quante91 volte
Piango la sua sventura! E pur m’è forza
Simularla e tacer. Nel Ciel io spero92
Poter pria di morir svelar l’arcano;
E svelar a Bisanzio e al mondo tutto
Che Giustino è colui... Ma viene il duce;
Che mai vorrà? Cotesti gran signori
Vengono poche volte a far del bene.
Amanzio. Soldati, a voi, troncate d’ogn’intorno
Queste piante importune. Alle capanne
Diasi foco 93, e si rend’atto 94 al grand’uopo
Cotesto sito, ove destina Augusto
L’esercito95 schierar. (s’avviano i guastatori96
Ergasto.   Stelle 97, che sento!
Signore, altro non v’è terreno in Grecia
Ove schierar gli eserciti98 d’Augusto?
Non dico già che alla capanna mia
Si risparmi l’oltraggio. Un vil pastore,
Delle fiere99 custode, all’età giunto,

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Servendo al suo signor, canuta e lassa,

Per sè grazia non merta e non la chiede.
Ma deh! riserba100 queste piante, erette 101
Perchè da’ rai del sol fosser difese
Colè dentro le fiere.
Amanzio.   Olà, eseguite. (ai guastatori
L’orator delle fiere io non ascolto. (troncano gli alberi102
Ergasto. (Oh superbia inaudita! ei non mi degna
D’un accento, d’un guardo).
Amanzio.   Ah! potess’io103
Eufemia rinvenir!104 Ella non lungi
Esser dovria. Qui la lasciaro i miei
Servi codardi. Ah! chi 105 sarà quel prode,
Che involò all’amor mio la cara preda?
Sempre non fuggirà. Due son gli acquisti,
A’ quali aspira questo core. Eufemia
Sospiro, è ver, ma più mi cal di questo
Augusto trono. A conseguir entrambi
Forse non tarderò. Di me si fida
Anastasio; già106 il popolo non l’ama.
Profittarne107 saprò. Toglier dal trono
Chi è indegno di regnar, non è delitto.
(s’inoltra nel boschetto coi guastatori

SCENA IV.

Ergasto solo.

Or sarete contenti. Ecco distrutto

Il mio povero albergo. Ecco atterrato
Il diletto mio bosco. Oh dei! 108 s’inoltra
La turba ostile. Ahi che 109 al cerreto è giunta,

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Dove ascosa è la donna110; e il mio Giustino

Dov’è? che fa? Vuo’ rinvenirlo. Oh! giorno111
Per me fatale! A che serbarmi in vita,
Giove, sin’or? per tormentarmi? Ah! taci,
Profano labbro. Giove è sempre giusto,
È sempre pio. Sembra talor che opprima,
E benefica l’uomo. Ancora io 112 spero
La mia pace trovar fra’ miei disastri.
Quante volte provai... Ma torna il duce.
Non lo voglio mirar; mi move113 a sdegno
Il volto di colui. Più volentieri
Tratto colle mie fiere; e veramente
Un uom che di superbia ha il cor ripieno,
È la belva peggior che infesti il mondo. parte

SCENA V.

Amanzio, Eufemia, Giustino 114 e soldati. Giustino colla spada d’Eufemia 115 incalzando Amanzio ed i soldati.

Giustino. No, sin ch’io viva, in tua balìa la donna

Non averai.
Amanzio.   Qual hai 116 ragion, bifolco,
Sovra la principessa?
Giustino.   Io la difesi
Da’ traditori, e vuo’ recarla io stesso
Di Cesare all’aspetto.
Amanzio.   In van pretendi 117
Cotant’onor 118. Soldati, il temerario
Si disarmi o si uccida 119.
Giustino.   Io, benché solo,
Di voi tutti non temo, anime vili;
Venite pur.

