Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. V/Libro II/I

Libro II - Cap. I

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Libro II Libro II - II
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CAPITOLO PRIMO.

Della favella, caratteri, e costumi degl’Indiani delle Filippine.


P
Resero la favella, e’ caratteri gli abitatori antichi di queste Isole da’ Malay, della terraferma di Malaca; a’ quali sono anche simili nella scarsezza d’intendimento. In iscritrura si servono di tre vocali, benche ne proferiscano cinque differenti, ed hanno tredici consonanti. Nello scrivere cominciano dalla parte inferiore, e vanno verso la Superiore; ponendo la prima linea a sinistra, e continuando verso la destra: al contrario de’ Cinesi, e Giapponesi, che scrivono di sopra verso sotto, e da destra a sinistra. Prima che s’introducesse la carta, et oggidì nelle parti dove non vi è, scrivono sopra la parte liscia delle canne, o sulle foglie di palme, con una punta di coltello. Quando è lettera però, che dee piegarsi, fa loro di [p. 128 modifica]mestieri, servirsi di foglie di palme; e così si costuma oggidì in Siam Pegù, e Camboja. Nell’Isole Filippine però gl’Indiani si sono affatto dimenticati del loro scrivere, servendosi dello Spagnuolo.

Le lingue sono tante, che nella sola Isola di Manila, ve ne ha sei; cioè la Tagala, Pampanga, Bisaya, Cagayana, d’Iloccos, e Pangasinana. Benche queste siano differenti, col mezzo dell’una s’intendono in brieve le altre, per la similitudine fra di loro. La Tagala, e Bisaja sono intese più generalmente. La favella de’ Negritti, Zambali, ed altre nazioni silvestri è incognita.

Quanto a’ costumi, si salutano eglino cortesemente; che anticamente era, levandosi di testa un panno, detto Potong, e Manpùton in lingua Tagala, che vi portano avvolto, a modo di berretta; e ciò vidi io fare anche a mio tempo da Indiani plebei fra di loro: però incontrandosi con persone di maggior condizione, piegavano profondamente la persona, ponendosi una, o due mani sulle mascelle; ed alzando nello stesso tempo un de’ piedi in aria, col ginocchio piegato. Di presente usano, quando passa qualche Spagnuolo, fare il tave, o riverenza, levandosi il [p. 129 modifica]panno suddetto, piegando la persona, e stendendo le mani giunte verso di lui.

I Tagali non parlano, che in terza persona, e di Signor mio; sedono tenendo fissi i piedi sul suolo, senza appoggio; ed aspettano d’esser dimandati, per rispondere; perche stimano mala creanza, parlar prima che le persone superiori.

Tempo fa le Madri ponevano il nome al Bambino, e il più delle volte da qualche circostanza del parto; per ragion di esempio Malivag, che vuol dire difficile, perche nacque con difficultà; Malacas, cioè Forte, perche tale dimostrossi nel venire alla luce: costume, che serbano oggidì i Cinesi. Altre volte si poneva il nome della prima cosa, che si faceva incontro, come Daan, che significa cammino; Dama, nome d’erba: e con questi soli nomi si chiamavano, senza usar soprannomi, sino al prender moglie. All’ora poi il primo figlio, o figlia dava nome a’ Genitori; come Amani Maliyag, Imani Malacas, cioè il Padre di Malivag, la Madre di Malacas. Differiva il nome delle donne per la sillaba in aggiunta: per ragion d’esempio Ilogè era nome maschile; llogin femminile.

Sono gl’Indiani di mezzana statura, [p. 130 modifica]ben fatti di corpo, cosi i maschi, come le donne; e di color morato, che inchina al nero. I Tagali usano i capelli sino alle spalle: i Cagayani più lunghi: quei d’Iloccos meno; e più corti i Bisay. I Sambali portano il capo raso d’avanti, e’l resto con capelli sciolti: non sono però cosi spiritosi, e intendenti, come quelli dell’Indie Orientali, i quali sono abilissimi in Ogni mestiere; particolarmente nel mercantare, e nello scrivere.

