Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro III/V

Libro III - Cap. V

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CAPITOLO QUINTO.

Abbondanza, e Temperamento d’aria della Cina.


L
E due sorgive del commercio sono, senz’alcun dubbio, la navigazione, e l’abbondanza di tutte sorti di mercanzie, che si truovano nello Stato. Queste le possiede la Cina in tal modo, che non vi ha Regno, che la uguagli, non che la superi. La quantità d’oro, ch’ella ha in [p. 385 modifica]tutte le sue Provincie, è tale, che in vece di convertirsi in moneta, vien comperato egli medesimo per mercanzia. Quindi è nato il proverbio, che si sente spesso in Macao: l’argento è del sangue, e l’oro è mercanzia. A riguardo dell’argento, la cupidigia, ed industria in acquistarlo sono così antiche, che l’Imperio; e perciò la quantità, che i Cinesi ne hanno accumulata, dee essere immensa: imperocchè tutto quello, ch’entra una volta nello Stato, non può giammai più uscirne, sì rigorose sono le leggi, che ciò vietano. Rade volte in Europa si fanno presenti di cinquecento, o mille scudi; ma nella Cina è molto ordinario il farne di mille, di dieci, venti, trenta, e quaranta mila; e spezialmente alla Corte, si spendono più milioni in regali, e presenti. Ciò accade perche non v’è carica di Presidente di Città, che non codi più migliaia di scudi, e qualche volta 20. e 30. mila; e a proporzione gli altri uficj minori. Per essere alcuno V. Re d’una Provincia, bisogna pagare, prima d’esserne posto in possesso, trenta, quaranta, e allo spesso sessanta, e settanta mila: non che il Re riceva tal danajo, o che n’abbia almeno notizia; ma perche i Governadori [p. 386 modifica]dell’Imperio, i Colao, o Consiglleri di stato, e i sei supremi Tribunali della Corte vendono secretamente le cariche. Coloro, che, con tal mezzo, divengono V. Re, o Mandarini delle Provincie, per rimborsarsi lo speso, prendono presenti da’ Presidenti delle Città; costoro da’ Presidenti delle ville, e borghi; e tutti insieme s’ingrassano a spese del miserabile popolo. Quindi è comune il proverbio nella Cina: che il Re, senza saperlo, espone il suo popolo ad altrettanti carnefici, assassini, cani, e lupi affamati, quanti sono i nuovi Mandarini, che crea, per governarlo. Certamente non vi è V. Re, e Visitatore di Provincia, che dopo tre anni di ufficio, non ritorni a casa con sei, e settecento mila, ed alle volte un milione di scudi. Da tutto ciò si argomenta, che quantunque considerata l’inchinazion naturale, e l’avidità insaziabile della nazione, vi sia poco argento dentro la Cina; riguardandosi nondimeno in se stesse le ricchezze, ch’ella possiede, non vi è Regno, che possa starle appetto.

Si truovano altresì in Cina molte miniere di rame, ferro, stagno, e ogni sorte di metalli: la rame nondimeno è in maggior copia; e perciò fanno tanta [p. 387 modifica]artiglieria, tante statue d’Idoli, e vasi di differenti maniere. Non v’è memoria, che giammai per l’addietro vi sia stata in uso moneta di carta, come scrisse Marco Polo Lib. 2. cap. 18.; ma solamente più secoli sono, pagava l’Imperadore a’ soldati la metà delle paghe in danajo contante, e l’altra in polizze, chiamate chao, che poscia vennero di nuovo in potere del Rè.

La seta, e la cera bianca della Cina sono due cose, che meritano essere notate. La prima è la migliore del Mondo, e ve n’ha tale abbondanza, che gli antichi chiamarono la Cina, il Regno della seta. I moderni anche lo sanno per isperienza; perché molte nazioni d’Asia, Europa, ed America, ne traggono ogni anno quantità grandissima, e lavorata, e cruda; con tante caravane, e numero di vascelli, ch’è una maraviglia. Oltreacciò è incredibile la copia di drappi semplici, e con lavorio d’oro, e d’argento, che si consuma dentro lo stesso Regno. L’Imperadore, i Regoli, i Principi, i Grandi, con tutti i loro domestici, (fino a’ lacchè) i Mandarini, gli Eunuchi, i Letterari, i Cittadini, e quasi tutte le donne, e la quarta parte del resto degli uomini portano vesti di seta, tanto di sopra, che di sotto. In fine [p. 388 modifica]può ogni uno comprendere cotale abbondanza dalle 375. barche, che le due sole Provincie di Nankin, e di Ciekian mandano ogni anno alla Corte, cariche d’ogni spezie di lavori di sera; oltre i ricchi, e preziosi abiti per lo Re; per la Regina, per gli Principi loro figli, e per tutte le dame del palagio. Al che s’aggiugne la gran copia, così semplice, come posta in opra, che le Provincie mandano ogni anno di tributo al Re.

