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220 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO a 1 il! Infatti Mizo (baritono) ha un’aria di grande importanza musicale in cui si rivela la potenza creatrice del maestro, la quale non scema, anzi potentemente continua col successivo duetto dei due bassi in cui l’uno conduce l’altro, suo malgrado, a forzato delitto. L’aria declamata per soprano che viene di poi è una bella ■cosa, ma non fece effetto, causa la freddezza della interpretazione; toccante è il duetto d’amore, che viene interrotto dall’arrivo improvviso del marito assieme a colui che deve spegnere il Re. Mizo riconosce nella infida sposa la perduta figlia, n questo punto dà luogo ad un bellissimo quartetto a voci sole che finisce con una stretta con accompagnamento d’orchestra, tale da obbligare qualsiasi retrivo all’applauso. L’atto terzo comincia con un coro di zingari assai caratteristico e naturale, il quale pur continua all’arrivo di Mizo, che viene»a domandare il loro aiuto per salvare la figlia. Ne segue poi un recitativo per basso di poco conto, e quindi un duetto tra basso e soprano; questa è la scena più drammatica, è l’unica originale di tutta l’opera. Féron vuol costringere Djem a scrivere al Re di venire; essa, dubitando un agguato, ricusa, Féron l’avvelena, intanto odesi la voce del Re Francesco che ripete la ballata, da Djem cantata la prima volta che s’incontrarono, e Féron obbliga la moglie a cantarne una strofa, segnale che conduce Francesco a scalare la finestra. Djem colla morte in seno vinta dalla potente volontà del marito cade sotto la finestra nel momento stesso che Francesco ìa scavalca. La musica qui ripete i sentimenti che agitano i tre attori in modo così naturale da far restar l’uditorio a bocca aperta per attendere la soluzione. Djem è morente, Francesco promettte a sè stesso di punire Féron, il quale a sua volta è fiero di essersi vendicato. Intanto da ogni dove irrompono gli Zingari condotti da Mizo per liberare la figlia, e la trovano semi-spenta. Djem raccolte tutte le forze prega il padre e l’amante a perdonare, tutti s’inginocchiano, e ripetendosi scenicamente il finale del Ballo in maschera, cala la tela lentamente accompagnata da un corale sacro di merito singolare. Da questo dettaglio di leggeri si comprenderà come il maestro abbia trionfato anche degli ostacoli che gli presentava il libretto, e come i pregi di quest’opera sieno molti; vi sono delle mende, ma leggere e forse anche voglionsi perdonare come velleità di esordiente. Ad ogni modo io augurerei per l’amore che porto all’arte nostra, che tutti i maestri e specialmente i nuovi scrivessero un dramma musicale del valore di questo del Bozzano. L’orchestra ben diretta dal Monleone, fu inappuntabile, mentre l’esecuzione per parte dei cantanti se fu ottima per parte del Buti, e discreta per parte del Ronconi, lasciò molto a desiderare nella Traffor; per la freddezza con cui interpretò il carattere della Zingara spagnuola; moltissimo fu inferiore alle esigenze il contralto; tollerabile appena il basso. Discretamente i cori e abbastanza decenti le decorazioni. VENEZIA, 20 giugno. Serata di beneficenza al teatro Camploy — Promesse del teatro Malibran. Non ei voleva meno d’una inondazione per offrire a noi, poveri abitatori di queste silenti lagune, l’occasione di udire un po’di musica! Da tempo quasi immemorabile tutti i nostri teatri dormono profondamente e pegli amatori della musica, c’è da dar del capo, non dirò nel muro che la sarebbe una bestialità, ma poco meno. Martedì sera 18 corrente il teatro Camploy, gentilmente concesso dal proprietario, apriva le sue porte ad una serata di beneficenza: lo scopo era santo poiché si trattava di destinare il ricavo a beneficio dei poveri danneggiati dalla rotta del Po; ma il concorso non fu quale dovea essere. La società drammatica, auspice Gustavo Modena, recitò un dramma in due atti ed una farsa; e alcuni nostri dilettanti di canto concorsero col contingente dei loro mezzi a completare un divertimento che dovea sembrar tale, se non altro nella coscienza di fare il bene. La parte drammatica, a dir vero, poco o nulla piacque, in ispecial modo per la nessuna pratica dei giovani attori di recitare in un ambiente relativamente grande, troppo grande per quelle voci, che non son voci, o tali da poter appena parlare. La parte musicale riusciva di molto migliore. In essa prese parte buona schiera di egregi dilettanti nostri, tra cui la signora Vettonati, esordiente, il Colonna, il Podio, il Penco, tutti e quattro per la parte vocale, ed i signori Gallina, Poli, Minco, Volin e Malipiero pella parte strumentale. La prima, cioè la signora Vettonati, ebbe