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Eufemia.   Fermate. A me, Giustino, (si pone in mezzo

Rendi tosto il mio ferro.
Giustino. Ah! lascia 120 prima,
Ch’io l’immerga nel sen di que’ ribaldi.
Amanzio. Cosìri parli di me? Non sai ch’io sono
Duce primier dell’armi greche?
Giustino.   Io parlo
Con chi vuoi insultar la principessa.
Amanzio. Difenderla vogl’io, non insultarla.
Giustino. Difenderla dovevi allor che armati
La inseguian gli assassini 121; or non ha d’uopo
Dell’armi tue.
Eufemia.   Giustin, rendimi il brando;
Obbedisci al mio cenno.
Giustino.   Eccolo. (Un giorno
Vendicarmi saprò di quel superbo.
Temerario mi disse; io mel rammento). da si
Amanzio. Olà, colui s’arresti e sia fra ceppi
Riserbato a’ miei cenni.
Giustino.   Ah! principessa122,
Udisti? O mi difendi, o damm’il ferro123.
Eufemia. Non fia mai ver che oltraggi124
Chi a me serbò la vita.
Amanzio.   A te donarlo
Forse saprò: ma qual potrò mercede
Da te sperar?
Giustino.   Odi, se la mia vita (ad Eufemia
Ti dovesse costar una scintilla
D’amor per lui che del tuo amor125 è indegno,
Pria morirò che rimirar macchiato
Con affetto sì indegno il tuo bel core.

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Amanzio. Più soffrirlo non posso. Olà, rimanga

Da più colpi trafitto126.
Eufemia.   Ah! per pietade127
Modera l’ira tua. Vedi che in lui
Parla innocenza e rustical costume.
Deh!128 non imperversar contro la vita
D’un misero pastor.
Amanzio.   La tua pietade
Sollecita il mio sdegno. Ormai s’adempia
L’ordine mio. (vanno i soldati 129 per ferir Giustino
Eufemia.   Per questo sen que’ brandi
Passeran pria. (si pone innanzi a Giustino
Amanzio.   Dubbio non v’è: tu l’ami.
E un bifolco anteponi a un Greco duce?
Eufemia. Gratitudine è questa, e non amore.
Mi difese Giustino, ed io il difendo.
Amanzio. (Ecco Cesare, e seco Arianna Augusta).
Soldati, a voi: schieratevi d’intorno.
(Differisco130 per or la mia vendetta).
(si pongon131 in ordinanza
Eufemia. Grazia avrem dal germano. A tuo favore
Parlerò, non temer. (piano a Giustino
Giustino.   Non sarò pago,
S’io perir non vedrò quell’inumano 132.
(Amanzio va a incontrar l'imperatrice133

SCENA VI.

Anastasio, Arianna con guardie, e detti.

Anastasio. Duce, fa che stien pronte ad ogni cenno

Le armate schiere. L’inimico audace
A gran passi s’avanza.

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Amanzio. Ewi, signore,

Di Vitaliano on orator che brama
Teco parlar134 alla tua sposa unito.
Anastasio. Venga, ma pria l’esercito su l’armi
Tutto sia posto. Ascolterem costui
Qui all’aperta campagna, ond’ei comprenda,
Che pronti siamo ad incontrar la pugna.
Vanne, e trattieni l’orator frattanto.
Amanzio. (Quando mai si vedrà da questo trono
Scender l’uom vile? Oh trono al mio valore
Meglio dovuto ed al mio sangue illustre!) parte

SCENA VII.

Anastasio, Arianna, Eufemia, Giustino e toldati.

Arianna. Gioia non v’è, non v’è piacere al mondo

Senza la trista compagnia del duolo.
Felice io mi dicea, congiunta teco,
Mio diletto consorte; ecco ad un tratto
La mia felicità cangiar d’aspetto,
Convertirsi in tristezza, e il cor d’affanni
Circondarmi e di pose. Il tuo periglio
Sempre mi sta nel cor. De’ tuoi nemici
Mi spaventa l’orgoglio. Ah!135 se mi lasci.
Come viver potrò? Se a fiera pugna,
Caro, ti esponi, in quai pensier funesti
S’agiterà136 la dubbia mente? Oh dei!
Come soffrir potrò senza seguirti.
Vederti andar col nudo ferro al campo?
No, soffrir noi potrò. Seguirti io voglio
Dovunque andrai. Anch’io ho valor che basta
Per trattar l’armi, e riparare i colpi
Al petto di colui che di me stessa
È la parte miglior.

