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GAZZETTA. MUSICALE DI MILANO 217 Rivista Milanese Sàbato, 29 ghigno. Eran due ed or son tre... i teatri aperti. Al Politeama ed al Fossati si è ora aggiunto il Re (nuovo) e la terna è perfettissima. Quanto al teatrino estivo la sua esistenza è così irregolare e •così innocente che a tenerne conto ei vuol proprio tutta la buona volontà d’un cronista disoccupato. Perfino i temporali se la pigliano con quel disgraziato baraccone e per poco alcuni giorni sono non rimase vittima d’un colpo di vento. Ciò non toglie che il proprietario del caffè persista nella sua idea di perdere gli avventori per regalarsi un pùbblico, e vi adopera anzi tutte le seduzioni del suo repertorio. Il regno del Granduca di Gerolstein succede ad una corsa di piacere dell’eterno Barchetto, e tra l’eterno Banchetto e il Granduca apparisce ogni tanto, ma con molta parsimonia, una farsa o una commediola; testé apparve anche un ballo, un vero ballo, con una vera prima ballerina e con una mezza dozzina di vere seconde ballerine; queste sei signore fanno il passo a otto, il ballabile e la scena mimica e tutto quello che è possibile fare in sei metri quadrati di palcoscenico. È la cosa più burlesca che si possa vedere. Il ballo non fu composto espressamente, si capisce, e s’intitola La vivandiera del coreografo D’Amore! Il Fossati continuò a dar la massima pubblicità al Matrimonio segreto, le cui sorti furono migliorate.... dal ballo Carotin per intercessione della ballerina Marchetti. Aspettate senza impazienza jeri comparvero finalmente le Educande di Sorrento, delle quali diremo un’altra volta; più desiderato è l’altro ballo Il Ponte del Diavolo, ancora in costruzione e più di tutto la Cenerentola che per la giovane generazione è quasi una novità. Vengo al Trovatore. Ebbene sì, questo spettacolo merita un cenno; avevo sempre creduto quest’opera un capolavoro serio; il Re (nuovo) m’insegna come possa diventare un capolavoro burlesco. Cantanti, cori, orchestra fanno a gara per mantenere il pubblico di buon umore; e il pubblico compie lo scherzo applaudendo con la massima serietà. Considerata coll’entusiasmo baldanzoso di questo pubblico, l’esecuzione ha dei buoni punti, per esempio il baritono De-Magnani il quale, se non altro, ha voce; e il contralto De-Morelli che canta senza stonare. Lasciamo il Trovatore, ed aspettiamo con rassegnazione la Lucìa che deve succedergli, e V Ebreo che deve far dimenticare i trionfi immancabili della Lucia. Stando le cose musicali in questi termini, non so dar torto al pubblico che si affolla agli spettacoli equestri del Politeama; tra Verdi di Porta Ticinese e Cimarosa di Porta Garibaldi, meglio, infinitamente meglio, il salto dei cerchi e i cavalli ammaestrati del Tivoli. Parecchie notizie hanno fatto il giro delle cronache cittadine degli ultimi giorni. La sola importante è la decisione della Corte di Cassazione, con cui respinge il ricorso dei palchettisti dei Regi Teatri di Milano, nella causa col Governo. L’indissolubile nodo è finalmente sciolto; capisco che è un modo Alessandrino di scioglimento, ma dopo tutto meglio così che peggio. Ed era assai peggio l’indeterminazione che ha regnato finora da sovrana, e che ha impedito che si facesse mai nulla di serio pell’avvenire e pel decoro del nostro massimo teatro. Il Governo non farà la dote - da tutti i malcontenti e da tutte le dicerie prò e contro, suscitate dalla sentenza della Cassazione, questo fatto è almeno posto in sodo: «il Governo non farà la dote». E un malanno - d’accordo, ma si penserà al rimedio, e non sarà, speriamo, il solito empiastro e la solita vergogna della mendicità. _ _ a rALLA RINFUSA Per il venturo carnovale e per il solito spettacolo d’opera è da appaltarsi il Teatro del Pavone di Perugia. La dote è di L. 