Gazzetta Musicale di Milano, 1872/N. 26
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SI PUBBLICA OGNI DOMENICA I TEATRI DI GENOVA NEL 1845 Carlo Dickens, l’illustre romanziere rapito all’umanità or è appena un anno, fu nel 1845 in Italia, e soggiornò a Genova alcun tempo, d’onde con frequenti assenze corse gran parte della penisola. Queste gite furono occasione d’un libro, che s’intitola Pictures from Itali/, e che è assai gustato in Inghilterra. Non fu tradotto in francese, non fu e non sarà probabilmente tradotto ad uso degli Italiani, i quali non sapranno così mai come parlasse di loro e del loro paese colui che fu il più gran romanziere del? Inghilterra e forse del mondo. Queste Pictures from Italy sono ricche di umorismo; ma Dickens era di quegli umoristi che non hanno bisogno di ricorrere alla maldicenza e alla calunnia, perchè prima d’essere umorista era uomo di genio, e invece di comporre il ridicolo lo vedeva. Abbiamo pensato di far cosa grata ai nostri lettori, traducendo alcune pagine di quel libro, in cui si accenna ai teatri genovesi d’allora. Vi han tre teatri nella città, senza contare un’antica sala, assai raramente aperta. Il più importante, il Carlo Felice o Opera di Genova, è un teatro splendido. Al nostro arrivo una compagnia, seguita subito dopo da una seconda, vi dava delle rappresentazioni. Nulla mi impressionò più vivamente, nelle molte visite ch’io feci a questo teatro, del contegno, più duro e più crudele qui che altrove, del pubblico genovese: si avvede della più lieve imperfezione, non piglia nulla allegramente, par sempre che spii un’occasione di fischiare e non risparmia meglio le attrici degli attori. Ma siccome non è permesso d’esprimere sovra altri argomenti il malcontento che si può provare, può darsi che a bella posta si facciali nascere quante più occasioni è possibile di disapprovare. In questo pubblico si trova anche gran numero d’uffiziali piemontesi, i quali, presso che per nulla, hanno il privilegio di far risuonare il tavolato della platea col tallone dei loro stivali. In fatti, il governatore stipula per questi signori delle entrate gratuite o ribassi in tutti i luoghi di divertimenti pubblici o semi pubblici. Così essi criticano con sussiego e sono infinitamente più esigenti che se facessero la fortuna del disgraziato impresario. Il teatro Diurno, è una sala di spettacolo costruita all’aria aperta; le rappresentazioni hanno luogo di pieno giorno, alle frescure pomeridiane; cominciano infatti alle quattro o alle cinque e durano tre ore. Seduti in mezzo al pubblico, colle colline e le case intorno, riesce assai curioso vedere i vicini alle loro finestre, e udire le campane dei conventi e delle chiese che suonano a distesa e formano un contrasto singolarissimo. Tranne ciò, e la novità di assistere a una rappresentazione teatrale all’aria aperta e al cader del giorno, non vi ha nulla di molto interessante in questo teatro; gli attori non sono nè buoni, nè cattivi; benché essi rappresentino talvolta commedie di Goldoni, la scena avviene sempre in Francia; tutto ciò che rassomiglia alla nazionalità è pericoloso pei governi dispotici. Il teatro dei burattini, le Marionette, famosa compagnia venuta da Milano, è senza dubbio ciò che ho visto di più curioso in vita; non ho certo mai assistito a spettacolo così interamente buffonesco. Questi burattini sembrano essere alti quattro o cinque piedi, ma sono in realtà assai più piccini, perchè uno dei suonatori d’orchestra avendo posto il suo cappello sulla scena vi prese proporzioni gigantesche e nascose quasi interamente uno dei personaggi. Vi si dà di solito una commedia ed un ballo. 11 comico d’una commedia, alla quale io assisteva una sera, è un cameriere di albergo. Non si ha mai visto artista più irrequieto dacché mondo è mondo. Tutti si occupano di lui. Ha delle giunture supplementarie alle gambe, gli si ha posto un occhio mobile con cui egli ammicca nella direzione della platea in maniera affitto insopportabile per uno straniero, ma che il pubblico ordinario, composto in gran parte di popolani, ammette come cosa naturalissima e come se si trattasse di un uomo in carne ed ossa. Del resto egli ammette ben altre cose. L’attività di questo buon uomo è prodigiosa, le sue gambe s’agitano senza tregua, e il suo occhio ammicca senza riposo. Vi ha pure un grosso papà che siede sulla panca e benedice la figlia come si usa fare m teatro: egli è orribile! Non si potrebbe immaginare che tutt’altri d’un attore vero potesse essere così fastidioso. È il trionfo dell’arte. Or ecco l’argomento del ballo: Un incantatore rapisce, proprio all’ora delle nozze, una giovine fidanzata. La conduce nel suo antro e si sforza di incantarla. Essi siedono sopra un divano (il divano tradizionale! collocato al solito posto): poi una processione di musicisti fa la sua apparizione, più un personaggio che suona il tamburo e batte le gambe una contro l’altra ad ogni colpo. Siccome ciò non diverte la bella, alcuni danzatori pigliano il posto dei musicisti; prima ne vengono quattro; poi due, i primi ballerini, quell i che hanno i colori più freschi. La loro maniera di danzare, i loro slanci ad altezze straordinarie, l’inammissibile e sovrumana durata delle loro piroette, le gambe slogate, le capriole, dopo le quali ricadono sulle punte — quando il ritmo lo esige — il ballerino che rimonta la scena per far posto alla sua ballerina, e la ballerina che fa altrettanto per far posto al ballerino, la passione dimostrata nel passo a due finale, e la sortita accompagnata da slanci e da capitomboli — tuttociò è 216 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO ancora presente al mio spirito; però io non potrò giammai rivedere un ballo vero mantenendomi serio. Andai un’altra sera a veder eseguire dai burattini una commedia intitolata: Sant’Elena o la morte dì Napoleone. Si alzava il sipario e si vedeva Napoleone fornito d’una testa enorme, seduto sopra un divano nella sua camera di Sant’Elena; un valletto entrava ed annunziava un alto personaggio in questa maniera abbastanza oscura: Sir Jeu ud se on Low! Sir Hudson (bisognava vedere il suo uniforme!) era un mostro perfetto paragonato a Napoleone. Egli era spaventosamente brutto; la sua faccia era orribilmente sproporzionata; aveva, in forma di mascella inferiore, un grosso pezzo di legno che esprimeva la sua natura tirannica ed indurita. Cominciò il suo sistema di persecuzione chiamando il suo prigioniero «generale Bonaparte» al che il prigioniero rispose in tono di vecchio tragico: Sir Jev ud se on Lowe, non mi chiamate cosi! Ripetete ciò che io dirò e lasciatemi: «io sono Napoleone, imperatore di Francia!» Sir Jev Hudson Low, niente affatto furbo, prese a parlargli d’un’ordinanza del governo britannico, che regolava la vita domestica di Napoleone, le mobiglie, ecc., e limitava il numero dei suoi servitori a quattro o cinque. «Quattro o cinque persone per me! grida allora Napoleone, per me che avevo ultimamente centomila uomini sotto i miei ordini, e questo uffiziale inglese viene a parlarmi di quattro o cinque persone!» Durante tutta la commedia Napoleone ( che parlava precisamente come il vero Napoleone e faceva dei frequenti monologhi) si mostrava assai amaro verso «gli ufficiali inglesi» e verso «i soldati inglesi»! e ciò a gran soddisfazione dell’uditorio, incantato di vedere Low ributtato, e che ogni volta che Low diceva «generale Bonaparte» — e non cessava di dirlo benché fosse sempre ripreso come prima — lo prendeva in orrore! Furbo chi potrebbe dire perchè! Gl’Italiani, lo sa Dio, hanno in fatti assai poche ragioni d’amare