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Anastasio.   No, no, raffrena,

Augusta, d’un amor che non ha pari,
Gl’impeti generosi. Io riconosco
Da questo amor la mia fortuna.137 Io sono
Grande per te, per te di Grecia il soglio
Premo col piè. Dunque a me sol s’aspetta
Quella metà che a me donasti, e quella
Che tu possiedi138, dal furor degli empi139
Difender140 e serbar. Tu resta intanto
Sola a regnar, che ben tu sola basti
Il vasto impero a regolar del mondo.
Arianna. Ciò non fia ver. So che far debbo.
Anastasio.   Oh Dei!
Non t’arrischiar...
Arianna.   Vedi; la tua germana
Sembra ch’abbia 141 desio di favellarti.
Anastasio. Eufemia, ond’è che meste oltre l’usato
Fissi 142 a terra le luci?
Eufemia.   Ancor tremante
Son io, signor, dal più fatal periglio,
Non ha guari, sorpresa.
Anastasio.   Oh Dei! che avvenne?
Eufemia. Gente armata assalimmi: i servi miei
Avviliti fuggiro, e sarei preda
Di quegl’empi, se un forte e valoroso
Pastor non difendeami.
Anastasio.   E chi gl’indegni
Furon? 143 Li conoscesti?
Eufemia.   Avean coperti
Colle maschere i volti.
Anastasio.   Ov’è il pastore
Che ti salvò?
Eufemia.   Mira, è colui che vedi.

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Giovine valoroso, avanza il passo;

Inchìnati ad Augusto e alla sua sposa.
(Giustino si avanza
Anastasio. Pastor, chi sei?
Giustino.   Giustino è il nome mio,
Figlio d’Ergasto io144 son, di quelle fiere
Infelice custode.
Anastasio.   È a me ben noto. (ad Eufemia
Dove trovasi Ergasto?
Giustino.   Errando il vidi
Colle lagrime agli occhi 145 andar per queste
Desolate campagne. Ah! con qual pena
Vide 146 atterrar quella capanna umile
Ove nacque, ove crebbe! Oh! con qual duolo
Gli alberi147 di sua man piantati e colti,
Vide troncar sugli 148 occhi suoi! Sa il Cielo
A che l’ha trasportato il suo cordoglio.
Io non m’opposi all’opra 149 ingiuriosa
De’ servi tuoi, che rispettar mi calse
Il tuo cenno, signor; per altro io solo
Bastato avrei a preservar dagli empi150
La capanna e le piante, in quella guisa
Ch’io sol potei d’una donzella illustre
Serbar la vita, e tutelar l’onore.
Anastasio. Come altero favella! (ad Arianna
Arianna.   Ha un’alma in seno
Da eroe, non da pastor. (ad Anastasio
Eufemia.   (Più che l’ascolto,
Più penetra il mio cor).
Anastasio.   Come ti aggrada
La vita pastoral?
Giustino.   Cesare, io l’odio

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Più che la stessa morte.

Anastasio.   E qual sarebbe
Il tuo desir?
Giustino.   Cinger la spada, e in campo
Cimentarmi per te.
Anastasio.   Valor cotanto
Merta ben che si premii 151.
Arianna.   Assai più stimo
Il valor di costui, che cento spade.
Anastasio. Vuoi servir fra mie schiere?
Giustino.   Alto monarca,
Questo solo desio.
Anastasio.   Sarai contento.
Un de’ guerrieri miei da questo punto
Dichiarato già sei. Con opre degne
Del tuo valor cerca la gloria altrui
Prode emular. Sappi che grato io sono,
Che premiarti saprò, che ai gradi eccelsi
Giunger 152 potrai, benché da boschi estratto153
Ovunque la virtù trovar si faccia,
Venerar si dee sempre. Io non distinguo
Il vil pastor dal cittadin superbo,
Ma il codardo dal forte, eroe chiamando
Non chi tal per fortuna al mondo nacque,
Ma chi tal per virtude al fin si rese. parte

SCENA VIII.