applausi vivissimi, e meritati, nel duo dell’AroZrfo eseguito assai bene col signor Podio. Il Colonna, che canta stupendamente, deliziava il pubblico tanto nella parte seria, colla romanza nella Linda, che nella parte faceta, secondato egregiamente dal Penco, talché dovette con questi replicare il notissimo’ ma sempre grazioso duo: I Mulattieri del maestro Masini. Maestro accompagnatore al piano fu il signor Buschovich. Meritano pure sincerissime lodi i signori Gallina, Poli, Mirco, Volm e Malipiero per averci fatto udire, i quattro primi su due piani, e l’ultimo sull’armonium un pout-pourri sul Poliuto. L’esecuzione fu commendevolissima. Negli intermezzi suonò la banda cittadina che il Municipio gentilmente concedeva. Alla fine, il nostro Gallo, anima e corpo dello spettacolo che sta per incominciare, fece attaccare per le vie il cartellone. Il prezzo d’entrata incredibilmente basso; le oneste previsioni per togliere ai camorristi il mezzo di far man bassa, disposero ancor più favorevolmente gli animi, e c’è a vaticinare senza tema di aversi a smentire, che la stagione che sta per aprirsi sarà una delle più belle che la città nostra possa registrare. Davvero che se il pubblico non accorresse, digiuno com’è ora di buona musica, in modo straordinario al Malibran, bisognerebbe dire che il senso artistico è andato a spasso, oppure che il Gallo ha la iettatura il che non può essere quando si è Gallo.... e Toni! PARIGI, 26 ghigno. Les Huguenots all’Opéra, con la nuova artista, madamigella Amai. — Le Trouvère allo stesso teatro col tenore Sylva. — Les Dragons de Villars aZZ’Opéra-Comique — I café-chantants e i diritti d’autore. La pazienza del pubblico di Parigi è veramente esemplare. Offritegli durante trenta o quarant’anni Roberto il Diavolo, non si lamenterà, adducendo che è un capolavoro. Chi lo nega? Ma anche d’un capolavoro si finisce per aver abbastanza. Vero è che per riposarne la gente usa ad andar all’Opéra tutte le sere, la direzione offre Gli Ugonotti, che non sono, essi neppure, una troppo fresca novità. È quando qualche impaziente (nel qual numero potete, senza offenderlo, includere il vostro umile collaboratore) ha l’impertinenza di far osservare che il repertorio dell’Opéra potrebbe oramai essere rinfrescato, aggiungendovi qualche nuovo spartito, il pubblico risponde: — Ma no, abbiamo Roberto il Diavolo, gli Ugonotti, che non invecchiano mai; si sa quel che si lascia non si sa quel che si trova; non bisogna abbandonar la preda per l’ombra. E notate che nessuno lor dice di lasciare, di abbandonare i due capilavori di Meyerbeer; chi lo direbbe, rischierebbe d’esser lapidato. Si desidera soltanto che, senza metter da banda queste due opere, se ne dia qualcheduna che non risalga a trenta o quarant’anni. Checché ne sia, l’altra sera abbiamo avuto una rappresentazione degli Ugonotti, nella quale esordiva una nuova Valentina, la signorina Amai, che aveva già affrontato il giudizio del pubblico su scene straniere L’esordiente ha una bella voce, alquanto debole nelle corde medie, ma limpida, oscillante e gradevole nelle corde acute, della quale sa valersi con successo. Questo primo esperimento le è stato del tutto favorevole: dalle prime frasi musicali, l’uditorio ha capito che era in presenza d’una buona artista; sul principio l’ha applaudita semplicemente per darle coraggio, in seguito, per felicitarla e del suo bel metodo di canto e degli studii fatti. Insomma l’Arnal ha piaciuto. Tutta l’attrattiva della rappresentazione riducendosi alla prima apparizione della giovane esordiente, e gli altri artisti avendo già cantato in quest’opera, credo superfluo il parlarne. Non v’è dunque nulla di mutato aH’Accademia di musica, salvo che essa conta un’artista di più. Vorrei che in cambio d’una cantante, contasse un’opera di più. Ma finché non sarà messa in iscena La Coupe du roi de Thulè, non ei è speranza. E ben vi è noto che da gran tempo essa è alle prove. Vi è noto altresì che per mettere in scena un’opera nuova, abbisognano a questa benedetta Accademia di musica, come s’intitola l’Opéra, sei mesi almeno. Pel Roberto il Diavolo ce ne vollero ventidue!... Come si fa a pretendere un’opera nuova ogni anno, — e son ben discreto contentandomi d’una sola — se sei mesi si passano in prove. E non vi parlo che di piccole opere. Se si trattasse d’una di quelle grandi macchine in cinque atti con ballabili, non so dove si andrebbe. Benedetta l’Italia! in due o tre settimane l’opera è imparata, provata e va in iscena. Questa sera il cartello, contro il consueto, non annunzia una delle quattro eterne opere di Meyerbeer: Gli Ugonotti cedono, per eccezione, il posto al Trouvère. Non è già per simpatia verso