Geografia (Strabone) - Volume 3/Libro VI/Capitolo V

Capitolo V

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Strabone - Geografia - Volume 3 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
Capitolo V
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CAPO V. 


Ultima parte dell'Italia in cui sono comprese la Japigia e l'Apulia generalmente dette. — Della Japìgia o Messapia. — Della città di Taranto. — Del territorio de Salentini. — Circuito della penisola ond'è formata la Japigia; e sue città mediterranee. — Di Brentesio e delle strade che muovono da quella città. — Dell'Apulia in generale. — Paese dei Peucesii e dei Daunii. — Digressione sulle distanze assegnate dai geografi. — Paese degli Apuli propriamente detti.


Poichè abbiamo discorsa l’antica Italia fino a Metaponto, ci conviene ora parlare del rimanente; e prima di tutto seguila la Japigia. Gli Elleni la chiamano anche Messapia e gli abitanti in parte si chiamano Saleutini (e son quelli intorno al promontorio Japigio), in parte Calabri. Al di sopra di costoro verso il settentrione stanno i Peucezii; poi quelli che nel greco linguaggio sono denominati Daunii: ma i nativi di quella regione chiamano Apulia tutto il paese al di là dei Calabri.

Alcuni poi de’ popoli onde sono abitati que’ luoghi si dicono anche Pedicli, principalmente i Peucezii.

La Messapia si spinge fuori a guisa di penisola il cui [p. 143 modifica]istmo va da Brentesio1 a Taranto per lo spazio di trecento dieci stadii, e la navigazione intorno al capo Japigio è di quattrocento all’incirca. Da Taranto a Metaponto si naviga p:r lo spazio di circa duecento stadii verso levante. Il golfo di Taranto poi ch’è quasi tutto importuoso, ha in vicinanza della città un porto grandissimo e bellissimo2 chiuso da un gran ponte, con cento stadii di circonferenza. Dalla parte che più s’addentra io fra terra forma un istmo che va al mare esteriore, in modo che la città giace sopra una specie di penisola, e il collo dell’istmo è di sì poco momento, che sì possono trasportar facilmente le navi dall’una all’altra parte. Ed è basso anche il suolo su cui è fabbricata la città, st non che sollevasi alcun poco dalla parte della rocca. L’antico muro ha un grande circuito ma ora è per la maggior parte abbandonato verso l’istmo; e solo verso la bocca del porto, dov’è anche la rocca, continua ad essere popolata, formando un corpo di ragguardevol città. Ha un ginnasio bellissimo ed una piazza assai grande nella quale è posto anche il colosso di Giove fatto di rame e maggiore di tutti dopo quello di Rodi. Fra mezzo poi alla piazza ed alla bocca del porto avvi la cittadella, la quale conserva oramai soltanto piccoli vestigi dello splendore che le veniva dai monumenti antichi. Perocchè la maggior parte di questi fu distrutta dai Cartaginesi quando presero la città; gli altri li rapirono i [p. 144 modifica]Romani, allorchè se ne fecero a viva forza padroni. Tal è l’Ercole colossale’ di rame che trovasi nel Campidoglio , opera di Lisippo, e dono di Fabio Massimo espugnatore di quella città.

