Anastasio. No, no, raffrena,
Augusta, d’un amor che non ha pari,
Gl’impeti generosi. Io riconosco
Da questo amor la mia fortuna.1 Io sono
Grande per te, per te di Grecia il soglio
Premo col piè. Dunque a me sol s’aspetta
Quella metà che a me donasti, e quella
Che tu possiedi2, dal furor degli empi3
Difender4 e serbar. Tu resta intanto
Sola a regnar, che ben tu sola basti
Il vasto impero a regolar del mondo.
Arianna. Ciò non fia ver. So che far debbo.
Anastasio. Oh Dei!
Non t’arrischiar...
Arianna. Vedi; la tua germana
Sembra ch’abbia 5 desio di favellarti.
Anastasio. Eufemia, ond’è che meste oltre l’usato
Fissi 6 a terra le luci?
Eufemia. Ancor tremante
Son io, signor, dal più fatal periglio,
Non ha guari, sorpresa.
Anastasio. Oh Dei! che avvenne?
Eufemia. Gente armata assalimmi: i servi miei
Avviliti fuggiro, e sarei preda
Di quegl’empi, se un forte e valoroso
Pastor non difendeami.
Anastasio. E chi gl’indegni
Furon? 7 Li conoscesti?
Eufemia. Avean coperti
Colle maschere i volti.
Anastasio. Ov’è il pastore
Che ti salvò?
Eufemia. Mira, è colui che vedi.
- ↑ Nel ms. c’è punto e virgola.
- ↑ Ms.: possedi.
- ↑ Ms.: degl'empj.
- ↑ Ms.: difendere.
- ↑ Ms.: che abbia.
- ↑ Ms.: Fisi.
- ↑ Ms.: Furno?