Napoleone! La commedia non aveva intreccio, se non è che un uffiziale francese, travestito da inglese, veniva a proporre un piano d’evasione; egli era scoperto, ma non prima che Napoleone avesse rifiutato con grandezza d’animo di ricuperare la libertà per sorpresa. Low ordinava di appiccare immediatamente l’uffiziale; poi succedevano due o tre lunghi discorsi che Low rendeva meAPPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI DANIELE RUBBI (Continuazione, Vedi il N. 25J. II. AMORE D’ARTISTA. L’uomo, che spiava, tese l’orecchio con avida attenzione nel sentire l’esclamazione di Velâzquez; questi rimase silenzioso alcuni istanti e la sublime espressione del suo sembiante veniva sostituita da profonda tristezza e da amaro abbattimento. Il duca pigliò affettuosamente una delle sue mani, e lo contemplò per qualche tempo con affettuoso interesse. — Voi avete qualche cruccio, don Diego, gli disse dopo d’aver aspettato invano che il pittore rompesse il silenzio: non sono, aggiunse; bastante amico vostro per confidarmelo? — Ah, si, signor don Giovanni! rispose l’artista rinvenendo dalla sua distrazione e stringendo la mano che teneva la sua; vi dirò da dove nasce il mio cruccio. morabili terminandoli con un yes ben accentato (affine di far vedere che egli era inglese) che sollevava un uragano di applausi. Napoleone fu talmente commosso da questa catastrofe che svenne e fu portato via da due altri burattini. Dagli avvenimenti che succedevano si poteva argomentare che egli non si rimetterebbe da questo colpo; in fatti lo si vedeva nell’atto successivo in camicia bianca, coricato nel suo letto, di cui le cortine erano cremisi e bianche Una signora, alquanto prematuramente vestita a lutto, e due piccoli fanciulli erano inginocchiati al suo capezzale, mentre egli moriva decentemente; la sua ultima parola era: Waterloo. Nulla di più risibile. Gli stivali di Napoleone erano al di sopra d’ogni elogio; si abbandonavano da sè stessi agli esercizii più sorprendenti; si raddoppiavano mettendosi sotto le tavole, dondolandosi nello spazio e alcune volte, nel mezzo d’un discorso, trasportandolo lontano — disgrazia che l’aria profondamente melanconica stereotipata sul suo viso non rendeva certo meno comica. A un certo punto, volendo mettere fine a una conversazione con Low, Napoleone s’accostava ad una tavola e vi leggeva un libro. Niente di’ più burlesco che il vedere questo corpo coricato sopra un volume, come un cavastivali, co’ suoi occhi fìssi immobilmente verso il fondo della platea. Egli era anche eccellente nel suo letto col suo enorme colletto di camicia e le piccole mani stese sulla coperta. Vi era anche il dottore Antommarchi, con lunghi capelli lisci, come quelli di Massworn; essendo avvenuto un po’di disordine nei suoi fili, egli si librava intorno al letto e dava le sue consultazioni per aria. Low era particolarmente bello alla fine, quando, intendendo il dottore e il cameriere dire: «l’imperatore è morto» egli levava l’orologio e terminava la commedia sciamando con quella brutalità che era tutta sua: «Ah! ah! sei ore meno undici minuti! il generale è morto, e la spia appiccata!» E il sipario cadeva trionfalmente. Carlo Dickens. — Presumo che proverrà dall’amore, disse sorridendo il duca. — É supponete benissimo, rispose Velâzquez emettendo un sospiro, come chi si sente sollevato il cuore da un peso enorme. — E che dice in proposito la mia signora donna Giovanna Pacheco, vostra nobile sposa? — Giovanna nulla sa! disse a bassa voce l’artista con accento melanconico e rimanendo di nuovo profondamente meditabondo. — Ascoltatemi, signor duca, soggiunse dopo breve pausa; voglio confidare alla vostra lealtà il segreto più importante della vita mia, e vi bastino queste parole perchè l’animo vostro cavalleresco sappia di che si tratta. Chinossi leggermente don Giovanni Hurtado de Mendoza in segno d’assentimento, e il pittore di camera parlò così, mentre che il cavaliere vicino al chiosco ascoltava colla maggiore attenzione, coprendosi, come meglio poteva, il volto coll’ala del suo cappello: — Quando partii dalla corte, dove dimoravo da un anno, per iscopo di viaggiare, rimasero in Siviglia la mia sposa e mia figlia. Io percorsi l’Italia, la Germania e le Fiandre, lasciando per ultimo codesto paese, perchè desiderava conoscere e intrattenermi per qualche tempo col Re della pittura, il celebre Pietro Paolo Rubens, pel quale sentivo una specie di appassionata ammirazione. Non potei, tuttavia, soddisfare il mio desiderio. Rubens trovavasi in Inghilterra, giacché, tanto abile diplomatico quanto pittore, era stato incaricato dall’infanta governatrice delle Fiandre di trattative di pace. Nel vedere fallita la mia speranza, decisi di partir presto da Anversa: ma prima volli vedere la città a mio bell’agio. In allora mi trovava in preda a una nera melanconia, che per nulla trovava sollievo; spesso mi mancava l’ispirazione, la quale mi veniva soltanto quando dipingeva scene volgari e scurrili; nessuna imagine di bellezza germogliava nell’anima mia, che piangeva come una schiava chiusa in oscuro carcere. Ammogliato GAZZETTA. MUSICALE DI MILANO 217 Rivista Milanese Sàbato, 29 ghigno. Eran due ed or son tre... i teatri aperti. Al Politeama ed al Fossati si è ora aggiunto il Re (nuovo) e la terna è perfettissima. Quanto al teatrino estivo la sua esistenza è così irregolare e •così innocente che a tenerne conto ei vuol proprio tutta la buona volontà d’un cronista disoccupato. Perfino i temporali se la pigliano con quel disgraziato baraccone e per poco alcuni giorni sono non rimase vittima d’un colpo di vento. Ciò non toglie che il proprietario del caffè persista nella sua idea di perdere gli avventori per regalarsi un pùbblico, e vi adopera anzi tutte le seduzioni del suo repertorio. Il regno del Granduca di Gerolstein succede ad una corsa di piacere dell’eterno Barchetto, e tra l’eterno Banchetto e il Granduca apparisce ogni tanto, ma con molta parsimonia, una farsa o una commediola; testé apparve anche un ballo, un vero ballo, con una vera prima ballerina e con una mezza dozzina di vere seconde ballerine; queste sei signore fanno il passo a otto, il ballabile e la scena mimica e tutto quello che è possibile fare in sei metri quadrati di palcoscenico. È la cosa più burlesca che si possa vedere. Il ballo non fu composto espressamente, si capisce, e s’intitola La vivandiera del coreografo D’Amore! Il Fossati continuò a dar la massima pubblicità al Matrimonio segreto, le cui sorti furono migliorate.... dal ballo Carotin per intercessione della ballerina Marchetti. Aspettate senza impazienza jeri comparvero finalmente le Educande di Sorrento, delle quali diremo un’altra volta; più desiderato è l’altro ballo Il Ponte del Diavolo, ancora in costruzione e più di tutto la Cenerentola che per la giovane generazione è quasi una novità. Vengo al Trovatore. Ebbene sì, questo spettacolo merita un cenno; avevo sempre creduto quest’opera un capolavoro serio; il Re (nuovo) m’insegna come possa diventare un capolavoro burlesco. Cantanti, cori, orchestra fanno a gara per mantenere il pubblico di buon umore; e il pubblico compie lo scherzo applaudendo con la massima serietà. Considerata coll’entusiasmo baldanzoso di questo pubblico, l’esecuzione ha dei buoni punti, per esempio il baritono De-Magnani il quale, se non altro, ha voce; e il contralto De-Morelli che canta senza stonare. Lasciamo il Trovatore, ed aspettiamo con rassegnazione la Lucìa che deve succedergli, e V Ebreo che deve far dimenticare i trionfi immancabili della Lucia. Stando le cose musicali in questi termini, non so dar torto