Antioco parlando della fondazione di Taranto dice che, terminata la guerra Messenica, i non intervenuti alla spedizione de’ Lacedemoni furono giudicati schiavi e denominaronsi Iloti; e i figliuoli nati nel tempo della guerra chiamaronsi Partenii e si ebbero in conto d’infami. Ma costoro (ch’erano molti) mal comportando un tal giudizio, congiurarono contro i cittadini: i quali avendone avuto sentore mandarono ad essi alcuni che fingendosi amici si mettessero in grado di svelare l’insidie ch’essi tramavano. E fra questi v’ebbe Falanto, che in apparenza mostrava di esser capo di tolti, ma nel vero poi non s’accordava punto con coloro ch’erano principali della congiura3. Fu pertanto ordinato che nelle feste Zacintine da celebrarsi nel tempio Amicleo, quando Falanto si coprirebbe col suo berretto dovessero tutti assalire i cittadini, i quali si conoscevano a’ capegli: ma avendo alcuni segretamente riferite le cose ordinale dai compagni di Falanto, quando fu cominciata la festa sf fece nel mezzo un araldo e comandò che Falanto non si coprisse col suo berretto. Allora i congiurati accorgendosi che il loro disegno era stato scoperto, in parte fuggirono, in parte si volsero a domandare perdono: e i cittadini dicendo loro che si facessero animo, li consegnarono alla prigione, e [p. 145 modifica]mandarono Falanto a consultare l’oracolo, in qual luogo potesse condurre una colonia e l’oracolo rispose: Ti concedo di abitare Satireo e il pingue paese di Taranto, ed essere il flagello de’ Japigii. Vennero dunque i Partenii insiem con Falanto a cotesti luoghi, dove li accolsero così i barbari come i Cretesi che n’erano possessori. Costoro, per quanto si dice, eran venuti con Minosse nella Sicilia e dopo la morte di lui, accaduta in Camico presso Cocalo, partitisi dalla Sicilia furono da una tempesta sospinti colà; d’onde poi alcuni proseguendo per terra il loro viaggio lungo l’Adriatico, giunsero fin nella Macedonia, e si denominarono Bottiei. Dicesi inoltre che tutti i popoli fino alla Daunia furono detti Japigii da quel Japige che nacque, come si narra, a Dedalo da una donna cretese, e divenne poi capo di quei di Creta. E la città di Taranto ebbe il sno nome da quello di un eros; ina intorno alla sua fondazione Eforo dice così. I Lacedemoni mossero guerra ai Messenii che loro avevano ucciso il re Teleclo venuto a Messene per cagione di sagrifizii, e giurarono di non ritornare alla patria se o non avessero prima distrutta quella città, o non fossero tutti rimasti uccisi. Mentre pertanto attendevano a quella spedizione lasciarono custodi di Lacedemone i più giovani e i più vecchi dei cittadini. Ma dopo dieci anni di guerra le mogli congregatesi insieme mandarono alcune di loro ai mariti rimproverandoli che guerreggiassero contro i Messenii a disuguali condizioni: perocchè quelli restando nelle case loro procreavansi de’ figliuoli, [p. 146 modifica]ed essi invece, lasciate vedove le mogli, stavano a campo in territorio nemico, e così v’era pericolo che la patria rimanesse senza abitanti. Laonde i Lacedemoni volendo da una parte custodire il giuramento, e considerando dall’altra il discorso delle loro donne, mandarono ad esse dal campo i più robusti insieme e i più giovani (i quali per avere lasciala la patria quando erano ancora fanciulli non parevan tenuti al giuramento predetto), e loro ordinarono di congiungersi tutti con tutte le vergini, persuadendosi che per tal modo potrebbero avere gran numero di figliuoli i quali poi essendo nati, denominaronli Partenii4. Missene poi, combattuta per diciannove anni, fu presa, come dice anche Tirteo: Intorno ad essa guerreggiarono diciannove anni, conservando sempre lo stesso animo ardito, i bellicosi padri dei nostri padri; ma nel vigesimo poi abbandonando i pingui loro colli fuggirono dalle alle sommità d’Itoma. Dopo di ciò i Lacedemoni divisero fra loro il territorio di Messene: ma come furono ritornati alla patria non tennero nello stesso onore degli altri figliuoli i Partenii, perochè non erano nati da matrimonii. E questi, unitisi cogl’Iloti, congiurarono contro a’ Lacedemoni, accordandosi di melter mano all’impresa quando si vedesse innalzar nella piazza un berretto lacone. Se non che alcuni Iloti denunciarono la congiura; e i Lacedemoni, giudicando che sarebbe difficile volerli pigliare di fronte (perciocchè erano molti e lutti d’una mente per considerarsi [p. 147 modifica]come fratelli) ordinarono solamente a coloro i quali dovevano sollevare il berretto di allontanarsi dalla piazza. Allora i Partenii accorgendosi ch’era stato scoperto quanto essi avevano meditato, si ritrassero dall’impresa; e i Lacedemoni per messo de’ padri li persuasero ad uscir della patria per fondare altrove una colonia: e se trovassero un luogo opportuno quivi fermassero la loro sede; se no, ritornando, otterrebbero la quinta parte del territorio di Messene. Costoro per tal modo inviati l’abbatterono negli Achèi che avevano gnem co* barbari, ed entrati con essi a parte di quel pericolo, fondarono Taranto.

I Tarentini si governarono democraticamente e «furono un tempo fortissimi5: il loro navile fu il maggiore che si sapesse in que’ luoghi; e mandavano fuori trenta mila fanti, tremila soldati a cavallo, e mille ippfarchi. Adottarono la filosofia pitagorica; principalmente Archila che presiedette per molto tempo alla città. Ma prevalse col tempo il lusso introdotto dalla prosperità, sicchè presso di loro nel corso dell’anno si celebravano più pubbliche feste che non sono i giorni.