11,000, oltre il canone de’palchi e l’opera gratuita del maestro concertatore e direttore d’orchestra. È disponibile il Teatro civico di Novi ligure per l’autunno venturo. Si esigono due opere serie a scelta della Direzione, due balli di mezzo carattere e 30 rappresentazioni. La dote è di L. 7000. — Il deposito richiesto di L. 1200. in sull’aurora della mia vita con Giovanna Pacheco, che aveva sempre amato come una sorella, nessuna passione era mai giunta a scuotere il mio onore. Un mattino andando a zonzo per la città, mi trovai, senza sapere come, in una via affatto deserta, in capo alla quale stavano alcuni alberi: era una di quelle che mettevano fuori della città. Osservando quel luogo solitario, e piacendomi, mi sedetti ai piè d’un albero, abbandonandomi a una di quelle vaghe meditazioni inspirate dalla solitudine, e che hanno nessuno scopo. Io non so quanto tempo rimanessi colà; quando alzai il capo, vidi davanti a me una piccola casa, nella cui facciata eranvi quattro finestre; sulla più vicina stava appoggiata una giovane che credesti fosse un’apparizione celeste. — Era tanto bella? chiese Hurtado de Mendoza con benevolo sorriso. — Tanto bella, che giammai avea visto nulla che le si potesse paragonare; imaginate, signor don Giovanni, un volto di quindici anni, bianco come l’alabastro, e rischiarato da due occhi azzurri così grandi e belli come soltanto li possiedono le fiamminghe; imaginate una capigliatura dorata e lucente come la seta, una bocca da angelo, una fronte verginale, nivee manine e piedini infantili, e avrete un’idea approssimativa di quella bellissima fanciulla. — E voi l’avete lasciata là? esclamò stupito il duca. — Scusate se ora non rispondo a questa domanda, e se continuo la mia storia, disse Velâzquez con tremulo accento; indi proseguì: — Per molto tempo rimasi contemplando quella angelica creatura, senza che essa distogliesse da me i suoi grandi e innocenti occhi, e pigliai soltanto la via di casa mia quando la luce della sera si era fatta tanto esile che più non potevo distinguerla. — Addio mi disse in allora l’incognita con voce dolcissima, e come se fossi stato un suo vecchio amico. — Addio, risposi io, sino a domani; e mi allontanai lentamente. Apparsa appena l’aurora del giorno dopo, andai a pormi innanzi alle finestre del mio angelo, che tardò un po’ di tempo a comparire. — Non credevo che saresti venuto così per tempo, mi disse senza imbarazzo e senza arrossire: non ho dormito in tutta la notte pensando a te, e in sull’aurora fui presa dal sonno; perdonami. — Come ti chiami, bella fanciulla? le chiesi sorpreso da quel candore e sincerità. — Anna. — Hai genitori? — No; mi tiene compagnia soltanto una vecchia padrona chiamata Taddea; ho mai veduti i miei genitori, e non conosco che lei e te. Il nostro colloquio durò lunga pezza, e nessuno venne a interromperci nè a vegliare su quella innocente, e neppure passò alcuno nell’appartata via. Anna mi disse che alle volte passavano dei mesi senza che anima vivente transitasse di là, e che per questo era stato tanto vivo il suo stupore nel vedermi. Mi disse pure che usciva mai di casa, perchè un vecchio sacerdote andava a dir messa tutti i giorni nel suo oratorio; che la sua padrona riceveva due pasti quotidiani da un finestruolo coperto da grata nella porta, e che nessuno andava mai a vederle. Finalmente mi congedai; ma per quindici giorni i nostri ritrovi replicaronsi, e tosto conobbi che quella fanciulla era tanto necessaria alla mia vita come l’aria che respiravo. Sotto l’influsso del mio amore disegnai il quadro dell’incoronazione, che avete tanto magnificato, e fu allora che avvertii d’avere trovata quell’inspirazione che prima fuggivasi da me. Però non seguii l’esempio di Raffaello d’Urbino col ritrarre la mia Anna in tutte le donne de’miei quadri, come quegli fa