11 color delle femmine è poco diverso in tutte l’Isole; fuorche delle Bisaye, che in alcuni luoghi sono bianche: tutte però portano i capelli senza treccie, ma ligati graziosamente. Come che il general colore è nero, quelle che tai non sono, s’ingegnano di divenirvi, per mezzo di scorze d’alberi, e d’olio, mescolato con muschio, ed altri odori. Tutta la cura, e vanità delle donne è di pulirsi, et affilarsi i denti in età tenera, acciò crescano uguali. Vi fanno su una tinta nera, per conservargli; e le Dame di qualità gli adornano con laminette d’oro. Gli uomini per lo passato non ponevano cura ne’ mostacci, e barba; ma se gli toglieano con mollette. Le donne generalmente, e’ maschi in alcuni paesi, si dilettavano di [p. 131 modifica]portare orecchini; e quanto più grande era il forame dell’orecchie, tanto più belle erano stimate; ed alcune ne teneano due. Niuno potea vestirsi di rosso, che non avesse prima ucciso alcuno; nè di drappo lavorato con liste, prima di averne recati a morte fino a sette. L’abito de’ maschi era un sottil giubbone, che appena giungea alla cinta, con maniche corte: e le parti inferiori avvolgeano in un panno (talora adorno di oro) che passava per mezzo le gambe; siccome costumano oggidì gl’Indiani di qua dal Gange. Alle braccia portavano cerchi d’oro, e d’avorio, o pure filze di varie gemme; alle gambe corde nere; alle mani diverse anella. Il sommo degli ornamenti era un mantellino, attraversato sotto un braccio. Di presente uomini, e donne, vecchi, e giovani consumano tutto il dì quantità grande di tabacco in fumo. Ornano il capo col manputon (come si disse,) e i più bizzarri ne fan cadere l’estremità sulle spalle. Usano una veste, parimente corta, detta Cinina; alia quale le donne aggiungono una tela lunga, detta Saras, per servir di gonna; e, quando vanno fuor di casa, un mantellino. Il principal vezzo però consiste nelle gioje, che [p. 132 modifica]portano in dito, all’orecchie, e al collo, giusta il potere di ciascheduna. Non usano calze, nè scarpe, a cagion del caldo; però le donne di qualità, che vestono alla Spagnuola, ne portano al pari di noi.

Oltre tal forte di vestimenta, egli si è anche oggidì in uso, appresso di loro, di lavorarsi il corpo, in varie guise; pungendo prima la carne, sino a farne uscire il sangue; e poscia spargendovi polvere nera, per rendere cotal dipintura permanente. Quindi gli Spagnuoli dettero nome de los pintados all’Isola abitata da’ Bisay; che maggiormente di ciò si dilettavano, quasi in segno di nobiltà, e di valore.

Non lo facevano miga tutto in una volta; ma a poco a poco, a misura delle valorose azioni, per essi operate. Gli uomini perciò si dipingevano talvolta sino alla barba, e le ciglia; le femmine una mano solamente, e parte dell’altra. Nell’Isola di Manila ora si dipingono solamente quei d’Iloccos; però meno de’ Bisay.

Seggono molto basso, quando mangiano; e la mensa altresì è bassa, e di figura rotonda, o quadrata. Quanti sono i convitati, tante sono le tavole; in cui nondimeno più si beve, che si mangia; [p. 133 modifica]perocchè l’ordinario cibo è la morischetta, o riso cotto in acqua schietta; e ne’ dì festivi solamente carne.

Il vino si tragge dalle palme, tagliando il ramo prima, che faccia il fiore; e così quel sugo, che dovea salir su, a nutrire il frutto, cade ne’ vasi, a ciò destinati; siccome fra di noi sarebbe la vite, tagliata in certi tempi dell’anno. Come che tal licore ha un poco dell’acido, i poveri vi pongono alcune corteccie d’alberi, che gli dan colore, e un tal sapore più piccante; e allora si chiama Tuba. I ricchi, prima che s’inacidisca, lo distillano, più, o meno, secondo che vogliono farlo più, o meno gagliardo; e poi lo serbano a guisa d’un’acquavite, chiara, che riesce di qualità molto disseccante. La bevanda, detta Chilang, altro non è, che sugo di canne di zucchero, bollito un poco sul fuoco; onde ella è del colore del vino, e del sapore del zucchero. I Bisay ne fanno un’altra col riso, e l’appellano Pangati. Pongono primamente in un vaso certe erbe, con alquanto lievito; poi le cuoprono di riso, sino alla metà del vaso, e finalmente d’acqua. In tal guisa si fermenta, ed acquista l’acqua grandissima forza, e densità; onde per servirsene, fa d’uopo versarvi su [p. 134 modifica]molta, e molt’acqua, sino a tanto, che v’è sostanza da trarsene. La bevono poscia succhiandola, colle zarabattane, dal fondo del vaso.