Di qut poi si corruppe il loro governo: e ne fa prova una delle cattive loro istituzioni, cioè quella di affidarsi a capitani stranieri: perocchè chiamarono Alessandro Molosso per inviarlo contro i Messapii e i Leucani; [p. 148 modifica]e prima aveano avuto Archidamo figliuolo di Agesilao; e più tardi chiamarono a sè Cleonimo ed Agatocle; e poi Pirro, quando levaronsi contra i Romani. Oltrechè non sapevano indursi a ubbidire que’ medesimi ch’essi avevano chiamati, ma se li facevan nemici. Quindi Alessandro per odio contro di loro tentò di trasportare a Turi la comune adunanza degli Elleni d’Italia che solevasi celebrare in Eraclea sul territorio de’ Tarentini e ordinò che vicino al fiume Acalandro si murasse un luogo dove poi si tenessero quelle assemblee. Ed anche la mala ventura da Alessandro incontrala dicesi che procedesse dalla ingratitudine de’ Tarentini verso di lui. Al tempo di Annibale poi perdettero anche la libertà: dopo di che avendo ricevuta mia colonia di Romani vivono nella quiete e meglio di prima. Dei resto guerreggiarono per Eraclea contro i Messapii, ed ebbero ausiliari il re dei Daunii e quello dei Peucezii.

Il paese dei Japigii che viene appresso è buono quantunque paja il contrario: perocchè nella superficie apparisce aspro, ma arandolo si trova di buon terreno, e sebbene sia senz’acqua, nondimeno è acconcio ai pascoli e si vede bene arborato. E una volta tutto questo paese fu anche assai popoloso, ed ebbe’ tredici città: ma ora, fuor Taranto e Brentesio, le altre son luoghi di picciol conto; tante sventure soffersero.

I Salentini si dice che furono una colonia de’ Cretesi. Appo loro si trovano e il tempio di Minerva che fu una volta assai ricco, e quello scoglio chiamalo promontorio Japigio6, che giace mollo addentro nel mare [p. 149 modifica]contro il levante d’inverno; se non che si converte alcun poco verso il Lacinio all’occidente, e chiude eoa quello bocca del golfo tarentino. Così parimente anche i moni. Ceraunii si piegano a formare la bocca del golfo Ionio la cui apertura è di circa settecento stadii, cominciandosi dal detto promontorio Japigio fino ai Ceraunii ed al capo Lacinio. Navigando lungo la costa da Taranto verso Brentesio v’hanno seicento stadii per giungere alla piccola città di Bari. I moderni la chiamano Vereto: giace nell’estremità del territorio Salentino; e per andarvi da Taranto il viaggio è in gran parte più facile per terra che per mare’. Da Bari a Leuca7 contansi ottanta stadii; ed è anche questa una piccola città nella quale si mostra una sorgente d’acqua di cattivo odore: e favoleggiano che i Giganti detti Leuternii vinti a Flegra nella Campania e perseguitati da Ercole furono in questo luogo inghiottiti sotterra, e che dal lor putridume l’acqua della fontana contrasse questo fetore. Quindi poi (aggiungono) quella spiaggia fu anche della Leuternia.

Da Leuca alla piccola città d'Idrunte8 sono centocinquanla stadii: di quivi a Brentesio quattrocento, e altrettanti fino all’isola di Saso9 la quale può dirsi fondata in meno allo spazio ch’è dall’Epiro a Brentesio. Quindi coloro che non possono fare una navigazione diretta piegansi alla sinistra di Saso verso [p. 150 modifica]Idrunte, dove poi o aspettano il vento propizio e van con quello ai porti di Brentesio, o sbarcando piglian la strada di terra che è più breve, attraversando Rodeo10, città ellenica donde fu nativo il poeta Ennio.

11 paese adunque da Taranto a Brentesio può costeggiarsi per mare e somiglia ad una penisola; e la strada terrestre da Brentesio a Taranto, che forma l’istmo della penisola stessa, può essere da un buon viaggiatore percorsa in un giorno. I più denominano comunemente questa penisola o Messapià, o Japigia, o Calabria o Salentina ma alcuni dinotano con questi nomi diverse parti, come abbiam detto già prima.