Questa seta è di due maniere, naturale (che dicono Kien) ed artificiale. La naturale si sa da alcuni bachi, ne’ campi, e su gli alberi; e raccolta si fila, ma non è tanto buona. L’artificiale si fa della medesima maniera, che in Europa; nutrendosi i bachi con fronde di gelsi, per 40. giorni: la migliore è quella di Nankin, e Ciekian. Io ne tengo dell’una, e l’altra sorte.

Quanto alla cera, è la più bella, e bianca di qualunque altra, benche non sia d’api; e si raccoglie in tal quantità, che basta per tutto l’Imperio. Si truova in più Provincie, ma quella di Hûquàm supera tutte l’altre, tanto per la copia, quanto per la bianchezza. Ella si [p. 389 modifica]raccoglie nella Provincia dì Xantúm da alberi piccioli; ma in quella di Hûquàm, da ben grandi, quanto quelli delle Pagodi d’India, cioè, quanto un castagno d’Europa.

Assai strano a noi sembra il modo, con cui vien prodotta dalla Natura. Truovasi in questa Provincia un’animaletto, della grandezza d’una pulice, così inquieto, e pronto nel mordere, che non solo penetra prestamente la pelle degli uomini, e delle bestie; ma anche i rami, e i tronchi degli alberi. Sono in gran pregio quelli della Provincia di Xântùm; dove gli abitanti raccolgono le uova da dentro gli alberi, e le portano a vendere nella Provincia di Hûquàm. A primavera escono dalle uova alcuni vermi, che, sul principio della State, si pongono appiè dell’albero; e vi montano su, spargendosi maravigliosamente per tutti i rami. Quivi collocati, rodono, forano, e penetrano sino al midollo; e’l nutrimento preparano, e convertono in cera bianca, come neve; che poscia spingono sino alla bocca esteriore del forame, da essi fatto; e quivi dal vento, e dal freddo congelata, resta pendente in forma di goccie. Allora i padroni degli alberi la raccolgono, e ne formano masse, [p. 390 modifica]come noi; e la vendono, e distribuiscono per tutta la Cina.

Consumano qualche poco di lana i Cinesi, solamente nelle coperte da letto; perché quanto alle vesti, la plebe le usa di tela di cottone, imbottite del medesimo: e i nobili poi, in Inverno, le foderano di varie pelli di grandissimo prezzo (anche le donne) particolarmente nelle Provincie Settentrionali, e nella Corte di Pekin. Quando il Re vien fuori in pubblico, nella sala Reale (ciò che si fa quattro volte il mese) i quattro mila Mandarini, che vengono a fargli riverenza, sono tutti, coperti da capo a piedi, di zibelline preziosissime. Generalmente tutti i Cinesi non solo foderano in varie guise i loro stivaletti, e berrette; ma eziandio le selle de’ loro cavalli, i banchi, le sedie, e le tende.

Quei del popolo, che han comodità, si vestono di pelle d’agnello; e i poveri di pelli di montoni: di sorte, che non vi è persona dentro Pekin, che d’Inverno non sia coperta di diverse pelli d’animali; e talvolta di così preziose, che costano due, tre, e quattrocento scudi.

A riguardo della carne, del pesce, frutta, ed altri cibi, basta dire, che [p. 391 modifica]hanno tutti quelli, che noi abbiamo in Europa, e molti altri, che non abbiamo noi; perche quanto all’abbondanza, si scorge dal basso prezzo. Come che la lingua Cinese è molto laconica, e la loro scrittura altresì: eglino esprimono quasi tutte quelle cose, con sei lettere, o sillabe: le due prime sono ú-co, e significano le cinque principali sorti di grano; cioè riso, formento, avena, miglio, piselli, e fave; a’ quali si possono aggiugnere varie sorti di legumi; come fagiuoli, ceci, e cicerchie. Le due altre sono Lo-hio; cioè sei sorti di carne di animali domestici, che sono il cavallo, il bue, il porco (ch’è eccellentissimo) il cane, il mulo, e la capra. Le due ultime, Pe-quó, significano cento sorti di frutta; cioè pere, (e fra l’altre una spezie particolare, detta Goyavas) poma, nespole, sorbe, persiche, uve, melaranci, noci, castagne, melegrane, cedri, limoni, lazzeruole (però non della bontà delle nostre) pinnocchi, pistacchi, ed altre.