La musica, e’ balli si fanno all’uso Cinese: cioè, quanto al cantare, l’uno dice, e ripete l’altro la strofa, al suono d’un tamburo di metallo: quanto al ballare, si è come una finta guerra; però con passi, e mutanze misurate. Fanno anche varj movimenti colle mani, e talvolta tenendo una lancia; colla quale si assaltano, si ritirano; s’infuriano, e si mitigano; si accostano, e si arretrano, con grazia, e bel modo, di maniera tale, che gli Spagnuoli non gli stimano indegni d’intervenire nelle loro feste. Le composizioni nella lor lingua sono anche graziose, ed eloquenti. Il maggiore loro sollazzo però è la guerra de’ Galli Plutar. in M. Ant. (di cui abbiam favellato di sopra), giuoco usato alcuna fiata dagli antichi Imperadori Romani Alexander ab Alexand. lib. 4. c. 15..

I bagni sono così usati fra di loro, che vi portano anche i bambini, appena nati, e le donne subito partorite; e ciò in acqua fredda, e dolce, prima di nascere il Sole, o dopo tramontato. Quindi è, che fanno le loro abitazioni nelle rive de’ fiumi, e sulle lagune; e che avanti ogni casa si [p. 135 modifica]vede un lavatojo, acciò vi si lavi i piedi chi entra.

Se parlando dell’Indie di Portogallo, notai lo stravagante metodo di curare di quei Medici; egli è dovere, che non si taccia di quei delle Filippine. Fra le altre, due cure di morbi mi parvero maravigliose. Il primo di essi vien detto Sutan dagl’Indiani; dagli Spagnuoli Tavardillo. Egli non è altro, che un gran dolor di testa, e di stomaco; ad ogni modo reca inevitabilmente a morte, se l’infermo subitamente non ha una buona dose di bastonate sulle braccia, coscie, gambe, e la parte destra del petto. Si fregano poi fortemente le lividure, con sale, sino a farle divenir nere; affinche richiamato fuori il sangue, esca in abbondanza, quando vengono intaccate le carni colla lancetta. Quindi si lavano con acetone all’infermo, per tre dì, non si dà altro cibo, che riso, cotto in acqua, senza sale.

L’altra infermità, particolare dell’Isole di Negros, Bool, Panay, Otton, e Xolò, fa ritirare, così alle donne, come agli uomini la lingua in dentro, e le parti vergognose; in tal modo, che pone a pericolo di morte. Ne attribuiscono la cagione a freddezza; e la guariscono dando [p. 136 modifica]all’infermo i genitali del pesce Mulier, o pure del Coccodrillo, polverizzati nel vino, o nell’acqua.

Non si è trovata sin’ora alcuna cosa, in iscritto, nè della Religione di queste nazioni, nè del loro antico Governo politico, nè delle Istorie: ma le notizie, acquistate per le tradizioni, passate da Padre in figlio, e conservate in alcune canzoni, della Genealogia, e fatti eroici de’ loro Dii; si sa, che aveano un certo Dio, più principale, detto da’ Tagali Barhala may capal, cioè il Dio fabbricatore. Adoravano, come gli Egizj Animali, ed uccelli; e come gli Assirj il Sole, e la Luna. Non vi era scoglio, pietra, promontorio, fiume, cui non sacrificassero; nè albero vecchio, al quale non prestassero culto divino; e si stimava sacrilegio il tagliarlo, per qualunque necessità.

Dura anche oggidì tal superstizione; sicchè, per qualsivoglia forza, che loro si facesse, non s’indurrebbono gl’Indiani a tagliare un certo grande, e vecchio albero, detto Balette (che ha le frondi, come un castagno, e la scorza giovevole alle ferite); nettampoco qualche canna alta, et antica; credendo vanamente, che quivi abitino i loro antepassati; che, col taglio [p. 137 modifica]della pianta, si cagioni loro febbre; e che perciò comparirebbe un vecchio (che dicono Nuno) a lamentarsi della loro crudeltà.