al pubblico che si affolla agli spettacoli equestri del Politeama; tra Verdi di Porta Ticinese e Cimarosa di Porta Garibaldi, meglio, infinitamente meglio, il salto dei cerchi e i cavalli ammaestrati del Tivoli. Parecchie notizie hanno fatto il giro delle cronache cittadine degli ultimi giorni. La sola importante è la decisione della Corte di Cassazione, con cui respinge il ricorso dei palchettisti dei Regi Teatri di Milano, nella causa col Governo. L’indissolubile nodo è finalmente sciolto; capisco che è un modo Alessandrino di scioglimento, ma dopo tutto meglio così che peggio. Ed era assai peggio l’indeterminazione che ha regnato finora da sovrana, e che ha impedito che si facesse mai nulla di serio pell’avvenire e pel decoro del nostro massimo teatro. Il Governo non farà la dote - da tutti i malcontenti e da tutte le dicerie prò e contro, suscitate dalla sentenza della Cassazione, questo fatto è almeno posto in sodo: «il Governo non farà la dote». E un malanno - d’accordo, ma si penserà al rimedio, e non sarà, speriamo, il solito empiastro e la solita vergogna della mendicità. _ _ a rALLA RINFUSA Per il venturo carnovale e per il solito spettacolo d’opera è da appaltarsi il Teatro del Pavone di Perugia. La dote è di L. 11,000, oltre il canone de’palchi e l’opera gratuita del maestro concertatore e direttore d’orchestra. È disponibile il Teatro civico di Novi ligure per l’autunno venturo. Si esigono due opere serie a scelta della Direzione, due balli di mezzo carattere e 30 rappresentazioni. La dote è di L. 7000. — Il deposito richiesto di L. 1200. in sull’aurora della mia vita con Giovanna Pacheco, che aveva sempre amato come una sorella, nessuna passione era mai giunta a scuotere il mio onore. Un mattino andando a zonzo per la città, mi trovai, senza sapere come, in una via affatto deserta, in capo alla quale stavano alcuni alberi: era una di quelle che mettevano fuori della città. Osservando quel luogo solitario, e piacendomi, mi sedetti ai piè d’un albero, abbandonandomi a una di quelle vaghe meditazioni inspirate dalla solitudine, e che hanno nessuno scopo. Io non so quanto tempo rimanessi colà; quando alzai il capo, vidi davanti a me una piccola casa, nella cui facciata eranvi quattro finestre; sulla più vicina stava appoggiata una giovane che credesti fosse un’apparizione celeste. — Era tanto bella? chiese Hurtado de Mendoza con benevolo sorriso. — Tanto bella, che giammai avea visto nulla che le si potesse paragonare; imaginate, signor don Giovanni, un volto di quindici anni, bianco come l’alabastro, e rischiarato da due occhi azzurri così grandi e belli come soltanto li possiedono le fiamminghe; imaginate una capigliatura dorata e lucente come la seta, una bocca da angelo, una fronte verginale, nivee manine e piedini infantili, e avrete un’idea approssimativa di quella bellissima fanciulla. — E voi l’avete lasciata là? esclamò stupito il duca. — Scusate se ora non rispondo a questa domanda, e se continuo la mia storia, disse Velâzquez con tremulo accento; indi proseguì: — Per molto tempo rimasi contemplando quella angelica creatura, senza che essa distogliesse da me i suoi grandi e innocenti occhi, e pigliai soltanto la via di casa mia quando la luce della sera si era fatta tanto esile che più non potevo distinguerla. — Addio mi disse in allora l’incognita con voce dolcissima, e come se fossi stato un suo vecchio amico. — Addio, risposi io, sino a domani; e mi allontanai lentamente. Apparsa appena l’aurora del giorno dopo, andai a pormi innanzi alle finestre del mio angelo, che tardò un po’ di tempo a comparire. — Non credevo che saresti venuto così per tempo, mi disse senza imbarazzo e senza arrossire: non ho dormito in tutta la notte pensando a te, e in sull’aurora fui presa dal sonno; perdonami. — Come ti chiami, bella fanciulla? le chiesi sorpreso da quel candore e sincerità. — Anna. — Hai genitori? — No; mi tiene compagnia soltanto una vecchia padrona chiamata Taddea; ho mai veduti i miei genitori, e non conosco che lei e te. Il nostro colloquio durò lunga pezza, e nessuno venne a interromperci nè a vegliare su quella innocente, e neppure passò alcuno nell’appartata via. Anna mi disse che alle volte passavano dei mesi senza che anima vivente transitasse di là, e che per questo era stato tanto vivo il suo stupore nel vedermi. Mi disse pure che usciva mai di casa, perchè un vecchio sacerdote andava a dir messa tutti i giorni nel suo oratorio; che la sua padrona riceveva due pasti quotidiani da un finestruolo coperto da grata nella porta, e che nessuno andava mai a vederle. Finalmente mi congedai; ma per quindici giorni i nostri ritrovi replicaronsi, e tosto conobbi che quella fanciulla era tanto necessaria alla mia vita come l’aria che respiravo. Sotto l’influsso del mio amore disegnai il quadro dell’incoronazione, che avete tanto magnificato, e fu allora che avvertii d’avere trovata quell’inspirazione che prima fuggivasi da me. Però non seguii l’esempio di Raffaello d’Urbino col ritrarre la mia Anna in tutte le donne de’miei quadri, come quegli fa GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 218 CORRISPONDENZE segue. (Continua) Il signor G. Mus scrive da Roma all’Omnibus di Napoli una corrispondenza sull’AssedìO di Brescia del maestro Pontoglio, copiando testualmente le parole del nostro D’Arcais. Siamo stati lungamente in sospetto di plagio, ma abbiamo finalmente indovinato che colla firma G. Mus l’Omnibus ha inteso dichiarare ai suoi lettori che copiava dalla Gazzetta Musicale. Infatti più sotto riporta parte d’una nostra corrispondenza da Londra e vi pone la dicitura abbreviata Gazz. mus. È già qualche cosa! «Lo spazio è così prezioso! E poi il proto, quel benedetto proto!» Ci pare di sentirlo. Ma dire che l’Omnibus strilla come un’aquila quando un altro confratello, imitando il suo esempio, riporta un periodo del suo giornale senza citarlo, e si trova aver posto la mano sopra un periodo che V Omnibus ha già prima riportato, senza citarlo, da un altro confratello! 0 la favola delle due bisaccie!
- In autunno, a Perugia, si darà VAdello del maestro Mercuri, opera che
fu già rappresentata, con ottimo successo, a Rimini nel 1864.
- Nel prossimo autunno al Teatro Goldoni di Firenze si daranno due opere
nuove: L’Idolo cinese dei maestri Tacchinardi, Bacchini, Dechamps e Gialdini, e I conti senza Coste del maestro Tacchinardi. > Il consigliere di città Raimondo Hàrtel, capo della casa editrice Breitkopf e Hàrtel di Lipsia, si è unito in matrimonio colla rinomata pianista Luisa Hauffe. Leggiamo in un giornale francese: Si sta costruendo un teatro immenso in Aukland (Nuova Zelanda).
- Una nuova opera buffa in tre atti dei signori Moinaux e Nibelle - rAlibi sarà
rappresentata fra breve a Bruxelles. Tamberlick era nei giorni scorsi a Parigi. Il celebre tenore era venuto da Madrid, scrive la Revue et Gazette Musicale, per assistere alla prima comunione del figlio in pensione a Vaugirard! Egli cantò alla cerimonia, ma le orecchie profane non ne seppero nulla. «¥ Nangin, direttore del Conservatorio di Lione, è incaricato di preparare una gran festa musicale che deve accompagnare l’inaugurazione ufficiale dell’Esposizione di questa città. La Società filarmonica di Varsavia mette al concorso quattro premi per le seguenti composizioni: 1° Trio per pianoforte, violino e violoncello; 2.° Canto a tre voci di donna con accompagnamento di pianoforte. Il primo premio pel Trio è di rubli d’argento 150, quello pel Canto di rubli 50. I secondi premi sono di rubli 70 e 30 — Al concorso sono ammessi compositori nati o domiciliati in Polonia.