Fin qui abbiamo parlalo delle piccole città che si trovano lungo la spiaggia di questa penisola. Dentro terra sono Rodeo e Lupia; e poco distante dal mare Salepia. Nel mezzo dell’istmo trovasi Turco, dove suol mostrarsi la reggia di un principe che vi regnò. E dicendo Erodoto11 che v’ha nella Japigia una città della Uria fondata da que’ Cretesi che si divisero dalla flotta cui Minosse guidava nella Sicilia, è da credere che volesse significare Tureo o Vereto Rispetto a Brentesio dicesi che ricevette una colonia di Cretesi, i quali vi approdarono insieme con Teseo venendo da Gnosso; ovvero di quelli che vennero dalla Sicilia, condottiero Japigi. Perocchè l’una e l’altra cosa si dice; ma [p. 151 modifica]soggiungono altresì che questi coloni non poterono fermarvi il loro soggiorno; sicchè partendosi di colà trasferironsi nella Bottiea. In progresso di Tempo questa città governata da re perdette molta parte del suo territorio che le fu tolto dai Lacedemoni sotto la capitananza di Falanto. Nondimeno quando egli fu discacciato da Taranto, i Brentesini lo accolsero, e dopo la sua morte l’onorarono di una splendida tomba. Del resto, la città di Brentesio ha migliore territorio dei Tarentini, leggiero e fruttifero assai; oltrechè il mele e la lana di quel paese sono de’ più lodati. Aggiungasi che Brentesio ha più comodi porti di Taranto, giacchè una sola bocca chiude dentro di sé molti porti sicuri dalle tempeste; ciò sono parecchi seni del medesimo golfo: sicchè nella figura somiglia alle corna d’un cervo, d’onde poi ricevette anche il nome: perocchè tutto il luogo insieme colla città somiglia grandemente alla testa di un cervo; e nella lingua de’ Messapii la testa di un cervo chiamasi appunto Brentesio. Il porto di Taranto invece non è al tutto sicuro dalle tempeste per essere la sua bocca, assai larga, ed avere nelle sue parti più iutime alcuni bassi fondi. Ancora a coloro che fanno il tragitto partendo dalla Grecia e dall’Asia, la navigazione diritta è verso Brentesio; e però di quivi passano tutti quelli che si propongono di andare a Roma. Due poi sono le strade da Brentesio a Roma; una per la quale si può viaggiare co’ muli attraversa i Pencezii detti anche Pedieli, i Daunii e i Sanniti fino a Benevento; e lungo questa [p. 152 modifica]strada sono la città Egnazia12, poi Celia, Nezio, Canusio e Cerdonia: l’altra passa per Taranto lenendo alcun poco a sinistra quant’è il viaggio d’un giorno all’incirca: questa dicesi Via Appia ed è più acconcia ad essere carreggiata; e lungh’essa stanno le città di Uria e di Venosa la prima situata fra Taranto e Brentesio, la seconda sui confini dei Sanniti e dei Leucani. Tutte due queste vie, partendosi divise da Brentesio, si congiungono verso Benevento e la Campania. Di quivi poi fino a Roma formano la così della Via Appia attraversando Caudio, Calazia, Capua e Casilino fino a Sinuessa. Le altre città che vengon dopo le abbiamo già nominate. E tutto intero questo cammino da Roma fino a Brentesio è di trecento sessanta miglia. Avvi poi una terza strada che si parte da Reggio, attraversa i Brezii, i Leucani, i Sanni. e conduce nella Campania, ed all’ultimo si congiunge anch’essa coll’Appia valicando i mouti Apennini; ma è più lunga delle altre il viaggio di tre o quattro giorni.

A Breutesio s’imbarca chiunque vuol navigare all’opposto continente, o ch’egli vada a Ceraunia ed alla spiaggia ivi congiunta dell’Epiro e dell’Ellade, o ch’egli si diliga ad Epidamno: quest’ultimo tragitto è maggiore del primo, cioè conta ben mille e ottocento stadii nondimeno è assai frequentato per essere quella città opportunamente situata rispetto alle uazioni d’Illiria e di Macedonia.

