Gioventù italiana del littorio/Capitolo 8
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capitolo 7 | Bibliografia essenziale | ► |
VIII
IL GIOVANE FASCISTA
ESPRESSIONE DELLA NUOVA ITALIA
La personalità del giovane fascista è perciò ben definita.
Quali le norme di vita, da porre alla base della sua educazione?
Prima di rispondere, devo lealmente premettere che non mi son dato mai a studiare trattati di pedagogia, di filosofia morale, di educazione fisica. La famiglia, la scuola, l’esercito, la guerra, la rivoluzione, la vita mi hanno fatto quale sono.
Non posso, dunque, pormi, e se anche lo potessi non lo farei, ad una trattazione sistematica dell’argomento.
Trarrò dalla mia esperienza le poche norme che ritengo fondamentali per la formazione dei giovani fascisti.
Ben s’intende, quanto verrò dicendo in seguito circa i principi e i criteri che io intendo siano tenuti presenti nella formazione dei giovani fascisti varrà, nei limiti adeguati all’età, anche per gli avanguardisti e per i balilla; poiché il balilla e l’avanguardista di oggi saranno domani giovani fascisti, e tutta l’educazione fascista ha — per la sua inconfondibile spiritualità — carattere finalistico.
Condizione prima: i capi e i gregari debbono avere fede nella necessità e nella efficacia dell’opera educativa, la quale non si improvvisa. Essa è, soprattutto, costituita dall’esempio.
In guerra, l’esempio costante dei comandanti è stata la forma educativa piú aderente alla spiritualità del soldato e per ciò stesso la piú efficace; l’esempio incitatore di un ufficiale ha trascinato i soldati, che, scossi nel sentimento dell’onore e del dovere, hanno saputo reagire all’istinto della conservazione, in vista del pericolo e, nella battaglia, hanno dato prova di inatteso valore.
Naturalmente non si potrà parlare di educazione integrale ed efficace, se quella morale, quella spirituale e quella guerriera saranno considerate come momenti distinti e successivi e non come tre aspetti di uno stesso ideale educativo; se non saranno impartite a seconda dell’età e a seconda delle categorie; se non avranno come obbiettivo la fermezza morale, il vigore intellettuale e fisico; se l’educazione fisica non mirerà, anche, a fortificare spirito e volontà.
L’educazione intellettuale e l’educazione morale non so concepirle distinte, come non saprei concepire puro motivo ornamentale dello spirito alcun ramo dello scibile; né la scuola, da quella elementare a quella universitaria compresa, so concepire se non in quanto si risolva a formare una coscienza e una volontà fasciste. Non bisogna, insomma, essere «...degli stranieri in Patria!» E i giovani sappiano, e ne siano intimamente convinti, che la scuola deve concorrere a formarli, cosí come il Duce li vuole.
L’assistenza religiosa valga, attraverso il rito, a ravvivare e a rafforzare il senso del divino e lo spirito di sacrificio.
Il sentimento religioso, bene inteso e ben diretto, è sempre una forza potente per l’elevazione dei costumi dei popoli.
L’opera educativa deve essere costante.
Nelle adunate, nelle gite, nelle escursioni, nelle visite ai monumenti, ai campi e ai cimiteri di guerra, innanzi a fatti di coraggio che nobilitano, o di viltà che degradano, i comandanti, nei limiti delle loro possibilità e in rapporto alla capacità dei giovani, possono e debbono sempre trarre lo spunto per poche parole che, semplicemente, senza la ricerca di effetti oratori, dicano della bellezza di ogni virtú civile, di ogni virtú guerriera, e come splenda la memoria di chi ha saputo accrescere la potenza e la gloria della Patria.
Nei giorni che crederanno piú indicati, leggano ai giovani gli scritti di Arnaldo Mussolini e rammentino loro, o curino che altri rammenti la storia della Patria, cosí ricca di glorie.
Rammentino, specialmente, la storia delle ultime guerre nostre, il sacrificio dei morti e dei mutilati e la dura parola che la guerra ha scritto nella coscienza dei popoli e degli individui.
E rivivano e facciano rivivere, nell’animo dei giovani, i vari momenti della insurrezione delle Camicie Nere, che si conchiuse con la Marcia su Roma e segnò, Capo del Governo il Duce, l’inizio della rivoluzione totalitaria.
Resta fermo, però, che nulla può contribuire alla educazione spirituale e morale dei giovani, alla formazione fascista della loro coscienza, quanto la vita e gli scritti del Duce.
Egli ha detto: «Il Fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione...»
«Gli anni che precedettero la Marcia su Roma, furono anni durante i quali le necessità dell’azione non tollerarono indagini o complete elaborazioni dottrinali. Si battagliava nelle città e nei villaggi. Si discuteva, ma — quel ch’è piú sacro — si moriva. Si sapeva morire.»
Egli ha fissato la posizione dottrinale del Fascismo; e se i Suoi Discorsi segnano il cammino ininterrotto della Sua attività, nel Suo scritto Dottrina politica e sociale del Fascismo ha condensato l’unità del pensiero che lo ha guidato e lo guida nel plasmare il destino del popolo italiano.
Il compito di impartire ai giovani i princípi della dottrina fascista è oggi reso piú facile dalla pubblicazione de Il primo libro del Fascista, che tutti — ufficiali, dirigenti, educatori — devono adottare e che, per la sua chiarezza ed accessibilità, sarà un ottimo ausilio per tutte le categorie.
I giovani che entreranno domani nei gruppi universitari fascisti ed avranno il privilegio e il dovere di armarsi della forza del pensiero, per costituire, in avvenire, la classe dirigente del Regime, sorto dalla Rivoluzione, sappiano, e lo ricordino ai superstiti di un mondo travolto, che «il Fascismo è oggi nettamente individuato, non solo come Regime, ma anche come dottrina» e che nella sua dottrina si può temprare ogni piú nobile coscienza.