- Ecco il programma dei divertimenti che hanno luogo in questa stagione,
dal primo maggio al 31 ottobre, a Baden-Baden, come lo troviamo negli annunzi dei giornali tedeschi: Distinta orchestra dei bagni, con solisti strumentali, alternando con musiche militari, tre volte ogni giorno nell’interno e davanti la casa di conversazione. — Concerti diretti da Giovanni Strauss — Grandi feste da ballo, riunioni, balli infantili. — Grandi concerti colla cooperazione dei più distinti artisti di fama europea. — Mattinate di musica classica. — Opere e commedie — Feste boschereccie. — Corse a gara. — Tiro ai piccioni. — Caccie. — Pesche. NAPOLI, 26 giugno. Cose del San Carlo — Cose del Mercadante — La Scommessa del maestro Usiglio — Concorsi. ceva colla Fornarina, quantunque avessi potuto farlo con maggior vantaggio di lui; le sue celebri vergini sono, per dire cosi altrettante profanazioni della purissima Madre di Dio, giacché tutte sono ritratti della licenziosa quanto bella fornaia romana; mentre copiando io l’angelica figura di Anna; non facevo alcun affronto a Maria, imperocché la purezza di quella giovane era un riflesso della purezza di questa. Io nacqui, però, con uno strano istinto d’indipendenza, e sono originale persino nelle mie idee; per questo, quindi, sebbene pigliassi dalle sembianze di Anna la bellezza e la candida espressione, che sono il distintivo della mia vergine incoronata, diedi al volto della madre di Dio una tinta rosea che contrasta colla impronta nivea di quella; coronai la fronte di Maria della copiosa e ondeggiante capigliatura della mia amante; ma lungi di darle la tinta bionda dei ricci di Anna, la vestii di colori oscuri, e in tal guisa rispettai la bellezza della Regina del cielo, non facendone la copia di una delle sue creature. — Ah, Velâzquez! avete ragione, esclamò il duca stringendo commosso la mano dell’artista; voi siete nobile persino nei vostri pensieri! — Giunse il giorno della mia partenza, continuò Velâzquez; il Re Filippo IV mi chiamava a Madrid, offrendomi l’abitazione nel suo proprio palazzo, e uno studio nella galleria dello stesso chiamata del Cierzo; perciò non potendo rimanere un giorno di più ad Anversa, col cuore gonfio dal dolore, andai a congedarmi da Anna. Ella mi ascoltò senza batter palpebra quando ebbi finito, mi disse tranquillamente: — Conducimi con te, DiegoA quell’inchiesta un mondo d’allegrezza aprissi innanzi agli occhi miei. — Mi seguiresti? le chiesi pieno di gioja. Giorni sono a Bologna ebbe luogo il secondo esperimento degli alunni del Liceo Musicale Rossini. I vari saggi di composizione e di esecuzione riuscirono splendidamente. ¥ Il giovine maestro Paolo La-Villa ha condotto a fine un’opera col titolo Il mercato di Smirne.
- Con decreto reale del 15 giugno, Giuseppe Servais fu nominato professore
di violoncello al Conservatorio di Bruxelles.. * Un giornale americano dà i seguenti particolari sulla gran cassa che prende parte al giubileo di Boston: E di legno d’acero; ha 12 piedi di diametro e 6 di altezza. Fu costrutta a Framington e siccome nissuna carrozza ferroviaria poteva contenerla, il trasporto fu fatto con cavalli fino ad Hallowen d’onde continuò il viaggio fino a Boston in battello a vapore!!
- Non è il Re di Portogallo che viaggia a Parigi, ma il padre dell’attuale
re. Così si spiegano le dicerie, pei’ noi incomprensibili, sull’età, sulla voce, e sulla sposa del re, fatte nei giornali francesi. In fatti il padre del Re attuale, ha sposato una signora Essler, non sappiamo se la celebre ballerina o una cantante dello stesso nome. S. Carlo è chiuso, e delle 88 recite, sole 86 si diedero, le altre due non ebbero luogo, chi dice per lo sciopero dei macchinisti, e chi per ingiunzioni del regio delegato. Si sa che il Musella metterà fuori un avviso per far conoscere ai suoi abbonati che essi saranno compensati delle recite perdute quest’anno, con due appalti sospesi che ei farebbe godere loro nella vegnente grande stagione, dando di preferenza in quella sera V Aida. Ma il Musella preparasi per far rappresentare convenientemente Y Aida? Ci ho i miei rispettabili dubbi. In primis et ante omnia si è fatto sfuggir di mano l’Aldighieri per poche centinaia di lire, non parla ancora di fare abbassare il diapason, non tratta per avere buoni coristi, nè ricordasi che abbisognano trenta bravi bassi. Ho paura che il Musella faccia come il solito, vada innanzi senza darsi pensiero di nulla, e quindi ridotto agli estremi more solito, abboracci, e faccia ogni cosa in fretta e in furia. Chiuso il massimo si è riaperto il Mercadante con la Scommessa dell’Usiglio cantata dalla Nascio, da Serazzi, dal Polonini, dal Fiorini e dal Guarnieri. Il Trisolini è un impresario che fa di tutto per contentare il pubblico; a lui devono essere obbligati i Napolitani, perchè udirono abbastanza presto V Africana; se poterono ammirare il Bùttero, e venire a conoscenza di certe musiche che avevano fatto — Perchè no? mi rispose; io non ho al mondo alcuno che mi ami più di te. — Stanotte alle dodici verrò a prenderti, Anna mia, esclamai nel prepararmi a lasciarla. — Ebbene piglia queste carte, ella disse estraendo dal seno un piccolo pacchetto: tre anni fa venne a vedermi per la prima e ultima volta una signora, avvolta in un manto di velluto, e lo mise nelle mie mani dicendomi: — Anna, affida queste carte al primo uomo che ti dice d’amarti. Poscia abbracciommi e scomparve. — Senza dirti il suo nome? — Nuli’altro udii che quello che ti dissi. — A stanotte, dunque, Anna, le dissi pigliando pensieroso le carte. — A stanotte, ripetè essa. Appena giunsi a casa mia, ruppi il suggello sul quale era impressa una corona di conte, e apparvero a’ miei occhi due piccoli pieghi di carta pecora, profumati e belli, e interamente fìtti di un- carattere chiaro e piccolo; fra le loro pieghe eravi una lunga treccia di capegli biondi, che spandevano un acuto profumo, e il cui colore era affatto uguale a quello delle ciocche di Anna. Misi sul tavolo con cura religiosa la bella treccia, e lessi lo scritto, del cui contenuto, se mi permettete, vi informerò. Il duca avvicinò il suo scanno a quello di Velâzquez in atto d’ascoltare, e questi spiegò una carta e cominciò a leggere quanto GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 219 il giro de’ principali teatri. Infatti al già Fondo, oltre al Matrimonio Segreto, al Conte Ory, alla Giannina e Bernardone, udimmo pure V Isabella A’Aragona del Pedrotti; e al Giardino d’inverno fece eseguire il Menestrello. Guest’anno poi fa scrivere appositamente una musica ad un maestro rinomato, promette un’opera nuova per Napoli del com-’ mendatore Rossi, e dopo il gran bel successo delle Educande di Sorrento, scritturò l’Usiglio perchè venga a mettere in iscena l’ultima sua opera La Scommessa. Di questa mi occuperò. La maniera di scrivere dell’Usiglio non mi piace nè punto nè poco. Ho poco in pregio la musica delle Educande, e ritengo se ne debba il buon esito più all’interessante e brioso soggetto della commedia anziché al merito intrinseco della musica che è un accozzamento di melodie conosciute e di luoghi comuni. Questa Scommessa riproduce ancora un poco delle Educande, e altre melodie di compositori antichi e moderni. Ciò che manca affatto all’Usiglio, è la fantasia libera, questo punto della poesia musicale che svolge le situazioni sceniche con melodie che incantano e vi sollevano. Noto pure nell’opera che esamino piena assenza di stile; il libretto è una ben meschina cosa, da una farsa del duca Ventignano è tratto il soggetto ed è essenzialmente comico; l’Usiglio l’infarcisce di tanti effetti drammatici che uscendo dal teatro voi non sapete affermare se avete udito una commedia lirica o un dramma. Debbo dirvi, a onor del vero, che la fattura di quest’opera è in generale discreta; vi si scorge molta più cura che non nelle Educande-, per altro lo strumentale non sempre brilla per felici disposizioni di colori; è quasi tutto il corso dell’opera ricco, ma spesso troppo nutrito si che ingenera frastuono. Poiché quest’opera non merita una