Chi da Brentesio entra in mare costeggiando la [p. 153 modifica]spiaggia Adriatica trova la città d’Egnatia, luogo di riposo comune così a chi naviga come a chi va per terra a Bari: e si naviga col vento Noto. Ed appunto fino a Bari arrivano lungo il mare i Peucezii; dentro terra van fino a Silvio. Tutto quel territorio è aspro e montuoso, siccome quello che in sè comprende molta parte dei monti Apennini; e pare che un tempo abbia ricevuta una colonia di Arcadi. Da Brentesio poi a Eari vi sono settecento stadii all'incirca; quasi altrettanto è lontano da amendue la città di Taranto. Il paese che viene appresso è abitato dai Dannii, e poscia dagli Apuli sino ai Frentani. Siccome poi dagli abitanti di que’ luoghi non si adottarono mai i nomi di Peucezii e Daunii, se non forse anticamente, ma tutta quella regione si disse Apulia, così ne viene di necessità che al presente non è possibile determinare con precisione i confini di quelle nazioni, intorno alle quali pertanto noi non affermeremo cosa alcuna con asseveranza.

Da Bari sino al fiume Aufidio13 sul quale è situato l’emporio dei Canusii sono quattrocento stadii; e il tragitto dalla bocca di questo fiume all’emporio predetto è di circa novanta stadii14; ed ivi presso è anche Salepia, arsenale marittimo dagli Argiripei. Perocchè le due città di questi (Canusio ed Argiripa) sono bensì a poca distanza dal mare, ma giacciono in una pianura. Esse furono un tempo le più grandi delle città greche in Italia, come si fa manifesto dai circuito delle loro [p. 154 modifica]mura; ma ora. sono fra le minori. E Argiripa da principio chiamavasi Argo-Ippio, ed ora invece Arpi. Tutte e due poi queste città si dice che le fondò Diomede; e così Della pianura come in molte altre parti si trovano indizii della signoria che Diomede ebbe in que’ luoghi. Di tal sorta sono alcuni antichi voti consacrati net tempio di Minerva in Luceria, la quale fu anch’essa un’antica città dei Daunii, ora ridotta a piccolissima cosa.

Nel vicin mare sono due isole soprannomate Diomedee15, l’una delle quali è abitata, l’altra dicono ch’è deserta. In questa poi favoleggiasi che Diomede disparve, e che i suoi compagni furono tramutati in uccelli, alcuni dei quali vi si trovano anche al presente, e vivono una vita in parte umana, mangiando con ordine, e dimesticandosi cogli uomini dabbene, mentre per lo contrario fuggono i tristi e gli scellerati. Quello poi che suol raccontarsi comunemente appo gli Eneti intorno a questo eroe ed agli onori che gli vengono tributati, l’abbiamo già detto. Pare che fosse fondata di Diomede anche Sipo16, distante da Salepia cento quaranta stadii. Gli Elleni la dissero anche Sepia dalle secche che i flutti sogliono formare in quel luogo.

Fra Salepia e Sipo v’ha un fiume navigabile ed anche la bocca di un gran lago; sui quali trasportansi le produzioni di Sipo, e principalmente il frumento.

Nella Daunia poi, intorno al colle denominato Drio [p. 155 modifica]soglionsi mostrare alcuni monumenti sacri ad eroi: l’uno di Calcante collocato proprio sul vertice, dove coloro che vanno per avere de’ responsi sagrificano un ariete nero, poi si mettono; a dormire sopra la pelle: un altro sacro a Podalirio trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadii all’incirca. E da questi luoghi scorri un fiume le cui acque sono universale rimedio a tutte le malattie degli animali.

Dinanzi al golfo ora descritto17 giace un promontorio che si addentra circa trecento stadii nel mare verso oriente ed è detto Gargano; e chi abbia dato la volta alla punta di quel promontorio trova la piccola città d Ureio18. Egli è poi rimpetto al Gargano ehe son situate le isole Diomedee.

Tutto questo paese produce ogni maniera di frutti, ed è abbondevolissimo di cavalli e di pecore, la cui lana è più morbida della tarentina, ma pei ò men lucida. E per essere alcun poco avvallata, tutta questa regione gode una mite temperatura19.

Alcuni dicono che Diomede stesso imprendesse a scavare una fossa, la quale (attraversando il promontorio) conginngesse il mare, ma che la lasciò non compiuta come anche altre cose, perchè fu richiamato alla patria dove finì poi la vita. Questa è una delle opinioni che corrono rispetto a Diomede: l’altra invece afferma ch’egli rimase nei Inoghi dei quali parliamo fino al termine [p. 156 modifica]del viver suo. Secondo una terza tradizione favolosa e già mentovata da noi egli disparve nell’isola; e potremmo aggiungerne altresì una quarta invalsa fra gli Eneti; i quali raccontano che Diomede finì appo loro la vita e v’ebbe quella che dicesi apoteosi.