Arianna, Eufemia, Giustino e guardie.

Arianna. Prode garzon, secondi il Ciel pietoso

Il tuo valor, la tua virtude.
Giustino.   Augusta,
Sotto gli auspici tuoi pugnar io spero

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Per vincer sempre, e per recarti a’ piedi

Nemici oppressi e debellate insegne.
Arianna. Allor che avrai di forte spada adorno
Il fianco tuo, meco verrai, che d’uopo
Avrò di te.
Giustino.   L’onor de’ cenni tuoi
Sarà mia gloria.
Arianna.   (Or che vestir destino
Spoglia virile, e seguitar lo sposo,
Vuo’ del forte garzon compagna farmi). parte

SCENA IX.

Eufemia, Giustino e guardie.

Eufemia. Che mai vorrà l’imperatrice?

Giustino.   Invano
Lo chiedi a me, nol so. Quando il sapessi154,
Non lo direi.
Eufemia.   Perchè?
Giustino.   Perchè insegnommi
Il padre mio, che mai non parla invano 155,
Che fidar non si de’156 segreto a donna.
Eufemia. A una donna però che te sol ama157,
Confidar lo potresti.
Giustino.   Eufemia dunque,
D’Anastasio germana, ama Giustino?
Eufemia. Chi non s’accenderebbe 158 al vivo raggio
Di sì bella virtù?
Giustino.   L’amor sospendi;
Degno ancor non ne sono. Attendi prima,
Che con magnanim’opre 159 io giunga a segno

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Di non farti arrossir d’un tale affetto.

Che direbbe di te la Grecia, il mondo160,
Se d’un vile pastor tu fossi 161 amante?
Poiché 162 reso immortale avrà la fama
Il nome di Giustino, il mondo allora
Si scorderà qual egli163 nacque, e il grado
Mirerà sol dove virtude il pose.
Allora Eufemia amar potrallo, allora
Non vi sarà chi del suo amore ardisca
Rimproverarla. Ah!164 co’ tuoi voti, o bella,
Sollecita la sorte a secondarmi.
Anch’io sento per te qualche favilla
Di foco nel mio sen; ma lo reprimo165,
Ma noli fomento. Addio, mia principessa;
Forse un giorno dirotti: anima mia166. parte

SCENA X.

Eufemia e guardie.

Così parla un pastor? Di tai pensieri

È capace chi nacque in rozza cuna?
Qual portento è mai questo? Ah! che167 Giustino
Tal non è, qual si dice. Eppur suo padre
È il vecchio Ergasto. È pur questa, in cui sono,
La terra che sovente il mio Giustino
Coltivò di sua mano. Ah! sì, quel Nume,
Che dal nulla creò tante e sì varie
Stupende cose, non avrà potuto
D’alma grande informar rustica spoglia?
Ma che dich’io rustica spoglia? Un solo
Fu di tutti il principio; egual materia

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Forma le membra d’un monarca, e forma

Quelle d’un vil pastor168. Il mio Giustino
Non è che un’opra più perfetta e bella
Di provvida natura, il cui potere
Lo stesso è nelle reggie e nelle selve.
Oh! come 169 a tempo tornami alla mente
Parte di ciò che avidamente appresi
Delle sublimi e delle occulte cose!
Sovvienimi ancor che due diversi oggetti
Forza occulta congiunge, ed ecco in noi
Una prova di questa violenta
Forza d’amor soave. Appena il vidi,
Di lui m’accesi, e par mi ben ch’anch’esso170
Si accendesse di me. Come ciò darsi
Potria senza un interno egual principio
Che ad amar ci spronasse? Oh! sorte ingrata,
Non ci tradir! Non disunir due cori
Dall’amore congiunti! E tu171, gran Nume,
Tu ch’oprasti172 il prodigio, i nostri affetti
Serba, feconda, e ne concedi il frutto.


Fine dell’Atto Primo.