critica minuta ed esatta, fo punto; ma prima vo’riassumere un po’il giudizio che emisi cosi alla buona. La Scommessa come le Educande non contengono ispirazioni le quali possano far ritenere che l’Usiglio abbondi di idee musicali proprie. L’arte poi del compositore, per mala ventura non compensa quest’assenza di originalità; nelle Educande l’orchestra è povera, l’istrumentazione sprovveduta di coloriti e l’assenza di modulazioni si fa vivamente sentire nella partitura. Nella Scommessa poi l’orchestra è molto più pregevole. In generale può dirsi che l’opera piacque e che l’esecuzione fu accurata per parte di tutti. La prima donna signora Nascio ha una bella voce, intuonata, ma poco estesa, tuttavia si fa applaudire pel canto aggraziato ed elegante. Il tenore Serazzi ha voce ineguale e procliva al calare, ma neppure egli canta male. Il Polonini è molto mediocre, e discreto buffo è il Fiorini, e il Guarnieri, tenore comprimario, disimpegna la parte sua a dovere. Si prepara per seconda opera il Menestrello. Dopo diverse rappresentazioni del Prè aux clercs il Filarmonico si è chiuso perchè i Fornari hanno dichiarato di non poter far fronte ai loro impegni nel prossimo mese di luglio. Gli artisti però furono pagati esattamente sino all’ultimo di giugno e anticipatamente. Fu bandito un concorso per titoli ed esperimenti al posto di Direttore della banda del R. Albergo de’ Poveri di qui, e un altro per provvedere al posto di Direttore generale della musica nell’Albergo medesimo. L’esperimento avrà luogo nel prossimo mese e la Giunta esaminatrice è composta‘dai signori: Com. Lauro Rossi; Com. Enrico Petrella; Cav. Nicola De Giosa; Cav. Paolo Serrao; M.° Vincenzo Battista; prof. Federigo Polidoro. Col prossimo corriere potrò farvi noto il voto che avrà emesco il presidente Nicola Rocco, arbitro nella quistione Musella e Municipio. ^.CUTO. GENOVA, 12 giugno. Imbroglio del corrispondente — L’autore del libretto Diem la Zingara — certificato di non idoneità — Esame della musica — Il maestro Emilio Bozzano — Gli artisti. In verità lo dico: le son cose da perder la testa o da tenersene ben bene il cappello. Imperciocché comprendete la misera condizione d’un uomo, il quale con le migliori disposizioni del mondo, con un desiderio ardentissimo di lodare, d’ammirare, di trovar perfetta ogni cosa, è ridotto a tacersi, e adoperar la parola, secondo la bella teorica del signor Talleyrand, non già a manifestare, ma a nascondere il proprio pensiero; sicché il suo fatto è quello d’uno schermidore, ognora più intento a parare che a menar le botte. E questo almen gli valesse, ma no: provatevi a dir senza figura le cose — siete un uomo crudele, un miscreato, un rabbioso; coloratele, addolcitele — sorgerà, che so io? l’amico a dir che invecchiate perchè diventate misericordioso. L’uomo è caduto, egli è in terra; su, feritelo, spacciatelo, sotto pena, non lo facendo, d’aver perduto lo spirito, chi spirito avesse. Oh che la verità è dura ad intendersi, ma più disastrosa ancora a dirsi! Ora per esempio che vogliamo fare di questa sciagurata Diem la Zingara comparsa la sera del 20 corrente sulle scene del Doria, questa grande disgraziata che è raffigurata meglio che Messalina; che del re Francesco I di Francia più rassomigliante ad uno studente di prim’anno d’Università che al vinto di Pavia celebre pel motto, Tutto è perduto fuor dell’onore; che di questo Ferron vecchio cortigiano e capo d’un gran consiglio (?) che trovando un uomo nella camera di sua moglie di cui sa essere l’amante dice; Dunque l’ami o sciagurata; Dunque infida a me tu sei? Che del capo degli Zingari, il quale perde la figlia per cinque anni, e non ha la forza nè l’autorità d’impedire che i suoi dipendenti uccidano la sorella, quando appunto ei tornava col riscatto del prigioniero fuggito. Queste singolarità nei personaggi che si notano nella tela di questo libretto aborracciato dal sig. Giuseppe Perosio sono invenzione tutta francese, perchè l’argomento è tolto dal romanzo La belle Ferronnière di A. Blanquet ed il librettista non ebbe che il cattivo gusto di sceglierlo per formarne un dramma lirico in cui le posizioni sceniche per la maggior parte rammentano Emani, Rigoletto e il Ballo in maschera-, e nella poesia non si rinvengono nè felici pensieri, nè belle frasi, nè concetti gentili; ma parole strane, e idee balzane quali appena si permetterebbero ad uno studente di rettorica a cui si farebbe perder l’anno pei seguenti versi: «Compier mi fosse dato il desiderio Della sua madre, allor che a morte in braccio Il ciglio suo chiudea.» E questi altri: «Dunque m’ami? Ah noi saprei.... Deh! mi rendi appien felice.... Ebben v’amo.... Ah mia tu sei... Qual balena atroce orrendo Nel mio cuor crudel sospetto.» Non vi pare di veder il povero Giona nella pancia del mostro marino? Ma del libretto abbastanza mi sono occupato, ora parlerò della musica. Nel breve cenno datovi la settimana scorsa avrete compreso che se quest’opera ha piaciuto e valse all’autore gli onori "della ribalta e gli applausi unissoni d’un numeroso e scelto pubblico per quattro sere consecutive, il merito è tutto del musicista, e un poco anche degli esecutori, ma niente, neanche per un infinitesima parte del sig. Perosio il quale per sola cortesia del sig. Bozzano venne presentato ai lumi della ribalta. La musica del signor Bozzano è inspirata, melodica, sentimentale; in essa traspirano frasi elegiache pure italiane, generalmente è elaborata con molto buon gusto e arte, non v’ha sciupio di note in soverchio rumore. Il quartetto è trattato con parsimonia, ma il lavoro d’orchestra è sempre esatto e piacevole, si ha è vero talvolta abuso del canto scoperto, di corone troppo lunghe che riescono pericolose, ma questi sono nei in confronto ai molti pregi dell’opera. Il Bozzano talvolta arieggia alla scuola gounodiana e tal altra imita il fare del Marchetti, ma nel complesso però si comprende che questo spartito è italiano puro sangue e di quella buona scuola melodica che ei diede il Matrimonio segreto, la Norma, il Guglielmo Teli, la Borgia, ecc., ecc. Nell’assieme di questo melodramma v’ha quell’unità di concetto, che invano si cerca in altri lavori, ed infatti nella sinfonia, che è una bellissima pagina musicale, è riassunto tutto il pensiero dominante dell’opera; beilo è il duetto fra baritono e contralto, e commovente è la musica dell’altro duetto fra baritono e soprano. Originale, ma forse troppo lunga, è la ballata spaglinola per soprano, e interessa moltissimo il terzetto in cui si spinge Re Francesco alla fuga e che per posizione scenica è stereotipato dal terzetto del Ballo in maschera, come pure di grande effetto e la stretta del coro con cui finisce il prologo. Graziosa e sentimentale è la romanza del tenore con cui si apre la scena nel primo atto, e gentile e scherzevole riesce la cabaletta. Di sorprendente effetto è il coro degli invitati al ballo, e grandiosa è la prima parte del finale primo. Il secondo atto comincia con un’elegante introduzione d’orchestra con assolo di violoncello; da cui si comprende come in quest’atto debba svolgersi qualche azione commovente del dramma. 