Del resto le distanze da me indicate sono quelle assegnate da Artemidoro: ma il Corografo dice che da Brentesio fino al Gargano v’hanno cento sessantacinque miglia; di quivi ad Ancona duecento cinquantaquattro miglia. E Artemidoro da questo medesimo capo fino a... presso Ancona assegna mille e duecento cinquanta stadii; numero molto minore. Polibio20 poi dice che le distanze dalla Japigia furono misurate a miglia, e che di quivi alla città di Sila se ne contano cinquecento sessantadue; da Sila fino ad Aquileia cento settantotto. Ma queste misure non s’accordano coll’estensione che suole assegnarsi alla costa illirica, dai monti Ceraunii sino al fondo del golfo Adriatico: perocchè dicono che si estende oltre a sei mila stadii, e così la fanno molto piò lunga che non è quella d’Italia, mentre è invece molto minore. E tutti (come ho detto già spesse volte) discordano gli uni dagli altri nel determinare le distanze dei luoghi: però noi dovunque è [p. 157 modifica]possibile giudicare delle vane opinioni facciam manifesto il nostro parere; e dove no, crediamo sempre debito nostro recare in mezzo le opinioni degli altri. Che se qualche volta non troviamo ne’ precedenti scrittori cosa alcuna da riferire, non è per questo da fari le meraviglie, come nè anche se noi in un argomento di tal natura e sì vasto tralasceremo qualcosa. Perciocché degli oggetti di gran rilievo non vorremmo dimenticarne veruno; ma dei piccoli e di quelli che anche quando siano conosciuti non recano punto di utilità, e possono omettersi senza che il leggitore se ne accorga, stimiamo di poterne tacere senza che il nostro libro ne soffra alcun danno o ne riesca meno perfetto.

Frattanto subito dopo il Gargano v’ha un golfo profondo: coloro che lo abitano all’intorno denominansi propriamente Apuli, ed hanno la stessa lingua dei Daunii e dei Peucezii: nè in veruna altra cosa differiscono presentemente da quelli; ma ben pare che ne differissero una volta, d’onde poi anche invalse appo loro un nome diverso da tutti gli altri. Anticamente tutto questo paese era in fiore, ma Annibale e le guerre che vennero dopo lo disertarono: essendoché quivi successe anche la battaglia di Canne, dove accadde grandissima strage de’ Romani e dei loro alleati. Lungo le spiagge del golfo poi avvi un lago, e al di là di questo, nelle parti mediterranee è Teano detta Apula per distinguerla dalla città d’ugual nome che dicesi Sidicinia. Verso quel sito pare che l’Italia assai si ristringa: [p. 158 modifica]perocchè verso le parti di Dicearchia21 resta da mare a mare un istmo di meno che mille stadii.

Dopo il lago predetto si naviga costeggiando sino ai Frentani ed a Buca. E dal lago a Buca come dal Gargano al lago contanti duecento stadii; del resto già abbiamo descritti i paesi al di là di Buca.

Tale adunque e siffatta è l’Italia.

  1. Brindisi.
  2. Leggo col Coray: Ἐνταῦθα λιμήν ἐστι μέγιστος κ.τ.λ.
  3. Luogo di dubbia lezione.
  4. Da παρθένος vergine.
  5. Da principio (dicono gli Edit. frane.) dee credetti che Taranto fondata da una colonia spartana non si governasse affatto popolarmente; e può congetturarsi che questa mutazione accadesse verso l’anno 473 avanti l’E. V.
  6. Capo di Leuca.
  7. A S. Maria di leuca.
  8. Otranto.
  9. Ora Saseno.
  10. I Latini la dissero Rudiae: ma in qual luogo precisamente la si trovasse è ignoto. Questo passo i poi di lezione dubbia ed oscura.
  11. Lib, vii, § 170.
  12. Torre d’Agnazzo.
  13. L’Ofanto.
  14. Il Silandro legge invece sei stadii.
  15. Le Isole Tremiti.
  16. Siponto: luogo diroccato presso Manfredonia. (Edit. fr.)
  17. Il Golfo di Manfredonia.
  18. Rodi.
  19. I1 testo è qui dubbioso.
  20. Non si conosce il passaggio di Polibio a cui qui allude Strabone. Così parimenti è incerto qual punto della Japigia voglia qui indicare il nostro Autore colle parole ἀπὸ τῆς Ἰαπυγίας. Gli Edit. franc. inclinano a credere che debba intendersi il Promontorio Japigio (ora Capo di Leuca), sebbene riconoscano che in tal caso sarebbe impropria l’espressione.
  21. Pozzuolo.