Note

  1. Prima del pronome e delle congiunzione che, nell’autografo del Goldoni trovasi sempre la virgola.
  2. Prima della congiunzione e il Goldoni pone tempre la virgola, come trovasi per lo passato.
  3. Così l’ed. Zatta che noi seguiamo: nel ma. c’è punto e virgola.
  4. Nell’autografo c’è la semplice virgola.
  5. Nel ma. punto e virgola.
  6. Le parole Duci, Monarchi ed altre hanno sempre l’iniziale maiuscola nell’autografo del Goldoni.
  7. Ma.: Vatene.
  8. Ma.: getta la vanga.
  9. Il Goldoni scrive seìpre natìe, desìo ecc.
  10. Nell’autografo c’è il punto fermo.
  11. Ma.: straggi
  12. Ma.: Biffolco.
  13. Ma.: Ormai.
  14. Ma.: escir.
  15. Te e Tu hanno nell’autografo l’iniziale maiuscola.
  16. Ma.: contrari.
  17. Nell’autografo la parola Belva ha l’iniziale maiuscola: e così Padre, Bovi ecc.
  18. Ms.: Degl’armenti.
  19. Ms.: copia.
  20. Ms.: muovi.
  21. Ms.: Ah t’inganni.
  22. Così nell’autografo. Nell’ed. Zatta si legge: a fecondar.
  23. Ms.: fregi.
  24. Così nell’autografo. Nell’ed. Zatte: quand’anch’io.
  25. Ms.: Ah Padre.
  26. M₂.: Vito.
  27. Ms.: son' io.
  28. Nell’autografo il ne è senza l’accento, qui e altrove.
  29. Ms.: deretana.
  30. Ma: gl'affaticati.
  31. Così l’autografo. Nell’ed. Zatta è stampato per isbaglio selve.
  32. Nell’autografo c’è punto e virgola.
  33. Ms.: uffizio.
  34. Nel ms., qui e nel verso seguente: Vuo’.
  35. Così l’autografo. Nell’ed. Zatta è stampato per errore: E sai chi fa questo? Fortuna, il cieco ecc.
  36. Nell’autografo con iniziale maiuscola.
  37. La punteggiatura nell’autografo è la seguente: D’antica storia, no; recente, e nota ecc.
  38. Ms.: gl’occhi.
  39. Nel ms. c’è punto e virgola.
  40. Lui, e subito dopo Trono, Tu, Imperador ecc. hanno nel ms. l’iniziale maiuscola.
  41. Nel ms. ci sono i due punti.
  42. Ms.: uom fra la plebe nato.
  43. Ms.: ecco il merto: ei di adulare ecc.
  44. Ms: abietto.
  45. Ms: riccusò.
  46. Ms: incontro.
  47. Deh mi concedi.
  48. Ms: Cambiar.
  49. Ms.: aciaro.
  50. Ms.: asciso.
  51. Ms.: segue.
  52. Ms: recherete.
  53. Ms.: Ferma; che fai? Deh Figlio ecc.
  54. Ms.: prettendi?
  55. Ms.: Inspira.
  56. Nell’autografo, qui e sempre: Euffemia.
  57. Ms.: Indietro.
  58. Ms.: s’aventa al mascherati ecc.
  59. Ms.: Oh Ciel, protteggi ecc.
  60. Nell’autografo c’è punto e virgola.
  61. Ms.:se’.
  62. Ms.: O Dei!
  63. Ms.: Ah Padre.
  64. Ms.: Voglier.
  65. Ms.: mascare.
  66. Ms.: partimmi.
  67. Ms.: dagl’empi.
  68. Ms.: aparir.
  69. Ms.: giungea.
  70. Garzon, Donzella ecc. scrive sempre il Goldoni con iniziale maiuscola.
  71. Ms.: trattare.
  72. Ms.: che io.
  73. Ms.: mi ama
  74. Ms.: per vendicar il suo disprezzo.
  75. Il Goldoni aveva scritto Volesse, ma cancellò e vi sostituì: Bramasse.