Proprie del paese ve n’ha molte; come a dire, fichi d’India, ananas, ed altre d’Asia, altrove abbastanza descritte. Uno, che chiamano Vivas, è affatto particolare della Cina: egli maturo è di color [p. 392 modifica]giallo, di sapor agro-dolce, di cui si prende solamente il sugo.

Tre altre frutta però sono di eccellente sapore. Uno è detto Naici, o Licie, (da’ Portughesi Lichias) della grandezza, e figura d’una noce, con scorza dilicata, come una squama di pesce. Prima di maturarsi è verde; e maturo, inchina al colore incarnato: di sapore è dolcissimo, e stimatissimo da’ Cinesi, tanto che lo conservano secco. L’albero è alto quanto un pero.

Il secondo, che vien chiamato Lungans da’ Portughesi, è dolce, e rotondo come, la licia; però di color verderognolo. L’albero è molto folto di fronde, e porta le frutta, come grappoli d’uva. Così fresco, come secco, è di maraviglioso sapore.

Il terzo, detto Seyzu, è un frutto, che ha la figura, e’l colore d’un melarancio, però con la scorza dilicata, e liscia; di sapore è dolcissimo, ed ha alcuni noccioli dentro, come pistacchi. Si mangia verde, e secco, condito in zucchero; però bisogna avvertire a non mangiar dopo di esso granchi, perche fa venire terribili flussi di ventre. Gli Spagnuoli, ritornando da Manila nella nuova Spagna, ne portano quantità inzuccherate. L’albero, e [p. 393 modifica]fronda e come d’un ciriegio nostrale. Tutti e tre meglio si comprenderanno nelle presenti figure.

Come che l’erba Te, o Cià, è l’unica bevanda stimata fra’ Cinesi, siccome fra gli Spagnuoli la cioccolata; non essendovi visita, dove non se ne consumi grandissima quantità; non sarà perciò fuor di proposito dirne alcuna cosa. Avvegnache porti il nome d’erba, si raccolgono le frondi da piccioli alberi, che non ugualmente in ogni Provincia sono in pregio, ma particolarmente in quella di Cie Kian, nel territorio della Città di Hoci-cheu. Danno un fiore alquanto odoroso in Estate; però le foglie debbonsi, con molta diligenza, raccorre d’Inverno. Primamente si riscaldano un poco in un caldaio, a lento fuoco; poi si pongono in una stuoja sottile, e si avvolgono colle mani; quindi involte di nuovo, si pongono al fuoco, tanto che restino ben secche; e finalmente si ripongono in vasi di stagno, e di legno, acciò non isvaporino, e per custodirle dall’umidità. Volendosene poscia servire, le pongono in un vaso, e vi versano acqua bollente sopra, che fa ritornarle verdi, e distese come prima; ed ella prende un’odor [p. 394 modifica]soave, e un sapor non dispiacevole; particolarmente quando le frondi la rendono di color verde. Tanta è la varietà, e qualità di questa erba, e differente la virtù, che se ne truova di due carlini la libbra, e dall’altro canto di due scudi. Una spezie rende l’acqua di color d’oro, un’altra verde: e quanto al sapore, taluna la fa amara; e la migliore!, e più stimata e cara, amarissima. Attribuiscono i Cinesi alla virtù di questa erba, il non conoscersi nel loro Imperio, nè podagra, nè mal di pietra. Dicono, che presa dopo desinare, toglie ogni indigestione, e crudità di stomaco; giova alla concozione, libera dall’ubbriachezza, facendo, che i vapori del vino non ingombrino il capo; toglie tutte le molestie d’un’eccessiva crapula, perciocchè dissecca, e dissolve i superflui umori Atlas Sinicus.; e giova a gli studiosi, che vonno stare in vigilia. La pianta, e fronda si vede nella seguente figura.