220 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO a 1 il! Infatti Mizo (baritono) ha un’aria di grande importanza musicale in cui si rivela la potenza creatrice del maestro, la quale non scema, anzi potentemente continua col successivo duetto dei due bassi in cui l’uno conduce l’altro, suo malgrado, a forzato delitto. L’aria declamata per soprano che viene di poi è una bella ■cosa, ma non fece effetto, causa la freddezza della interpretazione; toccante è il duetto d’amore, che viene interrotto dall’arrivo improvviso del marito assieme a colui che deve spegnere il Re. Mizo riconosce nella infida sposa la perduta figlia, n questo punto dà luogo ad un bellissimo quartetto a voci sole che finisce con una stretta con accompagnamento d’orchestra, tale da obbligare qualsiasi retrivo all’applauso. L’atto terzo comincia con un coro di zingari assai caratteristico e naturale, il quale pur continua all’arrivo di Mizo, che viene»a domandare il loro aiuto per salvare la figlia. Ne segue poi un recitativo per basso di poco conto, e quindi un duetto tra basso e soprano; questa è la scena più drammatica, è l’unica originale di tutta l’opera. Féron vuol costringere Djem a scrivere al Re di venire; essa, dubitando un agguato, ricusa, Féron l’avvelena, intanto odesi la voce del Re Francesco che ripete la ballata, da Djem cantata la prima volta che s’incontrarono, e Féron obbliga la moglie a cantarne una strofa, segnale che conduce Francesco a scalare la finestra. Djem colla morte in seno vinta dalla potente volontà del marito cade sotto la finestra nel momento stesso che Francesco ìa scavalca. La musica qui ripete i sentimenti che agitano i tre attori in modo così naturale da far restar l’uditorio a bocca aperta per attendere la soluzione. Djem è morente, Francesco promettte a sè stesso di punire Féron, il quale a sua volta è fiero di essersi vendicato. Intanto da ogni dove irrompono gli Zingari condotti da Mizo per liberare la figlia, e la trovano semi-spenta. Djem raccolte tutte le forze prega il padre e l’amante a perdonare, tutti s’inginocchiano, e ripetendosi scenicamente il finale del Ballo in maschera, cala la tela lentamente accompagnata da un corale sacro di merito singolare. Da questo dettaglio di leggeri si comprenderà come il maestro abbia trionfato anche degli ostacoli che gli presentava il libretto, e come i pregi di quest’opera sieno molti; vi sono delle mende, ma leggere e forse anche voglionsi perdonare come velleità di esordiente. Ad ogni modo io augurerei per l’amore che porto all’arte nostra, che tutti i maestri e specialmente i nuovi scrivessero un dramma musicale del valore di questo del Bozzano. L’orchestra ben diretta dal Monleone, fu inappuntabile, mentre l’esecuzione per parte dei cantanti se fu ottima per parte del Buti, e discreta per parte del Ronconi, lasciò molto a desiderare nella Traffor; per la freddezza con cui interpretò il carattere della Zingara spagnuola; moltissimo fu inferiore alle esigenze il contralto; tollerabile appena il basso. Discretamente i cori e abbastanza decenti le decorazioni. VENEZIA, 20 giugno. Serata di beneficenza al teatro Camploy — Promesse del teatro Malibran. Non ei voleva meno d’una inondazione per offrire a noi, poveri abitatori di queste silenti lagune, l’occasione di udire un po’di musica! Da tempo quasi immemorabile tutti i nostri teatri dormono profondamente e pegli amatori della musica, c’è da dar del capo, non dirò nel muro che la sarebbe una bestialità, ma poco meno. Martedì sera 18 corrente il teatro Camploy, gentilmente concesso dal proprietario, apriva le sue porte ad una serata di beneficenza: lo scopo era santo poiché si trattava di destinare il ricavo a beneficio dei poveri danneggiati dalla rotta del Po; ma il concorso non fu quale dovea essere. La società drammatica, auspice Gustavo Modena, recitò un dramma in due atti ed una farsa; e alcuni nostri dilettanti di canto concorsero col contingente dei loro mezzi a completare un divertimento che dovea sembrar tale, se non altro nella coscienza di fare il bene. La parte drammatica, a dir vero, poco o nulla piacque, in ispecial modo per la nessuna pratica dei giovani attori di recitare in un ambiente relativamente grande, troppo grande per quelle voci, che non son voci, o tali da poter appena parlare. La parte musicale riusciva di molto migliore. In essa prese parte buona schiera di egregi dilettanti nostri, tra cui la signora Vettonati, esordiente, il Colonna, il Podio, il Penco, tutti e quattro per la parte vocale, ed i signori Gallina, Poli, Minco, Volin e Malipiero pella parte strumentale. La prima, cioè la signora Vettonati, ebbe applausi vivissimi, e meritati, nel duo dell’AroZrfo eseguito assai bene col signor Podio. Il Colonna, che canta stupendamente, deliziava il pubblico tanto nella parte seria, colla romanza nella Linda, che nella parte faceta, secondato egregiamente dal Penco, talché dovette con questi replicare il notissimo’ ma sempre grazioso duo: I Mulattieri del maestro Masini. Maestro accompagnatore al piano fu il signor Buschovich. Meritano pure sincerissime lodi i signori Gallina, Poli, Mirco, Volm e Malipiero per averci fatto udire, i quattro primi su due piani, e l’ultimo sull’armonium un pout-pourri sul Poliuto. L’esecuzione fu commendevolissima. Negli intermezzi suonò la banda cittadina che il Municipio gentilmente concedeva. Alla fine, il nostro Gallo, anima e corpo dello spettacolo che sta per incominciare, fece attaccare per le vie il cartellone. Il prezzo d’entrata incredibilmente basso; le oneste previsioni per togliere ai camorristi il mezzo di far man bassa, disposero ancor più favorevolmente gli animi, e c’è a vaticinare senza tema di aversi a smentire, che la stagione che sta per aprirsi sarà una delle più belle che la città nostra possa registrare. Davvero che se il pubblico non accorresse, digiuno com’è ora di buona musica, in modo straordinario al Malibran, bisognerebbe dire che il senso artistico è andato a spasso, oppure che il Gallo ha la iettatura il che non può essere quando si è Gallo.... e Toni! PARIGI, 26 ghigno. Les Huguenots all’Opéra, con la nuova artista, madamigella Amai. — Le Trouvère allo stesso teatro col tenore Sylva. — Les Dragons de Villars aZZ’Opéra-Comique — I café-chantants e i diritti d’autore. La pazienza del pubblico di Parigi è veramente esemplare. Offritegli durante trenta o quarant’anni Roberto il Diavolo, non si lamenterà, adducendo che è un capolavoro. Chi lo nega? Ma anche d’un capolavoro si finisce per aver abbastanza. Vero è che per riposarne la gente usa ad andar all’Opéra tutte le sere, la direzione offre Gli Ugonotti, che non sono, essi neppure, una troppo fresca novità. È quando qualche impaziente (nel qual numero potete, senza offenderlo, includere il vostro umile collaboratore) ha l’impertinenza di far osservare che il repertorio dell’Opéra potrebbe oramai essere rinfrescato, aggiungendovi qualche nuovo spartito, il pubblico risponde: — Ma no, abbiamo Roberto il Diavolo, gli Ugonotti, che non invecchiano mai; si sa quel che si lascia non si sa quel che si trova; non bisogna abbandonar la preda per l’ombra. E notate che nessuno lor dice di lasciare, di abbandonare i due capilavori di Meyerbeer; chi lo direbbe, rischierebbe d’esser lapidato. Si desidera soltanto che, senza metter da banda queste due opere, se ne dia qualcheduna che non risalga a trenta o quarant’anni. Checché ne sia, l’altra sera abbiamo avuto una rappresentazione degli Ugonotti, nella quale esordiva una nuova Valentina, la signorina Amai, che aveva già affrontato il giudizio del pubblico su scene straniere L’esordiente ha una bella voce, alquanto debole nelle corde medie, ma limpida, oscillante e gradevole nelle corde acute, della quale sa valersi con successo. Questo primo esperimento le è stato del tutto favorevole: dalle prime frasi musicali, l’uditorio ha capito che era in presenza d’una buona artista; sul principio l’ha applaudita semplicemente per darle coraggio, in seguito, per felicitarla e del suo bel metodo di canto e degli studii fatti. Insomma l’Arnal ha piaciuto. Tutta l’attrattiva della rappresentazione riducendosi alla prima apparizione della giovane esordiente, e gli altri artisti avendo già cantato in quest’opera, credo superfluo il parlarne. Non v’è dunque nulla di mutato aH’Accademia di musica, salvo che essa conta un’artista di più. Vorrei che in cambio d’una cantante, contasse un’opera di più. Ma finché non sarà messa in iscena La Coupe du roi de Thulè, non ei è speranza. E ben vi è noto che da gran tempo essa è alle prove. Vi è noto altresì che per mettere in scena un’opera nuova, abbisognano a questa benedetta Accademia di musica, come s’intitola l’Opéra, sei mesi almeno. Pel Roberto il Diavolo ce ne vollero ventidue!... Come si fa a pretendere un’opera nuova ogni anno, — e son ben discreto contentandomi d’una sola — se sei mesi si passano in prove. E non vi parlo che di piccole opere. Se si trattasse d’una di