Dura in essi questa vana credenza, perocchè sembra loro, alle volte, di vedere varie fantasime, dette Tibalang, sulle cime degli alberi: e portano ferma opinione, che le medesime compariscono eziandio a’ fanciulli, in forma delle loro Madri, e gli conducono ne’ monti, senza punto offendergli. Dicono vederle di figura altissima, con capelli lunghi, piedi piccioli, ale lunghissime, e’l corpo dipinto; e che si senta all’odore la lor venuta. Siasi come si voglia, che io non voglio entrare, a filosofare di tal materia: ma certamente gli Spagnuoli, non le veggono, benche gl’Indiani loro dicano, ch’elleno sono presenti. Il vocabolario Tagalo Pag. 318. e 452., composto da un tal Francescano, parla largamente di queste fantasime.

Nella Pampanga, e propriamente nel monte, detto Bondo, o Kalaya, alto una lega, e mezza (che fu già de’ Regoli Sinoquan, e Mingan) sono plantani, betle, ed altre frutta. Dicono, che si ponno esse quivi mangiare; ma se alcuno tenta portarne fuori del luogo, rimane certamente morto, o in qualche maniera stroppio. [p. 138 modifica]Queste stravaganze potrebbe cagionarle il nemico deli’ uman genere (non impedito da Dio) per ritenere que’ popoli nel Gentilesimo; ad ogni modo v’hanno buona parte gli stessi Indiani, che sono famosi stregoni, e sovente dicono trasformarsi in Coccodrilli, Cinghiali, ed altre fiere.

Adoravano anche alcuni particolari Iddii, rimasi da’ loro maggiori, e detti da’ Bisay Davata, da’ Tagali Anito. Uno di costoro riputavasi, star ne’ monti, e ne’ campi, per soccorrere i pellegrini; un’altro per far germogliare le semenze; ed a costui lanciavano, in certi luoghi, cose da mangiare, per renderselo propizio. Eravi anche un’Anito di Mare, per la pescagione; e un’altro di casa, per la cura de’ bambini. Fra questi Aniti veniano riposti gli avoli, e bisavoli; quali poscia invocavano in tutte le traversie; tenendo in loro memoria statuette, mal fatte di pietra, di legno, di oro, o di avorio, dette Liche, o Laravan. Annoveravano anche fra’ loro Dii tutti quelli, che morivano di ferro, o di fulmine, o mangiati da Coccodrilli; credendo che le anime di essi montavano in Cielo, per un’arco, appellato Balangao. Quindi i più vecchi scieglievansi, per sepoltura, qualche luogo ragguardevole [p. 139 modifica]ne’ monti; e spezialmente in quelle punte, che s’avanzano in Mare, per essere adorati da’ Naviganti. Narrano anche varie novelluzze, intorno la creazione del Mondo, e a’ primi uomini, che vi abitarono.

In tutto l’Arcipelago non vi erano Re, nè Signori di gran conto; ma nelle continue guerre, che aveano tra di loro, i minori si collegavano co’ più potenti. In Manila però erano Signori, o principali il zio, e’l nipote, con uguale autorità. Ogni Governo, o Giurisdizione differente, s’appellava Barangai; perocchè, siccome erano quivi venute, in un Barangai, o barca, le famiglie, a trovare abitazione; così appunto si rimanevano, prestando ubbidienza al Piloto, o pure al Capo di tutto il parentado, e da lui prendeano nome. Si poneano poscia a coltivar tanto terreno, quanto potean difendere dagli altri Barangai vicini: e quantunque, stabilitisi poscia nel luogo, s’ajutassero scambievolmente con gli altri; non poteano però, per alcun verso, mescolarsi fra di essi; ed entrare uno nella tribù degli altri (particolarmente gli ammogliati, e le maritate) se non pagando certa quantità d’oro, e facendo un banchetto a tutto il suo Barangai; altrimente sarebbe stato cagion [p. 140 modifica]di guerra. Facendosi maritaggio di due persone di diverso Barangai, i figli aveansi a dividere, come se fussero stati schiavi.