Si truova anche in Cina Rabarbaro, spezialmente però nelle Provincie di Suchuen, Xensy, e nelle vicinanze di Socieu, Città non molto discosta dalla gran muraglia. Viene questa pianta in luoghi umidi, e dentro una spezie di terreno, che inchina al rosso. Le foglie sono [p. 395 modifica]ordinariamente lunghe due palmi, lanuginose, e più strette nel loro cominciamento. Il gambo s’innalza un piede, e porta i fiori, come grandi viole, da’ quali, premuti, esce un sugo alquanto bianco, e di odor molto grave, e dispiacevole. La radice è lunga talvolta tre piedi, e della grossezza d’un braccio umano; al di dentro è gialla, con alcune vene rosse, dalle quali sgorga un sugo viscoso, parimente d’un giallo, che partecipa del rosso. Il tempo di raccoglierla è tutto l’Inverno sino a Maggio, prima che le frondi spuntino; perche la State si truova leggiera assai, e porosa, e lenza quei sugo viscoso, in cui consiste la virtù. Raccolta ch’è, si tolgono via le barbe, e si taglia in pezzettini; i quali si pongono sopra una tavola, e tre, o quattro volte il giorno si volgono, acciò non perdano, ma s’imbevano di quel loro sugo. Indi a quattro, o cinque dì s’infilzano, e si danno seccare al vento, in luogo, dove non siano esposti al raggio solare; imperocchè la sperienza ha insegnato, che perdono la loro virtù. Quando questa radice è fresca è amarissima. I Cinesi la chiamano Tay huam, cioè gialla assai.

Sono ottimi in Cina i melloni d’ogni [p. 396 modifica]spezie, le zucche, i cedruoli, le rape, i ravanelli; nè vi mancano buoni cavoli, finocchi, cipolle, agli, appio, borraggini, ed altre erbe, che abbiamo in Europa: però le loro particolari sono in maggior quantità, e migliori. Una è detta linchiò, che nasce vicino l’acqua, e produce un frutto con due corna, assai tenero, e del sapore di mandorla. Un’erba detta Pezzay, cotta è d’eccellente sapore. Vi sono anche Batatas, e più sorti di radici di gran nutrimento.

Quanto a’ fiori, ve n’ha bellissimi, e in gran copia; spezialmente Tuberose. De’ nostrali non mancano loro i vivuoli, le rose, i gelsimini, ed altri. I loro particolari sono più di veduta, che d’odore; e si seminano fra le commessure de’ mattoni ne’ cortili, per far pompose spalliere. Si pongono in Primavera, e fra due mesi si fanno alti quattro palmi, e durano quattro in cinque mesi. Sono di varie sorti, però i principali sono chiamati Kiquon, e Lausciaye. Il primo fà come un velluto di varie forme, e colori. Il secondo non è propriamente fiore, ma le ultime, frondi, in cima della pianta, divengono così vagamente, e diversamente colorite, che si stimano più di qualsivoglia fiore. [p. 397 modifica]

La cacciagione poi è assai abbondante, particolarmente vicino la Corte, ne’ tre mesi d’Inverno: e quindi si vedono in diverse piazze, a ciò destinate, file lunghe due tiri di moschetto, di diverse sorti di animali volatili, e quatrupedi, dritti sulle loro gambe, così induriti dal freddo, che ne impedisce anche la corruzione. Si veggono Orsi di tre spezie: la prima detta da’ Cinesi, Gîn hiûm, cioè a dire orso Uomo, la seconda Keu hiûm, Cane orso, e la terza Chu-hiûm, o porco orso, per una certa tal simiglianza nel capo, e branche. I piedi d’orsi ben cotti, e ben apparecchiati, sono stimatissimi ne’ festini de’ Cinesi; e il lor grasso è una gran delizia per gli Tartari, che lo mangiano crudo, mescolato col miele.

Vi è altresì gran copia d’ogni altra spezie di fiere; cioè diverse sorti di cervi, daini, tigri, cinghiali, alci, o Elan, lepri, conigli, gatti, sorci selvaggi, ed altri.

Per quel che tocca a’ volatili, vi è una prodigiosa quantità di faggiani (come anche in Tartaria) avendosene uno per cinque grani della moneta di Napoli; di pernici, di quaglie, di oche, di grui, e di anitre. Vi sono cornacchie stravaganti per le piume; poiche se tutte l’altre [p. 398 modifica]sono nere, quelle di Cina hanno la gola, e’l petto bianco. Sono però di mal gusto a mangiare.

Per lo canto, il rossignuolo della Cina supera l’Europeo, e’l Canario; cotanto armoniosa, sonora, ed alta è la sua voce, colla quale sì fattamente gorgheggia, che sembra, avere appresa per arte la musica. Egli è tre volte più grande del nostro, ma dell’istesso color di penne; e’l chiamano Sayu. Un’altro uccello altresì, detto Sanxò, canta assai bene. Egli tiene due macchie bianche, e tonde sotto gli occhi, e tutto il resto del corpo nero. Il Martigno (come dicono i Portughesi) anch’è uccello da gabbia; di cui facemmo menzione nella terza parte.