Attenzione al nemico che compie disperati ma vani tentativi sulla gioventú, per sviarla.
Occupiamoci... della faccenda, senza preoccuparcene.
«La parola Rivoluzione» ha detto il Duce «fa una impressione mistica sulla massa. Anche sugli spiriti superiori ha un effetto stimolante. Costituisce una eccezione nel tempo e dà all’uomo comune l’impressione di prendere parte ad un movimento eccezionale.»
La gioventú, accesa dall’idea che anima la nostra Rivoluzione, è attratta anche dall’ardimento e dai metodi con cui essa procede.
Quando le rivoluzioni passano ad una fase costruttiva, venendo a mancare le occasioni piú immediate e appariscenti, atte ad entusiasmare gli spiriti generosi, e sorgendo invece necessità di un lavoro silenzioso e continuo, non è da escludere che l’anima giovanile possa ristagnare. Il nemico potrebbe volger a proprio vantaggio tutto ciò, come cerca di trarre vantaggio da ogni traversia della vita del Regime, abbia o non abbia rapporti col Fascismo, sia effetto di profondo disagio dei popoli o effetto di insignificanti miserie individuali. Tutto vale per inoculare il veleno della diffidenza, per incrinare la saldezza della fede fascista.
Anche su questo terreno i tentativi, non meno disperati, riescono vani, perché i giovani sanno che carattere della Rivoluzione fascista, e comandamento del Duce, è «durare»; che la Rivoluzione fascista, anche nella fase costruttiva, non consente stanchezze e che se «le forme della Rivoluzione sono cambiate, una condizione è sempre rimasta: il coraggio, e precisamente tanto quello fisico, quanto quello morale». La Rivoluzione è in atto contro le avversità degli uomini, secondo le contingenze; ed è sempre in atto, contro le avversità ineluttabili della vita. Il comandamento del Duce: «andare al popolo» è di cosí vasta e umana comprensione, che tutta la gioventú può trovarvi le ragioni della sua dura disciplina, contro cui le forze avverse non debbono prevalere.
Abbiano tutti sempre ben presente la vita del Duce, il Suo ardore di volontà, che è il fuoco col quale tutti, particolarmente i giovani, debbono temprare il loro carattere.
Quando vedo marciare i giovani alla presenza del Duce, mi sembra di scorgere, nel loro volto, i segni della Sua forza e della Sua volontà d’impero.
In Dottrina politica e sociale del Fascismo il Duce ha fissato le ragioni che rendono necessaria una educazione guerriera alla gioventú fascista, e ne ha chiarito la duplice finalità.
I giovani fascisti fermino bene, nello spirito, il pensiero del Duce.
È assurdo credere alla possibilità della pace perpetua o attribuire importanza alle costruzioni internazionalistiche e societarie.
Il pacifismo è rinuncia alla lotta, è viltà di fronte al sacrificio.
«L’orgoglioso motto squadrista “me ne frego”, scritto sulle bende di una ferita, è un atto di filosofia non soltanto stoica, è il sunto di una dottrina non soltanto politica: è l’educazione al combattimento, l’accettazione dei rischi che comporta, è un nuovo stile di vita italiana. Cosí il fascista accetta, ama la vita, ignora e ritiene vile il suicidio; comprende la vita come dovere, elevazione, conquista: la vita che deve essere alta e piena; vissuta per sé, ma soprattutto per gli altri, vicini e lontani, presenti e futuri... Il Fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell’eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico, lontano o vicino, agisce».
Quando al Duce, che dichiarava di non essere d’accordo con chi riteneva che gli eserciti giganteschi sono una garanzia di pace, fu mosso il rilievo: «Eppure Voi educate i fanciulli in modo bellicoso», Egli rispose: «Io li preparo per la lotta della vita. Anche per quella della Nazione».
A questo duplice scopo mira dunque e deve mirare l’educazione guerriera.
I Comandanti federali, nella loro maggioranza, se non nella loro totalità, temprati dal fuoco della guerra, sanno che, a formare lo spirito guerriero, concorrono anche le forme esteriori, come le parate, le esercitazioni, lo sport, le istruzioni premilitari, alle quali i giovani devono sentire la fierezza di partecipare, le crociere, le colonie estive e invernali, che rinvigoriscono la salute. Essi devono soprattutto impedire qualsiasi forma di deviazione, tenendo sempre presente che, dai 18 ai 21 anni, ogni atto si colora di passione.
Siano destati e rafforzati la fierezza di appartenere alla razza italiana, il sentimento dell’onore, della dignità personale, della leale emulazione, della lode bene meritata.
Sia conferito il dovuto premio al valore; sia fatta sentire la bellezza della virtú, questa contrapponendo alla bruttura del vizio; sia contrapposto il coraggio alla viltà.
Nessuno ignori il motto: «meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora».
Si preparano cosí i combattenti atti a tutte le guerre, cruente e incruente, che il Fascismo, se sarà chiamato, combatterà, con la certezza di conquistare la vittoria.
La Gioventú italiana del Littorio affina, a tale scopo, la sua organizzazione e la sua attrezzatura. I giovani sono orgogliosi di vivere nel secolo del Fascismo e nel tempo di Mussolini. Egli, al Gran Rapporto del primo Decennale della Rivoluzione, cosí ha segnato le direttive di marcia:
«Noi vogliamo che i giovani raccolgano la nostra fiaccola, si infiammino della nostra fede, siano pronti e decisi a continuare la nostra fatica».
FINE