  76. Ms.: voleva.
  77. Ms.: Or su.
  78. Ms.: gl’è.
  79. Ms.: abborisce
  80. Ms.: fisa.
  81. Ms: attraga.
  82. Ms.: t’.
  83. Ms.: serberà.
  84. Ms.: ad iscoprirti.
  85. Ms.: vuo’.
  86. Ms.: Di una.
  87. Ms.: adato.
  88. Ms.: e soldati.
  89. Ms.: ricconosca
  90. Ms.: degno fora.
  91. Ms.: Oh quante ecc.
  92. Ms.: Nel Cielo i’ spero.
  93. Ms.: fuoco.
  94. Ms.: renda atto.
  95. Ms.: essercito.
  96. Ms.: s’aviano gli guastatori.
  97. Ms.: Stelle!
  98. Ms.: gl'eserciti.
  99. Nel ms., qui e sempre: Fere.
  100. Ms.: risserba.
  101. Ms.: errette.
  102. Ms.: gli guastatori troncano gl’alberi.
  103. Ms.: Ah potess’io.
  104. Ms.: rinvenire!
  105. Ms.: Ah chi ecc.
  106. Ms.: Anastasio; il popolo ecc.
  107. Ms.: profittarne.
  108. Ms.: O Dei!
  109. Ms.: Ah che ecc.
  110. Nel ms. c’è il punto fermo
  111. Ms.: Oh giorno; e così, più sotto: Ah taci
  112. Ms.: t’.
  113. Ms.: muove.
  114. Ms.: e Giustino.
  115. Ms.: di Eufemia.
  116. Ms.: Qual’al.
  117. Ms.: prettendi.
  118. Ms.: Cotanto onor.
  119. Ms.: s’uccida.
  120. Ms.: Ah lascia.
  121. Ms.: L’inseguian gl’assassini.
  122. Ms.: Ah Principessa.
  123. Ms.: o dammi il ferro.
  124. Nell’ed. Zatta c’è qui un verso settenario. Nell’autografo goldoniano leggesi: Amanzio, non fia cor che oltraggio recchi — A chi deggio la vita.
  125. Ms.: amore.
  126. Ms.: traffitto.
  127. Ms.: Ah per pietade.
  128. Ms.: Deh non ecc.
  129. Ms.: gli soldati vanno ecc.
  130. Ms.: Diferisco.
  131. Ms.: gli soldati si pongono ecc.
  132. Ms.: quel disumano.
  133. Ms.: va ad incontrar l’Imperadrice.
  134. Ms.: parlare.
  135. Ms.: Ah se ecc.
  136. Ms.: Si agiterà.
  137. Nel ms. c’è punto e virgola.
  138. Ms.: possedi.
  139. Ms.: degl'empj.
  140. Ms.: difendere.
  141. Ms.: che abbia.
  142. Ms.: Fisi.
  143. Ms.: Furno?
  144. Ms.: t’.
  145. Ms.: agl’occhi.
  146. Qui e più sotto leggesi vidde, sia nel ms., sia nell’ediz. Zatta.
  147. Ms.: Gl’arberi
  148. Ms.: sù gl’occhi.
  149. Ms.: non mi opposi all’opera ecc.
  150. Ms.: a presservar dagl’empj.
  151. Ms.: premi.
  152. Ms.: giugner.
  153. Ms.: or tratto.
  154. Ms.: Lo chiedi a me. Nol so; quando il sapessi ecc.
  155. Ms.: che mai favella in vano.
  156. Ms.: dee.
  157. Ms.: sol’ama.
  158. Ms.: si accenderebbe.
  159. Ms.: Che con opre gloriose.
  160. Ms.: Che direbbe di te la Creda, e il Mondo ecc.
  161. Così il ms. Nell’ed. Zatta: fosti.
  162. Ms.: Poi che»
  163. Ms.: qual’egli.
  164. Ms.: Ah co’ tuoi ecc.
  165. Ms.: Di foco nel mio sen. Ma lo repprimo ecc.
  166. Ms.: dirotti: addio, mia cara.
  167. Ms.: Ah che; e più sotto: Ah sì.
  168. Ms.: di un vil Pastore.
  169. Ms.: Oh come; e più sotto: Oh sorte ecc.
  170. Ms.: che anch’esso.
  171. Ms.: congiunti; e tu ecc.
  172. Ms.: che oprasti.