Tanto grande spazio di paese (quanto ne misurano i gradi, fra’ quali si è detto altrove, giacer la Cina) sembra, all’amenità del terreno, all’abbondanza di frutta, e alla deliziosa cultura, tutto un giardino. Ciò avviene, perche quanto alla Zona, che chiamano Torrida, non vi soggiace, che nell’estremità delle Provincie di Canton, e Quansi, le quali passano il Tropico. Nel rimanente tutto sta dentro la metà inferiore della Temperata, in modo però, che nelle [p. 399 modifica]Provincie di Pekin, e Sciansì si gode di tutto quel bene, di che sogliono abbondare le terre del più alto Settentrione: imperocchè il Verno vi dura assai più di quello, che regolarmente comportano quaranta soli gradi di elevazion polare. Tra per la possanza del freddo, e per la condizion dell’acqua, dalla metà di Novembre il ghiaccio ne’ fiumi, e laghi divien così grosso, e duro, che regge li peso de’ cavalli, e de’ carri; nè si dilegua sino a passato Febbrajo. Così la Cina pertecipa, per quanto le torna in bene, di tutte le differenze de’ Climati, senza avere, o la barbarie dell’uno estremo, o la troppo mollezza dell’altro. Ella non è nè tutta in piano distesa, nè tutta sull’erta de’ monti, ma dove l’uno, dove l’altro; con non men vaga, che utile proporzione. Le più sono collinette amenissime, seminate da per tutto; benche vi abbia altresì in ogni Provincia i suoi apennini, e selve di preziosi alberi, per le più scelte opere d’intaglio, e per l’uso necessario alla fabbrica delle case. Il meglio però de’ monti è coltivato; perche i Cinesi, studiosissimi di agricoltura, ne spianano l’erte, e vi formano campi da seminare: nè mancano loro ingegni, e macchine facili [p. 400 modifica]per condurre a mano l’acque sin dalle cime de’ monti, ne’ luoghi, ove abbisogna innaffiamento. Vaghissime sono certamente a veder da lungi cotali prospettive di montagne, che quasi dal piede van suso per le pendici, sagliendo a scaglioni. Di pianure poi ve ne ha di sì ampie, che basta dire, che fra le due Corti di Nankin, e Pekin ne giace una, ugualmente distesa per centinaja di miglia, e senza palmo di terreno sterile per natura, o inculto per negligenza. Non poco a ciò contribuisce l’innumerabil popolo; per mantenimento del quale appena basta quello, che tanto terreno ben coltivato produce: e pure è così fecondo da se stesso, che si fa raccolta due volte l’anno; e mentre si miete, si torna a seminare. Non perciò si stanca la terra, anzi più fruttuosa diviene, e rende moltiplicato frutto; sicchè della Provincia di Sciantum, fra l’altre, suol dirsi; che un’anno di buona raccolta, basta a nutrirla dieci, e più. Quindi sembra molto strano a’ Cinesi l’udire, che i nostri campi, per un sol parto l’anno divengan magri: e molto più, che ci convenga lasciargli un’anno intero oziosi, perche ripiglin sugo. [p. 401 modifica]

Avvegnache la Cina sia irrigata da infiniti fiumi, e canali, e coperta di molti laghi, e stagni; non per tanto l’aria generalmente è salubre, e le stagioni hanno il lor corso regolato, come in Europa. Le Provincie Settentrionali sono freddissime, le Meridionali calde, temperate l’altre. E’ ben vero, che nelle parti di Mezzodì spira talora un vento, sì pestilenziale, che molti ne reca a morte; ma contro di esso, hanno un valevole controveleno, per preservarsi; cioè, certe anella di Tumbaga, che portano eziandio in dito i Portughesi di Macao; perche quella Città soggiace a tai venti, come Manila, e la Vera Crux nella nuova Spagna: e perciò gli Spagnuoli fanno grande stima di queste anella, e le comprano a carissimo prezzo. Si compone questa Tumbaga di più metalli, liquefatti insieme: cioè oro una 16. parte d’oncia; rame, detta Tutunaga, che nasce in Cina, altrettanto; e acciaio limato la sesta parte d’una ottava d’oncia. A farne poi l’anello, che tiene tanta virtù, bisogna molta diligenza, perche facilmente si rompe.