quelle grandi macchine in cinque atti con ballabili, non so dove si andrebbe. Benedetta l’Italia! in due o tre settimane l’opera è imparata, provata e va in iscena. Questa sera il cartello, contro il consueto, non annunzia una delle quattro eterne opere di Meyerbeer: Gli Ugonotti cedono, per eccezione, il posto al Trouvère. Non è già per simpatia verso GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 221 l’autore, benché dugentosedici rappresentazioni del Trouvère all’Opéra abbiamo dimostrato che neppur esso invecchia; ma per dar l’agio al nuovo tenore Sylva di prodursi in un’opera, assai più adattata ai suoi mezzi che Roberto il Diavolo, nel quale lo lasciarono, non so perchè, esordire. Si disse generalmente che Sylva ha una bella voce, che è un buon tenore, ma che ha avuto torto di presentarsi al pubblico nella parte troppo superiore ai suoi mezzi vocali, di Roberto di Normandia. Convinto di questa verità egli ha domandato ed ottenuto di riprodursi in quella di Manrico, nella quale molto probabilmente otterrà maggior successo. Cosi sia! Il teatro dell’Opéra- Comique, dopo vani tentativi di musica vera germanica, voglio dire le Passant, Djamileh e la Princesse ialine, ha creduto più prudente e più utile ai suoi interessi di ritornare alla vera opera comica, ove le melodie non sono costrette a cedere il posto alle equazioni algebriche degl’imitatori di Wagner. Ecco perchè ha dato I Dragoni di Villars, opera già eseguita al teatro Lirico, e la migliore del fu maestro Maillant. L’esecuzione, bisogna confessarlo, è stata assai accurata; ma quand’anche noi fosse stata, il pubblico era risoluto a far a quest’opera la più calda e simpatica accoglienza, quasi per protestare contro le tendenze alemanne, mostrate per ben tre volte di seguito dalla direzione. Infatti nulla di più differente che l’opera di Maillart, tutta piena di facili, eleganti e graziose melodie, ed i lunghi e monotoni recitativi istrumentati, che i tre maestri della nuova scuola, Paladilhe, Bizet e Saint-Saëns hanno dato come un lavoro scenico. Bisogna pure che se ne persuadano: il pubblico non vuole annoiarsi alla matematica musicale; vuole che un’opera sia scritta con tutte le regole del contrappunto, che sia accuratamente istrumentata, ma vuole sopratutto che contenga qualche frase melodica; insomma non vuole uscir dal teatro con mal di capo e senza nulla aver ritenuto di quello che ha udito. La morale di tuttociò è che I Dragoni di Villars si cantano da più anni in tutti i salotti, oltreché l’opera fa il giro della provincia, e che i tentativi dei tre Curiazii dell’arte germanica resteranno infruttuosi. Una questione abbastanza importante sarà fra pochi giorni risoluta dalla società dei compositori di musica ed autori drammatici: quella cioè di far pagare ai proprietarii dei Cafés-concerts i dritti d’autore sui pezzi di musica che si cantano in questi stabilimenti e che appartengono al repertorio teatrale. Un dritto è pagato attualmente, ma così scarso che è veramente derisorio. Si tratta di portar questo dritto ad una cifra più ragionevole. Gli stabilimenti di cui è parola guadagnano bene; sono sempre pieni di gente; perchè si esimerebbero dal pagamento di un dritto da prelevarsi sulla musica che vi si esegue? Questa musica appartiene ai compositori; se vogliono servirsene e trarne profitto, è giusto che paghino. Nel caso che i Cafés-concerts si opponessero alla decisione della società dei compositori ed autori drammatici, questi proibirebbero ad essi di eseguire qualunque pezzo di musica dei membri di essa società, — siccome tutti i compositori sono in questa società, i Cafés-concerts non avrebbero altro mezzo di tirar innanzi che facendo eseguire musica classica e caduta nel dominio del pubblico, Gluck, Mozart, qualche opera di Rossini, ecc. Anche per queste musiche, dovrebbero far cambiare le parole, perchè se fan cantare quelle che sono attualmente sotto le note, gli autori francesi di queste traduzioni, vi si opporranno. Potreste osservare che la società dei compositori ed autori drammatici è un po’ troppo severa. No ’l nego; ma, da altra parte non è egli giusto di far risaltare la proprietà artistica e letteraria? Finora si è fatto troppo buon mercato di essa. L’abuso è divenuto una vera pirateria. Con qual dritto un quidam si servirà delle mie parole o della mia musica per batter moneta, senza pagarmi un dritto d’autore? Le mie parole o la mia musica m’appartengono, sono di mia proprietà o quella del mio editore, che le ha acquistate, mediante pagamento. Ed un intraprenditore di concerti a cielo aperto, uno speculatore qualunque potrebbe impunemente valersi della mia proprietà per far accorrere la gente al suo stabilimento e tirarne profitto? Al modo stesso che paga il proprietario dello stabile, e le derrate che vende, caffè, birra, liquori, ecc., al modo stesso pagherà la musica e le parole che fa cantare, come paga gli artisti che le cantano. Se la proprietà letteraria fosse rispettata da per tutto come lo è qui, non si vedrebbero tanti poveri diavoli far da berretto ai librai per vendere i loro manoscritti. Se questi non potessero più impadronirsi gratuitamente delle opere straniere, sarebbero costretti di pagarle, e dovendo pagarle, preferirebbero venir a convenzione coi loro connazionali. jA. fi. BERLIIVO, 18 giugno 1872. Concerto della Caecilien-Verein. — Il Canto al destino (Schicksalsliedj di Brahms — Il basso Krolop — Rappresentazioni della Società Strampfer di Vienna — Le canard à trois becs — Notizie Varie. Le nuove composizioni d’uno dei più classici compositori viventi, del Brahms, sono sempre aspettate da noi con ansietà straordinaria. Vi scrissi già del successo del suo Requiem che fu eseguito dalla «Caecilien-Verein» sotto la direzione del bravo maestro Alessandro Hollaender; l’ultimo concerto di questa Società ei fece conoscere un nuovo lavoro interessantissimo dello scolaro prediletto dello Schumann lo «Schicksalslied» (Canto al destino) per soli, coro ed orchestra. Lasciate che io ringrazi pubblicamente il bravo maestro di questa società che non teme fatica, fastidio o disgusto per rappresentar il nuovissimo ed il migliore di quanto produce il campo musicale tanto più che il successo materiale non corrisponde, perchè il pubblico ama più andare dove sa che saranno eseguiti lavori conosciuti, che non richiedono sforzi d’attenzione!! Quant’alla composizione, è meglio riuscita che quella del Requiem; da una parte la poesia gli diede maggior campo da muoversi che non facessero i versetti della Santa Scrittura, poi tutto il colorito filosofico misto ai gridi del dolore gli fece guidare il pennello con una audacia, con una verità e con una potenza che non si può tradurre nella lingua fredda della critica. È una creazione quasi finita. Le due prime strofe del’canto (poesia di Hoelderlin) ove sono benedetti i celesti, sempre giovani, cogli occhi raggianti di dolcezza sovrumana, spirano una tenerezza dolcissima accompagnata da una istrumentazione magica e formano un contrasto raro e commovente colla terza strofa che dipinge noi, poveri abitanti del mondo reale; questa strofa è riprodotta musicalmente con un ingegno che sfida ogni descrizione; cito solo la frase «Sono gettati (gli uomini) come l’acqua, ciecamente dallo scoglio allo scoglio,» che è d’un sentimento vero e profondo. Si noti a questo proposito, che la nuovissima creazione del Brahms, eseguita pochi giorni fa nel concerto d’addio del valente maestro Levi in Carlsruhe, intitolata Triumphlied (canto al trionfo) per un coro di 8 voci soli ed orchestra, ebbe un successo veramente entusiastico, cosa tanto più meritoria in quanto questa musica dev’essere un capolavoro di contrappunto. Gli altri pezzi di questo concerto della Caecilien verein erano cori di Rheinthaler e Reissmann, lavori meritevoli ed eseguiti con rara finezza ed accuratezza dal coro. Di più la signora Hollaender cantò parecchie canzonette gentili con buona voce e con molta intelligenza, benché impiegando alle volte degli accenti troppo acuti, ciò che produceva un’intonazione