La nobiltà non era ereditaria, ma s’acquistava coll’industria, e forza; cioè facendo l’agricoltore, il fabbro, l’argentiere, od altro; e venendo in riputazione nel suo mestiere: ed allora quel tale era detto Dato, o Principale (e da’ Tagali Manguinao) e tutti i parenti, ed amici seguitavano il suo partito. Se costui poscia venia a perder gli averi, perdeva anche il credito; e’ Tuoi sigli rimanevano Origuin (e in lingua Tagala Alipin) che val quanto schiavi. Plebei eran riputati coloro, che si procacciavano il vitto lavorando la terra, o colla pescagione, e cacciagione. Dopo il dominio Spagnuolo si sono fatti tutti pigri; quantunque riescano ne’ lavori meccanici; come in far cateniglie, e Rosarj d’oro dilicatissimi, ed altre cose. In Camarines, e altrove fanno forzieri, cappelle, e cassette di varj colori, et ingegnosamente lavorate di canne d’India: poiche in tutte l’Isole se ne truovano dilicate, e lunghe sino a 50. palmi; che si avviticchiano agli alberi, a guisa d’edere. Le donne fanno merletti, poco inferiori a quei di Fiandra; e ricami di seta [p. 141 modifica]maravigliosi. La sola pigrizia non fa comparire il loro buon talento; ed ha preso così altamente a dominargli, che se, in camminando, sentissero pungersi il piede da qualche spina; per non prender la fatica di calarsi, non la torrebbono da quel luogo, acciò gli altri non v’inciampassero.

I principali Indiani aveano, per lo passato, gran quantità di schiavi, (della loro medesima nazione) che talvolta giugneano a centinaja. L’origine, e fonte di tale schiavitù si era l’usura; talmente costumata fra di essi, che nè il Padre al figliuolo, nè un fratello all’altro prestava alcuna cosa (per molto che lo vedesse in miseria) senza il patto, d’aversegli a restituire il doppio. Or non potendo il debitore pagare, nel tempo stabilito, ciò che avea promesso; resta va schiavo del creditore, sino alia soddisfazione del debito; e frattanto, colla dilazion del pagamento, l’interesse si moltiplicava, sino ad eccedere di gran lunga il capitale: e così, senza speranza di liberta, rimaneano coloro schiavi, con tutti i discendenti. Oggidì i debitori impegnano i figliuoli, e in alcune parti gli vendono (dell’uno, e l’altro sesso) spezialmente i Bisay; quantunque il Rè, con severe leggi, abbia loro vietato [p. 142 modifica]un così barbaro, e reo costume. Talvolta i padroni aggiungeranno all’usura il valore d’una scudella, che avrà forsi rotta lo schiavo, per privarlo maggiormente di speranza.

Diveniva anche schiavo ogni prigioniero di guerra; quantunque ella si fusse tra persone dello stesso luogo. I Principali eziandio toglieano tirannicamente la libertà a’ plebei; perche forse essi aveano rotto il silenzio del lutto, o gittata casualmente sopra di loro alcuna immondizia, o per esser passati per quei luoghi, dove si bagnavano; o per altra leggiera cagione: e tai schiavi vendevano poscia a lor volontà. Costoro restavano nelle loro case, a vivere delle loro fatiche; però il Padrone prendea da essi una raccolta dell’anno, o parte; secondo che era più, o meno crudele. Un’altro genere di schiavi serviva i Padroni, in tempo che ospiziavano alcuno, che seminavano, faceano raccolta, o s’imbarcavano, Veniano costoro appellati Namama bay, da’ Tagali Sanguiguilir, da’ Bisay Halan. Accadeva talvolta ad alcuno d’essere schiavo di più persone; o per la metà libero, e per la metà schiavo. Ciò era quando egli nascea da padre libero, e madre schiava, o [p. 143 modifica]per lo contrario; e che era il terzo loro figlio: perche il primo seguiva la condizione del padre libero, o schiavo; il secondo della madre; e’l terzo era mezzo libero. Quando la madre era libera, tal figlio era schiavo per la quarta parte. I Sambali pretendono, che i Tagali sono loro schiavi.

Si costuma, anche oggidì, in tempo d’eclissi, fare grande strepito con tamburi, ed altri strumenti; acciò si atterrisca ii dragone, da cui stimano, che venga inghiottita la Luna; ed atterrito la vomiti. Usavano, per lo passato, di giurare avanti una fiera, overo una candela accesa; dicendo di volere esser divorati da simil fiera, o dileguati, come candela, se non osservavano la promessa; o pure di esser lacerati dal legarto, o ingojati dalla terra. Per qualsivoglia forza giammai un’Indiano non si ridurrà a bestemmiare il demonio: ed astretto a ciò fare, risponderà; che non dee maledire un, che non gli ha fatto male.