mal sicura, e la Luigia Langhans, nata Japha, esimia pianista, eseguì oltre la suonata (fa dies. min.) di Schumann, alcune composizioni proprie, molto pregevoli. Dimenticai di parlare nell’ultimo carteggio dell’ospite Krolop, marito della nostra prima donna Voggenhuber, già neW’Opera di Lipsia, un famoso basso, che si fece udire due volte sulla scena dell’opera, nel borgomastro van Bett {Czar und Zimmermann di Lortzing) e nel Plumkett {Marta di Flotow). Benché quanto al canto riuscisse splendidamente nella prima parte, non seppe dare a questo tipo ridicolo il carattere a cui sono avvezzi i berlinesi in quest’opera loro prediletta, perciò il successo non fu equivalente al suo merito. Ma nella seconda parte (quest’opera fu rappresentata nel teatro imperiale dei drammi, minore dell’Opernhaus, ma migliore per l’acustica) egli si mostrò sotto miglior luce, la sua voce seppe adattarsi perfettamente alle proporzioni del teatro e l’azione non lasciò a desiderare. Sopratutto nella rappresentazione di questa sera fu perfetta la Lehmann, protagonista, che cantò con quella squisitezza di colorito e con quella naturalezza d’espressione che sono sue doti speciali. Lo Schleich cantò il Lyonel con molto merito e l’orchestra e i bravi cori fecero del loro meglio. Il Krolop fu scritturato per primo buffo-basso e lo crediamo un gran guadagno per la scena nostra, giacché è un artista che non dimentica mai lo scopo vero della musica. La Società Strampfer di Vienna venne da noi per darci parecchie rappresentazioni d’operette buffe, incominciando coll’Anitra dei tre becchi, (in francese: Canard à trois becs, di Hopp), musica di E. Jonas. La novità ebbe accoglienza lietissima, benché non meritata interamente; lo Jonas è un eclettico; ha un idolo solo «Jacques Offenbach» ma non si fa scrupoli di chiedere a prestito alla ditta accreditata: Adolphe Adam ossia Louis Hérold e C.1 Non gli si può negare fluidità e freschezza, ed il suo merito speciale è fattura buona nell’insieme. I pezzi migliori sono i couplets della Margherita, il duetto tra essa e Spaniello, nonché la serenata dei giovani spaglinoli; fu chiesto il bis del primo e dell’ultimo di questi pezzi. Quanto agli esecutori era buonissima la Finali (protagonista) persona leggiadrissima, bellissima voce e buona 29Q GAZZETTA MUSICALE DI MILANO espressione; piacque molto 1 Adolfi (Spaniello) già rinomatissimo fra noi nel Friedrich-Wilhelmstaedtischen Theater. Per finire aggiungo qualche notizia. La Lucca ritornerà fra noi, ma non canterà che nei mesi di ottobre e novembre; si recherà poi come vi dissi in America, avendo sottoscritto nei giorni scorsi il contratto coll impresario Moretzer. Antonio Rubinstein ha finito testé una grande composizione biblica Hagar di cui gli ha fornito il testo Ferd. di Saar. Gli ospiti principeschi italiani sono andati da qui a Dresda, dove ebbe luogo per loro desiderio una seconda rappresentazione del Lohengrin di Wagner; mi fu assicurato che hanno anzi udito in Monaco Tristan ed Isolda ed il Rheingold. Wagner ora vuol fare un gran viaggio cogli artisti più distinti, in Italia, per farvi rappresentare le sue opere. Il conte di Huelsen, Niemann, Betz ed il maestro Eckert furono insigniti di ordini italiani dal principe ereditario dopo la rappresentazione del Lohengrin. La pianista quindicenne Janotha, di cui vi feci brillante menzione, ha avuto un successo inaudito nel concerto del Kurhaus di Baden-Baden, suonando il Concerto {sol mini) di Mendelssohn, la Novelletta di Schumann, il Presto di Mendelssohn e wN Elude di Rudorff. A H o. Rimandiamo al prossimo numero la pubblicazione della corrispondenza di Londra giuntaci in ritardo. PREMIO STRAORDINARIO TRIMESTRALE CHIAVE DIPLOMATICA N/’ g igufgrug ogrug Igrfo, h g rvr sf g Igrfv ogruq iqufgruq. REBUS Il preferito dalla sorte, fra gli associati che manderanno la soluzione della Chiave diplomatica e del Rebus, avrà in premio un’opera completa per Pianoforte o per Pianoforte e Canto, a sua scelta. Quattro degli associati che spiegheranno il solo rebus o la sola Chiave diplomatica, estratti a sorte, avranno in premio uno dei pezzi enumerati nella Rivista Minima a loro scelta. SPIEGAZIONE DELLA SCIARADA DEL NUMERO 24: NAVI - CELLE Mandarono la spiegazione esatta la signora Adelina Barieri Bergomi e il signor E. Donadon, ai quali spetta il premio. ROMA. Al Politeama Romano ebbe ottimo esito il Trovatore interpretato dalle signore Landsman e Moroto-Tamati, dal tenore Golii e dal baritono Marucco. Bene tutti. ROVIGO. Il Crispino e la Comare fu occasione di un bel successo alla signora Flavis-Cencetti, che fu applaudita in tutti i pezzi e dovette ripetere la canzone della frittola e il duetto. Bene gli altri. TRENTO. Ci scrivono: La Lucrezia Borgia andata in scena testò, ebbe esito entusiastico per tutti gli esecutori, che sono i conjugi Pozzoni-Anastasi, il baritono Moriami e la signora Cosmelli. Quest’ultima nella parte di Orsini fu disinvolta, cantò benissimo e si fece molto applaudire dal pubblico che vede ogni giorno un progresso in lei e nella sua giovinezza un avvenire. Degli altri è inutile far parola; le lodi non possono crescere fama a così valenti artisti. FAENZA. Nel Faust fu applaudita con entusiasmo la signora Contarmi; bene la Bracciolini, Carpi, Cima e Rossi-Galli. BARCELLONA. Nel teatro del Liceo ebbe prospere sorti la Favorita, interpretata stupendamente dalla signora Carolina Ferni, dal baritono Giraldoni, dal tenore Aramburo e dal basso Del Fabbro. La Norma fu un altro trionfo per le sorelle Ferni; bene il tenore Aramburo. MADRID. Il Don Carlos di Verdi fu eseguito con ottimo successo. Ebbero molti applausi le signore Potentini e Biancolim, Steger, Collini e David; ottimi i cori e l’orchestra; splendida la messa in scena. Riservandoci di darne i particolari al prossimo numero accenniamo intanto che in seguito al felice successo del capolavoro Verdiano, tutta la compagnia fu riconfermata fino al 30 corrente, in luogo di terminare il 20, come erasi già stabilito. POSTA DELLA GAZZETTA Signor N... S... — Genova — N. 301. Ricevuto vaglia. Signor Cesare A... P... — Genova — N. 481. Sta bene, e buon viaggio. Signor B. L. y R. — Lecce. — N. 344. Il premio si dovette ristamparlo e fu spedito solo il 26; un buon Metodo di accordatura è quello di Fattorini (prezzo Fr. 1); e un ottimo trattato d’armonia è quello di Boucheron (Fr. 25). COMMISSIONE DIRETTRICE DEL TEATRO COMUNALE FRASCHINI in Pavia Dovendosi provvedere alla conduzione degli ’spettacoli a darsi nel teatro Comunale di questa città nell’Autunno corrente anno o nel Carnevale e stagione di Quaresima del venturo 1873 — si invitano gli aspiranti a presentare le loro offerte entro il 15 del prossimo luglio; dichiarandosi che non verranno accolti quei partiti i quali non fossero cantati colla somma di L. 650 in denaro effettivo o in rendita italiana da valutarsi al corso di borsa. Il capitolato che istruisce sulle condizioni che dovranno regolare il contratto, del pari che sull’ammontare del sussidio assegnato all’impresa assuntrice del medesimo, è sin d’ora visibile nell’ufficio di Spedizione presso il locale Municipio. Pavia, li 17 Giugno 1872. LA COMMISSIONE. Società Filarmonica del FITTO T>I CECINA {Provincia di Pisa). È aperto il concorso al posto di Maestro della Banda Musicale del Fitto ■ di Cecina colla retribuzione di L. 100 mensile scaduta, e con gli oneri ed obblighi resultanti dal Regolamento fondamentale per l’istituzione di detta Banda, approvato dalla Società nel dì 9 giugno corrente. Sono pertanto invitati gli aspiranti a far pervenire franco di posta al sottoscritto entro giorni 30 dalla data del presente, le loro istanze corredate dei documenti che appresso: a) Certificato di nascita. b) Certificati Criminale e di buona condotta di recente data. c) Attestato di sana costituzione. ei) Patente di Maestro. e) Certificato di avere istruito altre bande. Fitto di Cecina, 24 giugno 1872. Il Presidente ATTILIO BANDIERA Editore-Proprietario, TITO DI GIO. RICORDI. Oggioni Giuseppe^ gerente. Tipi Ricordi — Carta Jacob.